domenica 29 gennaio 2023

"Breve storia della vita privata", Bill Bryson


"Volendo riassumerla in una frase, si potrebbe dire che la storia della vita privata è la storia dell’agio conquistato con lentezza"

Fino a poco più di un mese fa l'unico titolo che avevo di Bill Bryson - giornalista e scrittore statunitense classe 1951 - era "Il mondo è un teatro. La vita all'epoca di William Shakespeare". Curioso, visto che sono andata a teatro (concerti esclusi) soltanto due volte in vita mia (e questo mi dispiace) e che non sono minimamente attratta da il Bardo, e quindi si spiega come mai non lo abbia ancora letto.

Ma a dicembre ho scoperto altri saggi dell'autore, ne ho subito comprato alcuni e ho deciso di approcciarmi a lui cominciando con questo tomo che di breve non ha proprio nulla: sono 536 pagine divise in diciannove parti divise a loro volta in due, tre o quattro capitoli, per lo più abbastanza lunghi.
Una lettura interessante, scorrevole e anche divertente grazie a un humor britannico, a tratti anche macabro, che Bryson - sposato con un'inglese e trasferitosi in Inghilterra - ha sapientemente fatto suo.

Nell'introduzione racconta come gli sia venuta l'idea di questo libro: salendo nel solaio della casa, dove si era da poco trasferito con la famiglia - un'ex ex canonica della chiesa anglicana di un tranquillo e anonimo villaggio del Norfolk (dove, ci dice, c'è la più alta concentrazione del mondo di chiese medievali, ben 659) - e da una chiacchierata fatta il giorno prima con un amico archeologo. Questa conversazione e l'osservazione della campagna circostante lo portarono a una serie di ragionamenti che confluirono in un pensiero: "la Storia è proprio questo: masse di persone che fanno cose ordinarie".

E qui di cose ne racconta tantissime, concentrandosi soprattutto sugli eventi degli ultimi centocinquant’anni, seguendo la datazione della sua casa, costruita nel 1851, epoca che coincide con quella in cui nasce "il mondo moderno vero e proprio".

"Nella nostra vita siamo così abituati a godere di un’infinità di agi – a essere puliti, protetti dal freddo e ben nutriti – che dimentichiamo quanto molti di questi siano recenti. In realtà abbiamo impiegato un’eternità a ottenerli, e a quel punto sono arrivati quasi tutti in una volta. Le pagine che seguono raccontano perché ciò è accaduto, quando e come mai c’è voluto tanto tempo per arrivarci."

Bryson è un gran narratore, simpatico e intelligente.

La prima parte del saggio è dedicata al 1851 (e l'ha giustappunto intitolata "L'anno"), cioè quando venne costruita la casa in cui vive (o viveva quando ha scritto il saggio), ma che fu anche l'anno dell'Esposizione Universale di Londra e qui si scoprono varie curiosità, ad esempio che Colt presentò le pistole di sua invenzione o che uno dei funzionari pubblici che si occuparono dell'Esposizione, Henry Cole, è colui che inventò i biglietti d'auguri natalizi per incoraggiare le persone a usare i nuovi francobolli da un penny.

Non sono quel genere di informazioni che ti migliorano la vita, ma è chiaro che se si affronta una lettura di questo genere è perché si ha interesse anche per queste cose.

La precedente destinazione d'uso della sua abitazione gli dà modo di raccontare come in quegli anni la carriera ecclesiastica e quella militare fossero le attività principali per i figli minori dei pari e della piccola nobiltà. Gli ecclesiastici anglicani erano oltre diciassettemila e godevano di molti benefici, anche economici derivanti dall'affitto dei terreni concessi con la carica. E conferma quello che ho sempre pensato di Jane Austen:

"Jane Austen crebbe in quella che lei considerava una canonica assai modesta a Stevenson, nell’Hampshire, ma la casa era dotata di salotto, cucina, soggiorno, studio, biblioteca e sette camere da letto: una sistemazione tutt’altro che misera."

Cercando di rispondere a una domanda non banale - perché la gente vive nelle case? - è molto divertente ricordando che "per il primo 99 per cento della nostra storia non abbiamo fatto molto oltre a procreare e sopravvivere, ma che poi le popolazioni del mondo hanno cominciato a scoprire l’agricoltura, l’irrigazione, la scrittura, l’architettura, le forme di governo e tutte le altre migliorie dell’esistenza che insieme vanno a formare quella che con affetto chiamiamo civiltà".

