"Microfictions”
è un’imponente raccolta di racconti, ben cinquecento. Ma ciò che lo
rende particolare, suppongo unico, è la “lunghezza” di
ciascuno: due pagine soltanto.
E
da qui si può partire per elencare gli indiscutibili pregi dell’autore.
Jaufrett scrive bene, molto bene. Uno stile secco e asciutto,
intelligente e colto. Ha una fantasia inesauribile, è riuscito a
inventarsi cinquecento vicende, altrettanti protagonisti e migliaia di
personaggi secondari. Soprattutto è riuscito in due sole pagine a
narrare cinquecento storie autoconclusive e sensate.
Non
mi stupisce che "Microfictions" venga incensato dalla critica di alto livello, ma per
me – che posso solo provare a fare una critica di bassissimo
livello – pur riconoscendone a pieno le qualità letterarie, sale
sul podio come libro più disturbante che abbia mai letto, scalzando
“American Psycho” di Bret Easton Ellis dopo ben 24 anni di
indiscussa supremazia.
Dall’inizio
dell’anno ho letto dieci racconti al giorno che mi hanno procurato
non pochi incubi notturni. In quasi tutti i racconti muore qualcuno e
non si tratta mai di morte naturale, ma di omicidi o suicidi. Quasi
tutti i racconti si sviluppano all’interno di famiglie o di ménage
di coppia, di conseguenza abbiamo mogli che uccidono mariti, mariti
che uccidono mogli, figli che uccidono genitori e anche tanti
genitori che uccidono figli. Dalle famiglie ci si sposta sulla
strada, ma anche quando la violenza viene perpetrata da sconosciuti
su sconosciuti non c’è da stare allegri.
Quando
non c’è qualcuno che muore, c’è comunque qualcuno vittima di
abusi, percosse, stupri. Nella migliore delle ipotesi abbandoni.
Specifico
che non si tratta di racconti gialli. Qui si uccide o ci si
uccide per disperazione, degrado, noia. Situazioni grottesche
raccontate con un distacco e con un cinismo raggelanti. Io - che sono
tutt’altro che tenera e amabile, oltre che ben poco romantica,
tanto da essermi divertita ritrovandomi nel sarcasmo di certi passaggi (“il cielo
rosa punteggiato di nuvole sembrava la foto di una malattia della
pelle”) - avrei sinceramente paura a vivere accanto a una mente
capace di partorire simili fantasie, un uomo che riesce a parlare dei
pedofili come di “appassionati di bambini”, giusto per fare un
esempio di ciò che intendo per disturbante.
Un
buon centinaio di racconti mi sono sembrati esercizi di bravura
stilistica e se c’era un senso non sono stata in grado di
coglierlo. Pochi, pochissimi, sono tristi e strazianti in maniera
commovente. Ma la maggior parte è così sconcertante da far apparire
stonati i due soli racconti a lieto fine dell’intera raccolta.
Ma
la cosa più sconvolgente è la frase finale della sinossi:
"Microfictions
è un libro che parla di tutti noi”
Per quanto io sia impietosa nei confronti del genere umano, mi domando come si possa aver letto questi racconti e poi affermare una cosa del genere.
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Challenge 2020: questo testo risponde alla traccia annuale "un
libro con più di mille pagine"