domenica 25 settembre 2022

"Residenza per signore sole", Masako Togawa

 

Tokyo, 1° aprile 1951. Un uomo attraversa un incrocio col semaforo rosso. Viene travolto da un furgone e muore durante il trasporto in ambulanza. Indossa indumenti femminili, un pesante cappotto e pantaloni da sci, porta anche il rossetto. Il cadavere non viene identificato, nessuno lo reclama. Eppure una donna, quella che gli aveva prestato i vestiti, lo aspetta per sette anni chiusa nella sua stanza al quarto piano della “Residenza K per signore sole”.
Sette anni più tardi questo palazzo di mattoni rossi - costruito a inizio secolo per dare asilo con le sue centocinquanta stanze ad altrettante giovani donne, nubili o vedove - deve essere fatto arretrare per permettere il necessario allargamento della strada: non poche delle signore ormai mature, se non proprio anziane, hanno paura. Non che il palazzo possa crollare, le hanno rassicurate dicendo di restare nelle loro camere e di riempire fino all'orlo un bicchiere d'acqua: durante lo spostamento non se ne verserà nemmeno una goccia!
Quello che temono è che gli scavi nelle fondamenta portino alla luce certi loro segreti...

Soprannominata dal "Times" la P.D. James giapponese, Masako Togawa non è stata soltanto scrittrice, ma anche attrice e cantante.
"Residenza per signore sole" (precedentemente pubblicato con il titolo "Appartamenti per signore sole") è stato il suo primo romanzo, scritto nel 1957, vincitore del premio Ranpo Edogawa.
Dei successivi quindici titoli, soltanto due sono stati tradotti in italiano nella collana dei Gialli Mondadori ormai molti anni fa, cosa che li rende praticamente introvabili, e un po' mi dispiace perché - nonostante "Residenza per signore sole" sia stato per me una lettura molto lenta (dodici giorni per finirlo e sono soltanto 176 pagine), nonostante abbia dovuto farmi uno schemino per associare i nomi ai personaggi (quelli giapponesi mi sembrano sempre tutti uguali), nonostante l'atmosfera desolante che si respira in ogni singola frase e nonostante non sia riuscita a capire un particolare di rilievo - il libro mi è piaciuto e avrei voluto poter leggere anche gli altri due.

Il punto di forza è senz'altro l'ultimo capitolo, dove tutto viene rivelato: se il libro fosse stato più recente non lo avrei apprezzato allo stesso modo perché un buon giallo deve permettere al lettore attento di poter fare le sue deduzioni, ma essendo stato scritto 65 anni fa (un'età portata molto bene) sono stata più indulgente e questo mi ha permesso di godere di tutte le sorprese riservate al gran finale.

Resta però un libro opprimente a causa dell'ambientazione, che è l'unica vera protagonista. L'autrice aveva dichiarato di essersi ispirata a un'analoga residenza per sole donne in cui aveva vissuto per alcuni anni. Luoghi messi a disposizione di nubili e vedove, anche economicamente autosufficienti, che al posto di un'abitazione indipendente vivevano (se per scelta o meno non l'ho capito) in un'unica stanza priva di bagno (per lo meno è così la residenza K: cinque piani ognuno con trenta camere e appena due bagni su ogni pianerottolo).

Le donne del libro, pur essendo anche più che semplici vicine di "casa", non socializzano fra loro e il racconto trasuda rancore, invidia, maldicenza. Ma soprattutto lascia sgomenti la solitudine di questi individui, una sensazione angosciante che mi respingeva già dopo una manciata di pagine di lettura: ecco spiegati i dodici giorni che mi sono serviti per riuscire a finirlo.

Un titolo sconsigliato ai depressi.

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