San Francisco, 1° agosto di un anno imprecisato. Victoria Jones compie 18 anni, ma il nome Victoria non è stato scelto dai genitori, Jones non è il cognome di famiglia e il 1° agosto non è la sua vera data di nascita. Abbandonata in fasce, ha trascorso infanzia e adolescenza cambiando ben 32 famiglie affidatarie e fra tutte quelle persone soltanto una le è rimasta nel cuore: Elizabeth, la donna che l'ha avuta in affido per un anno quando ne aveva nove, che è arrivata a un passo dall'adozione vera e propria, finchè Victoria ha mandato tutto in fumo...
Adesso che è maggiorenne deve lasciare la comunità di alloggio che la ospita e riuscirà a mantenersi proprio grazie a Elizabeth e a tutto quello che durante quell'anno vissuto insieme le ha insegnato sui fiori e sul loro linguaggio.
Romanzo pubblicato dieci anni fa e che all'uscita fu un vero e proprio caso editoriale. Se ne parlò così tanto da far scattare in me una sorta di repulsione, nonostante non sia una lettrice prevenuta nei confronti dei romanzi "di consumo", anzi, tendo a pensare che se un libro è in grado di conquistare quasi tutti qualcosa di buono deve averlo per forza.
Ed è così per "Il linguaggio segreto dei fiori", qualcosa di buono lo ha, ma di certo non ha soddisfatto le aspettative che avevo e che erano piuttosto alte.
Non essendo interessata all'argomento tutto quell'inevitabile gran parlare di fiori mi ha annoiata in fretta e l'autrice non è riuscita a modificare l'opinione che già avevo del linguaggio attribuito ai fiori: una boiata romantica.
Cosa peggiore, non mi ha fatto scattare l'empatia che sarebbe umano (e che avrei voluto) provare verso una protagonista con un trascorso come quello di Victoria. L'origine delle sue paure e delle sue insicurezze, così come la sua ritrosia verso i legami e i contatti fisici, sono ben chiare e comprensibili (per quanto sia possibile capire davvero esperienze non vissute direttamente), ma per quanto avrei voluto provare per lei tenerezza e compassione, il più delle volte l'ho trovata irritante.
Ho sentito la mancanza di un preciso contesto storico, per me sempre importante, ma capisco che per molti possa essere un dettaglio trascurabile.
E credo che avrei dato più valore al narrato se leggendo avessi già saputo che l'autrice e il marito sono genitori affidatari, cosa che ho scoperto solo nella breve intervista in calce al libro. Io patirei ad avere dei gatti in stallo, per cui ammiro e invidio moltissimo il coraggio che hanno queste persone. Però, sapendo questo, mi sono anche ritrovata a pensare che la Diffenbaugh avrebbe dovuto averne anche andando più a fondo della questione facendo del suo romanzo una vera e propria denuncia contro l'inadeguatezza del sistema affidatario americano. Probabilmente non avrebbe avuto lo stesso successo, ma anche il suo peso sarebbe stato diverso.
Adesso che è maggiorenne deve lasciare la comunità di alloggio che la ospita e riuscirà a mantenersi proprio grazie a Elizabeth e a tutto quello che durante quell'anno vissuto insieme le ha insegnato sui fiori e sul loro linguaggio.
Romanzo pubblicato dieci anni fa e che all'uscita fu un vero e proprio caso editoriale. Se ne parlò così tanto da far scattare in me una sorta di repulsione, nonostante non sia una lettrice prevenuta nei confronti dei romanzi "di consumo", anzi, tendo a pensare che se un libro è in grado di conquistare quasi tutti qualcosa di buono deve averlo per forza.
Ed è così per "Il linguaggio segreto dei fiori", qualcosa di buono lo ha, ma di certo non ha soddisfatto le aspettative che avevo e che erano piuttosto alte.
Non essendo interessata all'argomento tutto quell'inevitabile gran parlare di fiori mi ha annoiata in fretta e l'autrice non è riuscita a modificare l'opinione che già avevo del linguaggio attribuito ai fiori: una boiata romantica.
Cosa peggiore, non mi ha fatto scattare l'empatia che sarebbe umano (e che avrei voluto) provare verso una protagonista con un trascorso come quello di Victoria. L'origine delle sue paure e delle sue insicurezze, così come la sua ritrosia verso i legami e i contatti fisici, sono ben chiare e comprensibili (per quanto sia possibile capire davvero esperienze non vissute direttamente), ma per quanto avrei voluto provare per lei tenerezza e compassione, il più delle volte l'ho trovata irritante.
Ho sentito la mancanza di un preciso contesto storico, per me sempre importante, ma capisco che per molti possa essere un dettaglio trascurabile.
E credo che avrei dato più valore al narrato se leggendo avessi già saputo che l'autrice e il marito sono genitori affidatari, cosa che ho scoperto solo nella breve intervista in calce al libro. Io patirei ad avere dei gatti in stallo, per cui ammiro e invidio moltissimo il coraggio che hanno queste persone. Però, sapendo questo, mi sono anche ritrovata a pensare che la Diffenbaugh avrebbe dovuto averne anche andando più a fondo della questione facendo del suo romanzo una vera e propria denuncia contro l'inadeguatezza del sistema affidatario americano. Probabilmente non avrebbe avuto lo stesso successo, ma anche il suo peso sarebbe stato diverso.
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Challenge 2021: questo testo risponde alla settima traccia annuale,
"sei libri di sei categorie diverse" (libro di un autore letto da una compagna di casata)