L'Appalachian Trail è stato il primo sentiero a lungo percorso a essere creato e con i suoi 3410 chilometri si snoda dal Maine alla Georgia tagliando ben quattordici stati, fra cui il New Hampishire dove Bill Bryson si era da poco trasferito.
Un tratto del sentiero si snodava proprio vicino alla sua casa e quella distesa di boschi ai margini dell'abitato insinuò nella sua mente la pazza idea di percorrere l'intero sentiero, da sud a nord.
E così il 9 marzo del 1995 l'allora 44enne Bryson - fuori forma e dopo aver speso una cifra considerevole nell'attrezzatura - insieme a un vecchio compagno di scuola, Stephen Katz, con cui aveva già girato l'Europa in gioventù, affrontò la temperatura di -5° iniziando un percorso faticoso e non privo di pericoli.
L’Appalachian Trail comprende più di trecentocinquanta vette che superano i 1500 metri e un altro migliaio intorno a quell’altitudine. Per percorrerlo interamente (c'è chi lo fa) occorrono circa cinque mesi e cinque milioni di passi. I due non avevano così tanto tempo a disposizione, soltanto sei settimane, per cui partirono da Amicalola, con le sue belle cascate...
... decidendo di vedere fin dove sarebbero arrivati, con l'intenzione di riprendere poi da lì. Arrivarono fino alla Virginia, bypassando il Tennessee grazie all'autostop, per poi riprendere in agosto dedicando due settimane alla parte finale del sentiero. Nell'intervallo di tempo fra la primavera e la fine dell'estate Bryson fece in solitaria alcune escursioni giornaliere o della durata di pochi giorni.
Il libro ricorda per genere "Una cosa divertente che non farò mai più" di David Foster Wallace, che avevo profondamente detestato: anche qua l'autore racconta la sua esperienza personale e per quanto l'animo della campeggiatrice montanara mi sia estraneo (per motivi completamente diversi) al pari di quello della crocerista (ma deve essere bello trascorrere quattro giorni di fila senza incrociare strade asfaltate e otto senza vedere un centro abitato). Bryson, però, è un narratore appassionato, coinvolgente, divertente (ancora di più l'amico Katz, che durante la lettura ho immaginato identico a Coach Beard di "Ted Lasso" ^^) e un ottimo divulgatore, caratteristiche che avevo già apprezzato a gennaio leggendo "Breve storia della vita privata".
L'ideatore dell'Appalachian Trail fu, nel 1921, un certo Benton MacKaye, tutt'ora considerato il fondatore del sentiero, anche se nella pratica fu opera di Myron Avery, un avvocato di Washington a cui nel 1930 venne affidato lo sviluppo del progetto, che venne portato a termine il 14 agosto 1937 nell'indifferenza generale.
Alle varie situazioni che i due si sono ritrovati ad affrontare - sempre raccontate in chiave umoristica, dal lancio di Katz di beni necessari con lo scopo di alleggerire il peso del suo zaino alla bufera di neve che li ha colti il 21 marzo e agli incontri (più o meno preoccupanti) con gli animali del bosco (alci, orsi, ma anche nugoli di insetti) e con altri escursionisti (spesso più fastidiosi dei nugoli di insetti) - si alternano nozioni di geologia, astronomia, storia e botanica.
Com'è immaginabile, flora a fauna sono temi portanti e Bryson descrive ed evidenzia i danni perpetrati dall'uomo sulla natura senza fare nessuno sconto ai suoi connazionali, sottolineando l'indifferenza degli organi preposti e di chi governa verso l'estinzione di specie animali e vegetali anche all'interno dei Parchi Nazionali.
Il Governo è proprietario di circa 97 milioni di ettari di foresta e Bryson fa notare che l'aver classificato come "multiuso" quegli ettari permette al Forest Service, che ne gestisce la maggior parte, di destinarla a imprese che non hanno nulla a che fare con il rispetto e la salvaguardia della natura "dalle estrazioni minerarie allo sfruttamento dei giacimenti di petrolio e di gas, alla costruzione di impianti sciistici (ben 137), zone residenziali, piste per gatti delle nevi e aree per fuoristrada, per finire poi con tanto, ma tanto disboscamento."
Naturalmente si parla degli orsi. Sulle Smokies Mountains, ad esempio, all'epoca in cui è stato scritto il libro (1997) si contavano fra il 400 e i 600 orsi bruni. Siccome quasi dieci milioni di persone ogni anno invadono il loro territorio, soprattutto per brevi escursioni e sontuosi picnic, gli orsi hanno perso ogni timore nei confronti dell’uomo, finendo con l'associare gli umani al cibo, dimostrando una certa indifferenza nei confronti delle persone.
"C’è sempre qualche idiota che decide di avvicinarsi per accarezzarli o dare loro un pasticcino. Esiste la registrazione di una donna che spalmò di miele i ditini del figlio perché li desse da leccare all’orso di turno, il quale, dal canto suo, non afferrando le intenzioni della signora, ritenne opportuno staccare con un morso la mano del bimbetto."
Bryson spiega che ogni anno una dozzina di persone circa viene ferita, di solito in aree da picnic e di solito per via di un comportamento avventato. Ma lì gli orsi vengono condannati a morte, come fanno in Trentino? No: "Quando un orso diventa aggressivo o insistente, i ranger del parco gli sparano una freccia intinta in un potente tranquillante e lo trasferiscono all’interno del parco, lontano dalle strade e dalle aree turistiche, e lì lo lasciano libero."
Anche in un testo che rappresenta una totale immersione nel verde, c'è spazio per i disastri ambientali. Bryson descrive più dettagliatamente di come abbia fatto la Oates ne "La ragazza tatuata" (che ho letto contemporaneamente a questo saggio) il dramma di Centralia dove il sottosuolo brucia dal 1962, ma mi ha fatto scoprire anche la devastazione di una montagna nei pressi della cittadina di Palmerton, a pochi chilometri di distanza, dove per via dell'inquinamento causato da una miniera di zinco sulla sua superficie è sparita ogni traccia di vegetazione.
"Tutto ciò deve di certo avere qualcosa a che fare con l’innato impulso americano di domare e sfruttare la natura per quello che ha da offrire, ma l’atteggiamento dell’America nei confronti del paesaggio, comunque lo si consideri, è davvero bizzarro."
Ma anche lui non è esente da critiche, perché è triste che un uomo così, dotato di un bel cervello e di una certa sensibilità ("Nel tardo pomeriggio, girando un angolo vidi un tacchino selvatico con i piccoli che attraversava il sentiero. La madre era regale e imperturbabile, e i pulcini troppo impegnati a incespicare e rialzarsi per accorgersi di me. È così che dovrebbero essere tutti i boschi, pensavo. Non potevo essere più felice."), non riservi anche agli animali da allevamento lo stesso rispetto che concede a quelli selvatici: trovare descrizioni così poetiche e nella pagina successiva leggere la bramosia con cui si aspira a una bistecca mi convincono sempre di più che al mondo basterebbe la coerenza per essere un posto migliore.
Reading Challenge 2023, traccia di giugno: libri scelti per la copertina