Ogni dettaglio diventa un pretesto per raccontare qualcosa di interessante, ricordandomi a tratti la rivista "Focus domande & risposte", un concentrato di curiosità sui più svariati argomenti.

Evidenziando come, in definitiva, sappiamo poco della vita e delle abitudini dei popoli antichi e come paradossalmente, ad esempio riguardo al modo in cui venivano arredate le case, si abbiano più informazioni risalenti agli antichi greci e romani rispetto agli usi dell'Inghilterra della prima metà del Medioevo, inizia il suo viaggio all'interno della casa: atrio, cucina, salotto, sala da pranzo, cantina, andito, studio, giardino, stanza prugna, scale, camera da letto, stanza da bagno, spogliatoio, camera dei bambini e infine la soffitta.

Mi piacerebbe molto se esistesse un analogo saggio italiano perché tutta la parte legata all'etimologia delle parole sarebbe per noi (e per me specialmente, visto il livello infimo del mio inglese) ben più interessante (un esempio, ma potrei farne decine e decine: "In inglese antico lo schiavo si chiamava thrall, ecco perché quando siamo in balia di un’emozione diciamo che siamo enthralled.").

Abbracciando un periodo così vasto, a maggior ragione facendo spesso riferimenti a epoche storiche precedenti al suo anno di partenza (che ricordo essere il 1851), sono molteplici le occasioni in cui Bryson fa confronti fra le usanze del passato e quelle attuali. Non solo: spesso evidenzia come anche in passato la condizione economica determinasse differenze enormi.

In epoche in cui "le case erano dotate di domestici come al giorno d'oggi lo sono di elettrodomestici" e dove "la servitù costituiva una classe la cui esistenza era fondamentalmente dedita a far sì che un’altra classe avesse tutto ciò che desiderava a portata di mano più o meno nel momento stesso in cui le veniva in mente di desiderarlo", loro - i domestici - oltre alla fatica delle interminabili ore di lavoro dovevano sopportare l'essere invisi dai loro padroni, semplicemente perché giudicati inferiori.

"Nei suoi diari, Virginia Woolf è quasi ossessionata dalla servitù e dal timore di perdere la pazienza con i suoi domestici. Di una di loro scrive: «È una sorta di selvaggia: ignorante; illetterata. Quel che si scorge è una mente umana che si dimena nella sua nudità.»"

"Edna St Vincent Millay, contemporanea della Woolf, è ancora più schietta: «Le uniche persone che odio davvero sono i domestici» scrive. «In realtà non sono neanche esseri umani.»"

E le loro condizioni peggiorarono nell’età vittoriana, quando i ricchi cominciarono a pretendere che fossero il più possibile invisibili. Testimoni raccontano di un podere in cui i giardinieri erano obbligati a fare una deviazione di un chilometro e mezzo per svuotare le loro carriole per non rovinare la vista al padrone, mentre in una casa nel Suffolk i domestici dovevano voltarsi con la faccia al muro ogni volta che passava un membro della famiglia.

Una parte molto interessante è quella intitolata "La scatola dei fusibili" che descrive, appunto, come le scoperte legate all'illuminazione cambiarono per sempre il mondo, anche qui evidenziando come nel mondo pre-illuminato le abitudini potessero essere molto diverse in base al ceto di appartenenza. Ad esempio non è vero che tutti andassero a dormire presto per via del buio nelle case: le persone agiate cenavano tardi, partecipavano a feste, eccetera, mentre la servitù - quando era loro consentito - andava a letto presto per la stanchezza.

"Molti avevano giornate di lavoro lunghissime. Uno statuto elisabettiano del 1563 stabiliva che tutti gli artefici (vale a dire artigiani, artisti e manovali) dovevano «trovarsi al lavoro alle cinque del mattino o prima e proseguire senza allontanarsi fino alle sette o alle otto della sera»: una settimana lavorativa di ottantaquattro ore."

Con l'avvento della rivoluzione industriale e la nascita delle fabbriche aumentarono ulteriormente gli orari di lavoro che potevano arrivare addirittura a diciannove ore al giorno, dalle tre del mattino alle dieci di sera!

