giovedì 16 dicembre 2021

"Tre cadaveri", Raffaele Malavasi

Genova, inizio autunno 2016. C'è un serial killer in città? E' quello che l'ispettore capo Gabriele Manzi si trova a pensare alla vista del primo cadavere. Perchè chi ha ucciso quella donna ci ha perso del tempo, non si è limitato a spararle o ad accoltellarla: ha cercato il posto adatto, si è procurato il necessario e ha preparato la scena. Poi l'ha portata lì e ha messo in pratica la sua macabra rappresentazione. I vari CSI hanno insegnato a tutti che chi agisce in questo modo segue una sua logica malata e che si ferma solo quando viene catturato.
La sezione omicidi della Squadra Mobile di Genova non ha più quello che fra i suoi elementi assomigliava di più ai famosi profiler dell'FBI, ma Manzi sa che vale la pena cercare di convincere Goffredo "Red" Spada a collaborare ancora con loro, almeno per questa volta.

Mi ero ripromessa di stare alla larga dai libri che la Newton Compton etichetta in copertina come "un grande thriller" (praticamente tutti) e se non fosse stato per la segnalazione di una compagna di casata mi sarei persa anche questo che bello lo è davvero.

Opera prima scritta da Raffaele Malavasi - mio concittadino e palesemente tifoso blucerchiato come me - nel 2018, meriterebbe una serie TV tutta sua, più di "Petra" e di "Blanca", tratte da romanzi che non hanno nulla a che fare con Genova.

Malavasi non si sposta mai dalla nostra città e sicuramente conoscere e riconoscere ogni singolo luogo citato, ritrovare il nostro modo di parlare (alla fine c'è un brevissimo dizionario italiano-genovese per i foresti), di ragionare e di relazionarci con gli altri ("I genovesi, persone diffidenti, abituate a sospettare di tutto e di tutti, anche della propria madre. Cosa poteva aspettarsi da una città popolata da gente simile?"), oltre a buon 80% di cognomi genovesi (incredibilmente manca Parodi!), mi ha reso ancora più piacevole e intrigante la lettura, ma sarebbe stato un buon thriller anche se fosse stato ambientato in un'altra città (io però apprezzo sempre quegli autori che non snobbano le proprie origini).

La storia può essere giudicata da discretamente a molto originale (dipende da quanti thriller si sono letti nella vita...) ed è molto ben costruita. Le varie situazioni man mano che si procede con la lettura si spiegano e/o si incastrano tutte, qualcosa è intuibile (direi volutamente), ma si arriva a un finale convincente che ha nella sua completezza l'effetto sorpresa.

Lo stile è veloce, fluido, i tanti capitoli sono uno stimolo a procedere ed è particolare la scelta di collegarli fra loro usando la stessa parola o una simile per chiuderne uno e per iniziare quello successivo (da "...superarla del tutto." a "Tutto ciò che Manzi...", da "...davanti agli occhi." a "Dai un'occhiata qua...", ecc).

Mi ha fatto sorridere il personaggio davvero poco credibile della giornalista d'assalto de "Il Secolo XIX" (quotidiano storico di Genova che ormai non viene neppure più stampato qui, bensì a Torino), mentre mi ha intristita la piccola parte ambientata all'ospedale Galliera, quello dove è morta mia madre.

E una frase messa in bocca a un personaggio che fa l'architetto mi ha fatto venire la pelle d'oca, soprattutto per la sua tempistica:

"Se io progetto male un edificio o un ponte e quello crolla, vado in galera"

Il libro è stato pubblicato il 19 luglio 2018: 26 giorni dopo è crollato il ponte Morandi.

Reading Challenge 2021: questo testo risponde all'undicesima traccia annuale, "tre libri scritti da autori che non hanno rivelato la loro data di nascita"