mercoledì 27 luglio 2022

"Il banditore", Joan Samson

 

Harlowe (New Hampshire), 1975. Il lungo e rigido inverno sta lentamente lasciando spazio alla primavera, che da sempre segna il ritorno alla vita per gli abitanti del piccolo centro rurale. Ma questa volta il cambiamento radicale viene portato da un uomo, Perky Dunsmore. Originario di una cittadina poco distante, racconta di aver girato le Americhe in lungo e in largo per oltre vent'anni prima di scegliere Harlowe come sua residenza definitiva. Ha comprato la vecchia casa dei Fawkes e si è messo a fare il suo lavoro: il banditore d'aste.
Con l'aiuto dello sceriffo Bob Gore gira di fattoria in fattoria facendosi dare vecchi mobili e carabattole di ogni genere riuscendo poi, grazie al suo indiscutibile carisma, a piazzare fino all'ultimo chiodo arrugginito durante le aste del sabato.
In principio sono tutti contenti: i locali nel veder sparire tutti quegli oggetti inutili accumulati nel corso di decenni, ricevendo in cambio anche qualche dollaro; e i forestieri, innamorati del brocantage.
Ma quando cantine e soffitte sono ormai svuotate Dunsmore non si ferma e continua a chiedere pretendere, sempre di più...

Opera prima e ultima di questa autrice statunitense morta ad appena 39 anni nel 1976, poche settimane dopo la pubblicazione del suo romanzo negli Stati Uniti. In Italia è stato scelto nel settembre dello scorso anno da Sperling & Kupfer come una delle due prime uscite per la loro nuova collana Macabre, dedicata alla letteratura horror.
L'edizione cartacea de "Il banditore" è davvero molto bella, con il taglio delle pagine di un rosso cupo che riprende il colore principale della copertina: in libreria mi aveva tanto colpita, anche se poi ho comprato la versione digitale per risparmiare.

La classificazione nel genere horror e, soprattutto, gli stralci delle recensioni apparse nei giornali americani elencate come prefazione al romanzo (in aggiunta a quella vera e propria di Paola Barbato), mi avrebbero fatto pensare a un libro impressionante se mia sorella (che lo ha letto mesi fa) non mi avesse avvisata del contrario: uno "spoiler" positivo perché lei - aspettandosi un libro "da paura" (genere che ama tanto) - era rimasta delusa, mentre a me è piaciuto, probabilmente proprio perché avevo aspettative diverse.

In quegli stralci viene detto che la storia ricorda quelle di Shirley Jackson: io, che della Jackson ho letto solo "La lotteria", ho ben poco su cui basare il confronto, ma da quel poco posso dire che, sì, lo stile è analogo, mentre non concordo con chi (Newsday) ha definito il finale come "il più violento e avvincente con cui abbiamo avuto a che fare da molto tempo a questa parte". Dopo aver letto questo giudizio, e forte del riferimento alla Jackson, mi aspettavo una conclusione degna di quella de "La lotteria", mentre non ci si avvicina neppure.

Non l'ho trovato neppure un libro "terrificante", né "spaventoso": ma è un gran bel horror psicologico, senza nessun rimando al paranormale (cosa che temevo).
Il lettore vive la vicenda dalla parte della famiglia Moore, subito presa di mira da Dunsmore. Dopo un inizio placido e rilassante - che porta a pensare a quanto sarebbe bello trovare un banditore capace di liberarci degli oggetti inutili facendoci anche guadagnare qualcosa senza doverci sbattere su Ebay o su Vinted - subentra presto una forte inquietudine e una grandissima rabbia sia verso quest'uomo (che chiaramente non è un benefattore), sia verso l'incapacità di reagire dei Moore e degli altri.

Nella postfazione, datata 2018, Warren Carberg (vedovo della Samson) racconta come la moglie per la sua storia si fosse ispirata a un incubo che aveva fatto e, sottolineandone l'attualità, traccia giuste analogie con il presidente degli Stati Uniti di quattro anni fa, Donald Trump, che - inneggiando ai presunti valori che hanno reso grande l'America e a quella libertà che certi americani giudicano inviolabile per loro arrogandosi anche il diritto di poter decidere di quella altrui - ha raccolto grandi consensi in quel tipo di elettorato di cui tutto il mondo ha avuto una degna visione il 6 gennaio 2021 con l'assalto al Campidoglio.

Perky Dunsmore, con le dovute proporzioni, è un imbonitore al pari di Trump e il romanzo è una chiara denuncia contro l'abuso di potere e una condanna alla sottomissione.
Io, da italiana, leggendo il libro non ho potuto fare a meno di pensare alla mafia perché quello che Dunsmore mette in atto è un'azione criminale di stampo mafioso: corrompe lo sceriffo, si circonda di picciotti e va in giro di fattoria in fattoria a chiedere il pizzo. Chi si oppone viene gambizzato o peggio. E non mancano lo strozzinaggio e la corruzione edilizia.

Circostanze effettivamente ben più horror di una casa infestata dai fantasmi.

Reading Challenge 2020, traccia di luglio: un libro di un genere che non leggi da molto (horror)