"Fino all’introduzione del Factory Act del 1833 dovevano sottoporsi a orari simili perfino i bambini di sette anni. In simili circostanze non è sorprendente che la gente mangiasse e dormisse quando poteva."

A questi dati Bryson contrappone descrizioni riportate da diari o lettere dell'epoca da chi viveva nell'agio e nel lusso. 
Nel 1768 Fanny Burney annota: «Facciamo sempre colazione alle dieci, dopo esserci svegliati all’ora che vogliamo; pranziamo alle due precise, prendiamo il tè intorno alle sei e ceniamo alle nove in punto» mentre attorno al 1780 un'altra giovane esponente di quella classe scrive allo storico Edward Gibbon: «Vi racconterò una giornata e voi potrete immaginare tutte le altre: mi sveglio alle nove e alle dieci faccio colazione. Intorno alle undici suono il clavicembalo o disegno; all’una traduco e alle due esco di nuovo, alle tre di solito leggo, alle quattro pranziamo, dopo pranzo giochiamo a backgammon, alle sette prendiamo il tè, poi lavoro o suono il piano fino alle dieci, quando consumiamo una piccola cena, e alle undici andiamo a letto.»

Una cosa che non cambierà mai nel mondo sono le disuguaglianze sociali!

Bryson s
ottolinea quanto la luce artificiale sia una delle cose di cui godiamo e che diamo per scontate ricordando come nell’autunno del 1939, allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, in Gran Bretagna vennero introdotte regole severe per contrastare gli attacchi tedeschi. Il divieto di usare fonti luminose di ogni genere portò le notti inglesi a un buio medievale causando nei primi quattro mesi 4133 morti, tre quarti dei quali erano pedoni: "Senza sganciare una sola bomba, la Luftwaffe stava già uccidendo seicento persone al mese. l’esperienza servì a rammentare a tutti quanto fossimo ormai abituati a un’illuminazione abbondante. Non ci ricordiamo più quanto fosse buio il mondo prima dell’elettricità."

Con il salotto si dedica alla nascita dell'architettura residenziale mentre nella parte dedicata alla sala da pranzo, una delle più interessanti, raccontando il valore che avevano un tempo le spezie, affronta il tema dei grandi esploratori. Il mio concittadino non ne esce bene:

