Belgio, fine ottobre 2020. Jeanne Mercier ha 29 anni e da quattro giace in un letto d'ospedale. Sono i macchinari a respirare al suo posto dopo che un volo con l'auto l'ha imprigionata in uno di quegli stati comatosi da cui, con il passare del tempo, il risveglio sembra essere sempre più improbabile.
Micheline, la madre, è l'unica a continuare a sperare che la figlia un giorno possa riaprire gli occhi. Per Gilbert, il padre, e per Charlotte, la sorella maggiore, è giunto il momento di lasciarla andare. E poi c'è Jerome, il marito di Jeanne: per quanto tempo ancora sarà disposto a fare il vedovo di nome, ma non di fatto?
E adesso che sono stati convocati dal direttore dell'ospedale Micheline ha paura, perché Goossens non ha mai fatto mistero di considerare quella situazione come un accanimento terapeutico.
Invece il professore non li ha chiamati per discutere con loro dell'opportunità di staccare le spine, ma per comunicare che Jeanne è stata stuprata ed è incinta.
Bello, bello, bello! Dopo "La bambina nel bosco" e "Alice", Barbara Abel - autrice belga mia coetanea (1969) - conferma le sue grandissime capacità nel creare storie originali e ben costruite, vicende che è riduttivo etichettare come thriller. Ci fa di nuovo precipitare in un drammone familiare, inventando nuovamente personaggi detestabili. Anche quelli meno abietti hanno fatto o sarebbero capaci di fare qualcosa di spregevole.
Se in "Alice" mi aveva infastidita la discriminazione per la famiglia allargata rispetto a quella tradizionale, stavolta è quest'ultima a rappresentare un marciume assoluto.
I Mercier sono l'emblema del perbenismo bigotto e borghese, convinti di essere migliori rispetto a chiunque, inflessibili nel giudicare gli altri, ma estremamente magnanimi riguardo alle loro nefandezze.
Scritto nel 2020, titolo originale "Et les vivants autour", "Morte apparente" è un puzzle dove tra gli eventi del presente si incastrano episodi del passato indispensabili a formare il quadro generale. Comportamenti crudi e/o crudeli, caratterizzati da un'arroganza e da un egoismo salvifico esasperante.
La Abel è particolare anche nello stile perché racconta la maggior parte dei dialoghi, ma soprattutto riesce a fare entrare chi legge nella mente di ogni personaggio, a volte suscitando pena, raramente solidarietà, mentre è costante il bisogno di prendere le distanze - anche di fronte a situazioni di certo non invidiabili, vedi quella di Jeanne - pensando "io sono migliore di così"!
Sono sensazioni che avevo provato anche con la lettura degli altri due romanzi. Libri che meritano davvero di essere letti.
La Abel al momento ne ha scritto quattordici ed è un delitto che in italiano ne abbiano tradotto soltanto quattro.
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Micheline, la madre, è l'unica a continuare a sperare che la figlia un giorno possa riaprire gli occhi. Per Gilbert, il padre, e per Charlotte, la sorella maggiore, è giunto il momento di lasciarla andare. E poi c'è Jerome, il marito di Jeanne: per quanto tempo ancora sarà disposto a fare il vedovo di nome, ma non di fatto?
E adesso che sono stati convocati dal direttore dell'ospedale Micheline ha paura, perché Goossens non ha mai fatto mistero di considerare quella situazione come un accanimento terapeutico.
Invece il professore non li ha chiamati per discutere con loro dell'opportunità di staccare le spine, ma per comunicare che Jeanne è stata stuprata ed è incinta.
Bello, bello, bello! Dopo "La bambina nel bosco" e "Alice", Barbara Abel - autrice belga mia coetanea (1969) - conferma le sue grandissime capacità nel creare storie originali e ben costruite, vicende che è riduttivo etichettare come thriller. Ci fa di nuovo precipitare in un drammone familiare, inventando nuovamente personaggi detestabili. Anche quelli meno abietti hanno fatto o sarebbero capaci di fare qualcosa di spregevole.
Se in "Alice" mi aveva infastidita la discriminazione per la famiglia allargata rispetto a quella tradizionale, stavolta è quest'ultima a rappresentare un marciume assoluto.
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La Abel è particolare anche nello stile perché racconta la maggior parte dei dialoghi, ma soprattutto riesce a fare entrare chi legge nella mente di ogni personaggio, a volte suscitando pena, raramente solidarietà, mentre è costante il bisogno di prendere le distanze - anche di fronte a situazioni di certo non invidiabili, vedi quella di Jeanne - pensando "io sono migliore di così"!
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