mercoledì 29 gennaio 2020

"Vincoli. Alle origini di Holt", Kent Haruf


Holt (Colorado), aprile 1977. E’ un sabato quando Dick Harrington, giovane e inesperto giornalista di Denver, si presenta alla fattoria di Sanders Roscoe con la pretesa che gli spieghi cos’è successo a casa dei Goodnough, i suoi vicini, la notte del 31 dicembre appena trascorso, con il solo risultato di ritrovarsi in mezzo al letame.
Ma Sanders è burbero solo con chi disprezza e disprezza chi ha l’arroganza di sapere tutto solo perché è più giovane e vive in città. Perchè di sicuro Dick Harrington non sa nulla di quello che ha fatto Edith Goodnough, non gli interessa neppure saperlo, deve solo raccogliere qualche dettaglio per imbastire uno stupido articolo e non li avrà certo da Roscoe.
Però Sandy ha voglia di raccontare i fatti di quella notte, lui lo sa. Così otto giorni dopo, una domenica pomeriggio, racconterà tutto… al lettore. Partendo da quando Roy Goodnough e Ada Twamley lasciarono l’Iowa nel 1895 per trasferirsi in Colorado per costruire la loro casa sui terreni sabbiosi ricevuti dallo Stato grazie al Homestead Act del presidente Lincoln…

Sono passati quasi due anni da quando ho letto “Le nostre anime di notte”, libro che ho adorato e che ha conservato un posto speciale nel mio cuore. E che ora dovrà stringersi un pochino per fare spazio a “Vincoli”, altrettanto meraviglioso.

Scritto nel 1984, ha anche un sottotitolo: “Alle origini di Holt”. Precede infatti di 15 anni “Canto della pianura”, il primo romanzo della trilogia di Holt, la cittadina immaginaria che Kent Haruf ha posizionato a circa 240 km da Denver e dove successivamente ha ambientato anche “Le nostre anime di notte”.

E’ stato quindi un piacere non solo ritrovarla, ma “vederla” nascere, dai tempi della colonizzazione del West, e crescere (pur rimanendo una cittadina) fino all’aprile del ‘77. Ma Holt è solo lo scenario appena abbozzato che fa da contorno alla storia dei due protagonisti, Edith e Sanders, e delle loro famiglie di origine, i Goodnough e i Roscoe.

Non sono una coppia, fra i due ci sono 31 anni di differenza, e il libro non narra una storia d’amore. Racconta intere esistenze fatte di povertà e miseria, di fatica, di doveri.

E di vincoli.

Kent Haruf aveva un modo di scrivere poetico, delicato, leggero, tenero, così soave da portarmi a usare tutti questi aggettivi lontani dal mio modo di essere e di esprimermi, ma leggere un suo romanzo, nonostante la sua drammaticità - che induce a rubare le parole della sua voce narrante quando gli fa dire: “non è giusto, la vita è ingiusta” - fa un gran bene al cuore e al cervello.

Bella e interessante, seppure breve, anche la nota del traduttore, Fabio Cremonesi: se non ricordo male è solo la seconda volta che la trovo in un libro, invece questa “postilla” è un valore aggiunto che andrebbe sempre inserita, per lo meno in libri di un certo livello.

Invece è la prima volta che trovo un libro dedicato (anche) alle mucche: se fossi un bovino il Colorado e gli Stati Uniti in generale sono uno degli ultimi posti al mondo dove vorrei nascere, adesso come a cavallo fra Ottocento e Novecento, ma per l’amore che provo per questi animali ho apprezzato quel grazie di Haruf.

Reading Challenge 2020: questo testo risponde alla traccia a cascata di gennaio, lo collego a "Cattive compagnie" per gli autori sono entrambi anglofoni