"Sarebbe difficile indicare un personaggio storico che si sia conquistato una fama più duratura mostrando meno competenza di Colombo. Trascorse gran parte dei suoi otto anni di viaggio saltabeccando fra i Caraibi e le coste del Sud America convinto di trovarsi nel cuore dell’Oriente, e che Giappone e Cina fossero appena al di là di ogni tramonto. Non capì mai che Cuba è un’isola e non mise mai piede né sospettò lontanamente l’esistenza del continente a nord che tutti pensano abbia scoperto, gli Stati Uniti. Riempì le proprie stive di comunissima pirite di ferro pensando che fosse oro e di quelli che era sicuro fossero cannella e pepe. La prima era in realtà una corteccia priva di alcun valore, e il secondo non era pepe ma peperoncino, eccellente se hai più o meno capito di che si tratta, ma decisamente lacrimevole al primo morso."
Ma va peggio a da Gama:
"Vasco da Gama era un uomo di una cattiveria mozzafiato. Una volta catturò una nave musulmana con a bordo centinaia di uomini, donne e bambini, chiuse ciurma e passeggeri nelle stive, prese tutte le merci di valore e poi diede l’agghiacciante e gratuito ordine di dare fuoco alla nave. Ovunque andasse, da Gama vessava o massacrava tutti coloro che incontrava, e così facendo stabilì un clima di sfiducia e violenza bruta che avrebbe caratterizzato e svilito l’intera età delle esplorazioni."
Mi aspettavo che dedicasse molto più spazio e approfondimento al tè, tanto amato dagli inglesi, ma del resto Bryson non è inglese e non mi ha stupito che passando a parlare dello zucchero abbia sottolineato come "quasi tutto quello consumato in Inghilterra veniva coltivato dagli schiavi nelle piantagioni delle Indie Occidentali. Abbiamo la riduttiva tendenza ad associare la schiavitù esclusivamente alle piantagioni degli Stati Uniti del Sud, ma in realtà molti altri si arricchirono grazie agli schiavi, non ultimi i mercanti che prima dell’abolizione del commercio di esseri umani nel 1807 trasferirono oltreoceano 3,1 milioni di africani." Verissimo, ma questo non mitiga le colpe... Spiega come la cena sia diventata tale a causa dei continui rinvii dell'orario del pranzo, necessari perché all'epoca gli inglesi benestanti perdevano un mucchio di tempo a scambiarsi reciproche (e inutili) visite di cortesia. E' stato l'intervallo sempre più lungo fra colazione e pranzo a portare all'introduzione del loro lunch.
Anche la parte dedicata alla cantina è stata inaspettatamente interessante. Bryson tratta dei diversi materiali usati nelle varie epoche per costruire le case, e non solo. Dal fango al legno, dalla pietra ai mattoni, dal ferro alla ghisa, fino alla scoperta dell'acciaio. E il ferro gli dà lo spunto per iniziare la parte successiva, che tratta l'andito, parlando della torre Eiffel:
"Non esiste nella storia costruzione al tempo stesso più avanzata dal punto di vista tecnologico, obsoleta per quanto riguarda i materiali, e gloriosamente inutile"
Ma questa parte è dedicata alle invenzioni, in particolare a quella del telefono, dando larghissimo spazio a Bell, ma senza mai citare Meucci. Si passa quindi allo studio e qui il tema sono ratti, topi, pipistrelli e insetti in generale.
"Molte creature hanno così poche pretese, e sono spesso così poco studiate, che quando si estinguono ce ne accorgiamo a malapena"
Il giardino della canonica lo porta a parlare dei parchi delle grandi residenze e della nascita nel XVIII secolo dell'architettura del paesaggio. Racconta anche come nacquero in Inghilterra i miei amati cimiteri-giardini.

La parte dedicata alla stanza prugna viene chiamata così per il colore delle pareti di quello che alle origini della canonica era probabilmente un salotto. Bryson sfrutta questa stanza per parlare di Palladio, della Monticello di Thomas Jefferson e della Mount Vernon di George Washington, mentre dell'evolversi delle pitture usate negli interni delle abitazioni e della carta da parati ne parla nella parte successiva, quella dedicata alle scale, "la parte più pericolosa della casa".

Racconta come, una volta scoperti i pigmenti, le persone benestanti utilizzassero colori molto intensi o addirittura sgargianti per le pareti di casa, sia perché erano sinonimo di ricchezza, sia perché senza elettricità le tinte dovevano per forza essere accese per essere viste anche al lume di candela.

"Lo stesso effetto è stato ottenuto anche a Monticello, dove diverse stanze presentano i gialli e i verdi più accesi. Tutt’a un tratto, George Washington e Thomas Jefferson sembrano avere i gusti decorativi di due hippie."
Di Jefferson cita una curiosità che proprio non sapevo:
 "Fu il primo in America a tagliare le patate in senso longitudinale e poi a friggerle. Oltre a essere stato l’autore della Dichiarazione d’Indipendenza, fu quindi anche il padre della patatina fritta americana."
E si arriva alla camera da letto ("uno strano posto. Non esiste altro luogo in tutta la casa in cui passiamo più tempo facendo di meno"), la parte in cui emergono maggiormente le discriminazioni patite da noi donne in passato (e si può parlare di passato solo a certe latitudini...), quando - per esempio - una donna sposata non era una persona giuridica e quando la nostra istruzione doveva essere sufficiente per renderci utili ai mariti, ma nulla di più.

Bryson passa poi alla chirurgia dell'epoca ed è la parte più truculenta del testo. Fra i vari esempi di operazioni fatte prima dell'invenzione degli anestetici c'è la mastectomia subita nel 1806 da Fanny Burney. Un intervento durato oltre diciassette minuti che la romanziera successivamente ha descritto nei suoi diari. Bryson avrebbe anche potuto limitarsi a scrivere "Il racconto della Burney risulta quasi insopportabile" e gli avremmo creduto sulla parola, senza bisogno di leggere gli stralci riportati.
"Forse non vi è nulla che ci separi in modo così netto dal passato quanto la sbalorditiva inefficacia (e spesso la terrificante sgradevolezza) delle cure mediche di un tempo."
Proseguendo torna a essere divertente parlando di... lutti. Nello specifico dell'infinità di regole vigenti in materia durante l'epoca vittoriana.
"Non c’era nemmeno bisogno di conoscere le persone per cui si era in lutto. Se un marito era stato sposato in precedenza ed era rimasto vedovo, situazione abbastanza comune, in caso di decesso di un parente stretto della prima moglie, la seconda doveva osservare un «lutto complementare», una sorta di cordoglio per conto della consorte scomparsa."

