domenica 14 agosto 2022

"Lamento di Portnoy", Philip Roth



"Portnoy è un antico cognome francese, una alterazione di porte noir, ossia a dire porta o cancello nero"

New York, 1966. Alex (Alexander) Portnoy ha 33 anni ed è commissario aggiunto della Commissione per lo sviluppo delle risorse umane del Comune di New York, uno di quegli incarichi che - se esercitati nel modo giusto - possono contribuire a fare la differenza per molte persone. E lui è bravo nel suo lavoro, così come si era distinto negli studi. Del resto con un Q.I. di 158 non ha dovuto compiere molti sforzi per riuscirci.
Ma nella sfera personale le cose non vanno come ci si sarebbe aspettati da uno nato e cresciuto in una famiglia di solidi principi ebraici: dov'è la famiglia che avrebbe dovuto creare? Dov'è la brava moglie ebrea con cui avrebbe dovuto condividerla? Dove sono i piccoli ebrei che avrebbe dovuto generare con lei? Perché riesce a vivere il sesso solo in un modo che molti definirebbero malato, ma che rappresenta il suo modo di essere fin da quando era un bambino e si è masturbato per la prima volta?
Tutte queste domande irrisolte lo hanno portato sul lettino del dottor Spielvogel, l'analista con cui intende iniziare un'approfondita terapia, ma prima deve raccontargli un po' di cose di sé...

Se qualcuno, come me, non si decide ad affrontare questo romanzo temendone la pesantezza può tranquillamente abbandonare ogni indugio e goderne la lettura.

Scritto nel mio anno di nascita (il 1969), opera terza dell'autore, è un monologo di 220 pagine in cui il protagonista racconta se stesso e la sua vita allo psicologo che ascolta senza intervenire.
Sesso e religione sono gli argomenti portanti: Roth è esplicito, per cui chi è particolarmente pudico e/o bigotto potrebbe avere qualche problema nel digerire tutta quella schiettezza.
Per me questo libro è un capolavoro.
 

"Questi adorano un ebreo, lo sai Alex? Tutta la loro religione delle sette meraviglie è basata sull'adorazione di uno che ai suoi tempi era un ebreo rinomato. Eh, non lo chiami essere stupidi questo? Non lo chiami gettare il fumo negli occhi della gente? Gesù Cristo, che loro vanno in giro a dire a tutti quanti che era Dio, in verità non era altro che un ebreo! E a questo fatto, questo fatto che mi fa impazzire ogni volta che ci penso, non ci fa caso nessuno, capisci? Che lui era un ebreo, come te e come me, e che quelli hanno preso un ebreo e trasformato in un dio dopo che quello è già morto, e poi - ed è proprio questo che ti può far uscire assolutamente pazzo - poi quegli sporchi vigliacchi si rigirano, e chi c'è per primo nella loro lista di gente da perseguitare? A chi è che non gli hanno lasciato un momento di tregua, chi è che non hanno mai finito di assassinare e di odiare per duemila anni? Gli Ebrei! Che poi sono stati proprio loro a dargli il loro amato Gesù! Guarda, ci puoi contare, Alex, in tutta la tua vita non sentirai mai tante fregnacce strampalate, tante idiozie disgustose quante ne dice la religione cristiana!"

Ma Roth usa Portnoy per portare in analisi tutti gli ebrei, riflettendo su quanto possa essere difficile esserlo, sulla mancanza di radici che priva del senso di appartenenza anche chi è figlio di un determinato luogo da generazioni, sul rigore che viene instillato dalle famiglie fin dalla nascita.

Insegnamenti che generano in Portnoy un perenne disaccordo interiore che lo fa soffrire per l'opprimente presenza dei genitori, in particolare della madre ("Perché voi stronze madri ebree siete semplicemente troppo insopportabili, chiaro?"), ma che contemporaneamente lo spinge a puntualizzare la superiorità degli ebrei quando interagisce con persone che non lo sono.

E a ciò si aggiunge la sua fame di sesso, puro sesso libero dai sentimenti. A Portnoy non interessa fare l'amore, lui chiava, scopa, fotte. Un chiodo fisso fin dalla preadolescenza. Il secondo capitolo dedicato all'Alex adolescente segaiolo è una delle cose più divertenti che abbia mai letto. E ancora più spassosi sono i dettagli legati alla stitichezza del padre.

E' un libro (anche) esilarante, non c'è traccia della pesantezza che temevo. Un libro acuto, intelligente, ma su questo - con quella firma - non avevo alcun dubbio.

"Non sanno far altro, questi imbecilli mangiatori dell'esecrabile, che pavoneggiarsi, offendere, insultare, beffeggiare, e prima o poi, colpire. Oh, sanno anche andar fuori nei boschi, con il fucile, questi geni, e ammazzare innocenti cerbiatti selvaggi, cervi e cerbiatti che si nutrono tranquillamente di bacche ed erbe e poi se ne vanno, senza dar fastidio a nessuno. Stupidi goyim che non siete altro! Puzzolenti di birra e ormai svuotati di munizioni, diretti a casa, a casa, con un animale morto (e prima vivo) legato su ciascun parafango, in modo che tutti quelli che incontrate nelle altre macchine possano vedere quanto siete forti e virili; e poi, nelle vostre case, prendete questi cervi - che non vi hanno fatto niente, che non hanno fatto niente a nessuno in tutto il regno della natura, ma neppure un briciolo di male, poveracci - prendete questi cervi, li tagliate a pezzi, e li cuocete in una casseruola. Figuriamoci, come se non ci fosse abbastanza da mangiare a questo mondo, quelli si devono mangiare pure i cervi! Ma quelli si mangerebbero qualsiasi cosa, qualsiasi cosa su cui possano mettere le loro grosse mani goy!

Peccato che gli ebrei non abbiano la stessa compassione nei confronti di altri animali. Anche gli agnelli non hanno mai fatto male a nessuno (ma un plauso a Israele, una delle nazioni con la percentuale di vegani più alta al mondo: non a caso un popolo che ha sperimentato sulla sua pelle il venire ammassati sui treni merci per essere portati a morire).

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