Trani, 3 dicembre 2015. Antonio De Santis, settantenne industriale nel ramo delle acciaierie, è riverso al suolo. Qualcuno gli ha appena sparato alla nuca, colpendolo alle spalle mentre era seduto sulla poltrona del suo studio. Una ferita che non lo ha ucciso sul colpo, ma che gli lascia ancora dieci minuti di vita. Dieci minuti che l'uomo, nel pieno delle proprie facoltà, impiega per analizzare i fatti e per cercare di capire chi è il suo assassino, con la certezza che quello sparo sia la conseguenza della tragedia che colpì la sua famiglia quindici anni prima durante una vacanza in Costa Azzurra.
Nove mesi dopo la lettura non entusiasmante di "Non sono un assassino", mi sono decisa a dare un'altra possibilità all'autore. Senza il peso del confronto diretto con Gianrico Carofiglio (il primo libro lo avevo letto a ruota di "Rancore") è andata meglio, ma il merito va anche alla struttura particolare del romanzo.
I dieci minuti per uccidere sono in realtà dieci minuti per morire: sorvolando sulle probabilità di sopravvivere, seppur per poco, a un colpo sparato a bruciapelo alla base del cranio e su quanto un cervello lesionato in quel modo possa rimanere perfettamente lucido come succede a De Santis, la situazione che genera è originale e leggere qualcosa di diverso è sempre piacevole.
Anche questa volta la scelta di fare del protagonista la voce narrante limita lo sviluppo della storia al suo solo punto di vista, ma per lo meno questo non è un "giallo" che arriva alle indagini vere e proprie.
Un romanzo breve (249 pagine) con pochi personaggi, la famiglia De Santis e pochissimi altri. Un protagonista che è un marito e un padre convinto di aver agito sempre per il meglio, senza però chiedersi quanto quel meglio fosse esclusivamente personale. Una storia che, forse per scelta dell'autore, non è introspettiva come avrebbe potuto essere, ma che anche così è estremamente drammatica: sopra ho scritto giallo fra virgolette perché sì, viene commesso un crimine, e sì, lo scopo è capire l'identità di chi ha sparato, ma quello per cui lo ricorderò è la tragedia che racconta.
Reading Challenge 2023, traccia di giugno: libri con i capitoli numerati
Nove mesi dopo la lettura non entusiasmante di "Non sono un assassino", mi sono decisa a dare un'altra possibilità all'autore. Senza il peso del confronto diretto con Gianrico Carofiglio (il primo libro lo avevo letto a ruota di "Rancore") è andata meglio, ma il merito va anche alla struttura particolare del romanzo.
I dieci minuti per uccidere sono in realtà dieci minuti per morire: sorvolando sulle probabilità di sopravvivere, seppur per poco, a un colpo sparato a bruciapelo alla base del cranio e su quanto un cervello lesionato in quel modo possa rimanere perfettamente lucido come succede a De Santis, la situazione che genera è originale e leggere qualcosa di diverso è sempre piacevole.
Anche questa volta la scelta di fare del protagonista la voce narrante limita lo sviluppo della storia al suo solo punto di vista, ma per lo meno questo non è un "giallo" che arriva alle indagini vere e proprie.
Un romanzo breve (249 pagine) con pochi personaggi, la famiglia De Santis e pochissimi altri. Un protagonista che è un marito e un padre convinto di aver agito sempre per il meglio, senza però chiedersi quanto quel meglio fosse esclusivamente personale. Una storia che, forse per scelta dell'autore, non è introspettiva come avrebbe potuto essere, ma che anche così è estremamente drammatica: sopra ho scritto giallo fra virgolette perché sì, viene commesso un crimine, e sì, lo scopo è capire l'identità di chi ha sparato, ma quello per cui lo ricorderò è la tragedia che racconta.
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