E con altri aneddoti - che strappano più di un sorriso per il benefico effetto dei tanti anni trascorsi e del suo umorismo ("Come se non avessero già abbastanza preoccupazioni, i vittoriani svilupparono curiose ansie riguardo alla morte. Regnava un terrore diffuso della sepoltura prematura, terrore su cui nel 1844 Edgar Allan Poe fece leva con vividi risultati nel racconto omonimo.") - conclude la parte con un accenno alla cremazione, che diventò legale in Inghilterra solo nel 1902, in ritardo rispetto a moltissime altre nazioni.
La stanza da bagno tratta, naturalmente, dell'igiene personale, a partire dai tempi dell'antica Roma. Un tema che strizza l'occhio all'umorismo e che Bryson sfrutta a dovere.
"Il cristianesimo ha sempre manifestato un curioso disagio nei riguardi della pulizia, sviluppando fin dagli inizi la strana tradizione di identificare la santità con la sporcizia. Quando san Tommaso Becket morì nel 1170, coloro che lo seppellirono notarono con approvazione che i suoi indumenti intimi «pullulavano di pidocchi». Per tutta l’età medievale, un sistema quasi infallibile per guadagnare sempiterno onore era fare voto di non lavarsi."
Chiaramente la mancanza di igiene da sempre è un grande alleato delle malattie: anche quando non le causa, di sicuro non le cura. Dalla peste al vaiolo, Bryson riprende (per forza di cose ben più superficialmente) i temi trattati da Carlo Maria Cipolla in "Miasmi e umori" e negli altri suoi saggi, ma il focus resta sulla poca familiarità che in passato gli esseri umani avevano con l'acqua.
"Per alcuni, tuttavia, la sporcizia divenne una sorta di vanto. L’aristocratica Lady Mary Wortley Montagu, una delle prime grandi viaggiatrici della storia, era così lurida che dopo averle stretto la mano una nuova conoscenza sbottò in un’esclamazione di sorpresa. «Cosa direbbe se vedesse i miei piedi?» rispose allegra Lady Mary."
Bryson si diverte moltissimo a perculare i vittoriani ^^
"Ad avvicinare davvero i vittoriani alle vasche da bagno fu tuttavia la consapevolezza che la cosa poteva essere gloriosamente punitiva. I vittoriani avevano una naturale propensione per l’autoflagellazione, e l’acqua divenne un modo perfetto per dimostrarlo."
Leggere mentre facevo colazione la parte riguardante la nascita del sistema fognario e, soprattutto, i vari passaggi che portarono alla sua esigenza non è stata una mossa intelligente...

"Tali masse di umanità producevano naturalmente enormi quantità di feci, ben più di quante potesse accoglierne qualsiasi sistema di pozzi neri. In un rapporto abbastanza tipico per quei tempi, un ispettore informava di aver visitato due abitazioni di St Giles le cui cantine erano invase da quasi un metro di escrementi umani. Fuori, proseguiva la relazione, il cortile era sommerso da quindici centimetri di feci. Per consentire agli abitanti di attraversarlo era stata posata una passatoia di mattoni."
Situazioni di questo genere si traducevano in colossali epidemie di colera, febbre gialla e altre malattie causate da batteri e microorganismi in epoche in cui non si conosceva la loro esistenza. Siamo attorno alla metà del 1800 e si credeva che fosse la puzza a causare le malattie (e qui si ritorna al "Miasmi e umori" di Cipolla).
Nella parte sullo spogliatoio Bryson ripercorre la storia degli indumenti, partendo da ciò che indossava Ötzi, la mummia rinvenuta nell'estate del 1991 sulle Alpi del Tirolo.

"Per chiunque abbia una mentalità razionale, la moda è spesso quasi impossibile da capire. In molti periodi storici – forse in quasi tutti –pare che lo scopo della moda fosse di sembrare il più possibile ridicoli, e se si riusciva anche a stare il più possibile scomodi, il trionfo era assicurato."
Gorgiere, parrucche, crinoline, corsetti, sopracciglia in pelle di topo e altre "ridicolaggini creative" offrono assist imperdibili per l'umorismo di Bryson.

Fu proprio la necessità di filare e tessere il cotone che gettò le basi per la rivoluzione industriale e qui Bryson perde ogni appiglio per la comicità.
Se negli Stati Uniti prima del cotone la schiavitù vigeva in sei Stati e con l’improvviso bisogno di forza lavoro venne legalizzata in altri nove, negli stessi anni in Inghilterra gli stabilimenti tessili in piena espansione iniziarono a sfruttare intensivamente il lavoro minorile. 

"I bambini erano malleabili, costavano poco ed erano generalmente più rapidi a guizzare fra i macchinari e risolvere intoppi, rotture e inconvenienti simili. Anche gli industriali più illuminati sfruttavano senza riserve il lavoro minorile."
Ma ancora più dolente è la parte dedicata alla camera dei bambini. Oltre ad analizzare il fenomeno dell'alto tasso di mortalità infantile ("Le cifre spesso citate dicono che un terzo dei bambini moriva nel primo anno di vita e che la metà non raggiungeva il quinto compleanno. La morte era una visitatrice regolare perfino nelle case più ricche."), Bryson riprende la questione dello sfruttamento minorile descrivendo scenari ben differenti da quelli dei libri della Austen & co. che (vi) fanno tanto sognare: mentre i privilegiati potevano trastullarsi fra balli e sermoni, la realtà per la maggior parte delle persone portava i figli a lavorare in miniera già a cinque o sei anni. Bryson racconta di un piccolo spazzacamino di appena tre anni e mezzo, descrive in cosa consisteva il suo orribile lavoro. Quel bambino ha sicuramente provato lo stesso terrore che affliggerebbe oggi un suo piccolo coetaneo perché neppure la miseria più cupa abitua alla paura.
La cosa che bisogna avere ben presente è che il mondo moderno non è certo esente da situazioni analoghe: si sono solo allontanate geograficamente da noi, così possiamo fare finta di non saperlo. Anche sul fronte della solidarietà sociale non abbiamo fatto molti passi avanti rispetto al 1798 quando il reverendo Thomas Robert Malthus, considerando i poveri responsabili dei loro stessi stenti, si opponeva all’idea di assistenza sociale, che a suo dire avrebbe solo fatto incrementare l’indolenza delle masse perché, scriveva, "anche quando hanno un’occasione di salvezza la sfruttano di rado, perché tutto ciò che va al di là delle loro immediate necessità finisce generalmente in birreria.". Sul reddito di cittadinanza ho sentito e letto commenti anche più ignoranti di questo.

Bryson torna brevemente a parlare dei bambini per specificare che anche quelli nati in famiglie ricche avevano i loro tormenti, ma gli scarsi esempi che fa - riconducibili a un distacco emotivo imposto dai genitori, all'obbligo dell'assoluta obbedienza e a privazioni materiali derivanti dalla mentalità dell'epoca  («A Natale avevamo le arance. La marmellata non la vedevamo mai») - non sono neanche minimamente paragonabili a ciò che hanno dovuto patire da bambini i poveri.
E la "breve" storia della vita privata si conclude in soffitta. Qui l'autore parla di Charles Darwin e raccontando le sue scoperte cerca di mettere in guardia dal mutamento geologico che stiamo vivendo e che in troppi, soprattutto fra i potenti, fingono di ignorare, sottolineando come negli ultimi vent'anni (che sono diventati trenta da quando ha scritto il saggio) abbiamo consumato senza ritegno le risorse che il pianeta può offrirci e che non sono illimitate.

"L’estremo paradosso sarebbe aver creato, nella nostra eterna ricerca dell’agio e della felicità, un mondo privo di entrambi."

Reading Challenge 2023, traccia annuale di gennaio: libri a scelta, la somma delle pagine deve dare 2023 (questo ne ha 536)