Inizio giugno 1984, in una città non specificata. L'immaginazione di Alice va di pari passo con la sua capacità di isolarsi dal mondo quando comincia a fantasticare su qualcosa e nella sua scuola - ex forte militare, con i suoi portici e i suoi cunicoli sotterranei - trova sempre fonti di grande ispirazione. Ma quel giorno è sicura di quello che ha visto mentre era in cortile durante la ricreazione: lo sportello della botola, che era sempre stato sigillato, si è mosso per una folata d'aria. La curiosità la spinge a controllare: si avvicina e davvero non è più chiuso. Una grande tentazione, non può resistere, solleva l'asse di legno e guarda in basso. Dapprima non vede nulla, è troppo buio; poi la vista si abitua e cominciano a spuntare i primi gradini che scendono in basso, quindi riesce a vedere tutta la scala e all'improvviso in fondo a essa si materializza una scarpa da ginnastica rosa. Non una scarpa persa, ma con un piede dentro. Scappa via, torna in classe, dà l'allarme alla maestra, ma non viene creduta né da lei né, in seguito, dalla madre.
Finisce quasi per dare ragione a loro, ha troppa fantasia, si inventa le cose, come quel re dei topi alto quasi due metri a causa del quale i compagni la prendono in giro ancora adesso.
Ma poi arriva il telegiornale della sera: nella zona è scomparsa una ragazza di 16 anni, Martina.
"Alta un metro e sessanta, capelli biondi, fisico esile. Il giorno della scomparsa indossava una felpa bianca, dei jeans azzurri e della scarpe da ginnastica rosa".
Librino (124 pagine) comprato per caso. Dopo una manciata di pagine mi è venuto il sospetto che potesse trattarsi di un auto pubblicato e non ho sbagliato di molto: il seme bianco è una casa editrice per esordienti - un qualcosa di serio (si tratta di un progetto della Castelvecchi), almeno non chiedono soldi agli autori per pubblicare (o per lo meno così scrivono nel loro sito) - ma se mi fossi informata prima dell'acquisto sarei andata oltre, memore dei pentimenti per il tempo e il denaro persi quando in passato sono inciampata in qualche scrittore in erba.
Anche questa volta è andata più o meno così. Il libro pubblicato nel 2018 da Claudia Notarrigo (opera prima, e al momento, unica) ha alla base una buona idea (una penna più esperta ne avrebbe tratto facilmente un thriller sulle 3-400 pagine) resa originale dalla voce narrante, una bambina che frequenta le scuole elementari raccontando i fatti usando esclusivamente il tempo imperfetto, una scelta particolare e non semplicissima.
Il lettore intuisce molto prima di Alice chi è il colpevole e le dinamiche psicologiche che ne hanno fatto un assassino, i pochi passaggi e i pochi personaggi - oltre ad abbassare il numero delle pagine - penalizzano anche le possibili alternative.
Ma il problema del libro è la scrittura dilettantesca, con errori grammaticali ("Se ti fermavi qui avresti battuto tutti i record"), piena di ripetizioni ("Quella sera a tavola i miei accesero il telegiornale. Guardavamo sempre il telegiornale a tavola. Infatti, io e le mie sorelle non potevamo mai parlare quando c’era il telegiornale"), con un abuso costante di punti a formare esclusivamente frasi brevissime (vedi esempio precedente) e del verbo stare, a volte anche usato impropriamente al posto di essere.
Tutti mangiamo, ma pochi sono chef.
E in tanti leggiamo, ma pochi sono scrittori.
Questi libri non li regalano e ci vorrebbe maggiore onestà da parte di chi scrive - per rendersi il conto del lavoro che c'è ancora da fare - e soprattutto di chi pubblica. Hanno anche il coraggio di lamentarsi se la maggior parte dei libri al giorno d'oggi vende solo manciate di copie, quando il motivo è solo uno: troppe persone scrivono senza saperlo fare.
Finisce quasi per dare ragione a loro, ha troppa fantasia, si inventa le cose, come quel re dei topi alto quasi due metri a causa del quale i compagni la prendono in giro ancora adesso.
Ma poi arriva il telegiornale della sera: nella zona è scomparsa una ragazza di 16 anni, Martina.
"Alta un metro e sessanta, capelli biondi, fisico esile. Il giorno della scomparsa indossava una felpa bianca, dei jeans azzurri e della scarpe da ginnastica rosa".
Librino (124 pagine) comprato per caso. Dopo una manciata di pagine mi è venuto il sospetto che potesse trattarsi di un auto pubblicato e non ho sbagliato di molto: il seme bianco è una casa editrice per esordienti - un qualcosa di serio (si tratta di un progetto della Castelvecchi), almeno non chiedono soldi agli autori per pubblicare (o per lo meno così scrivono nel loro sito) - ma se mi fossi informata prima dell'acquisto sarei andata oltre, memore dei pentimenti per il tempo e il denaro persi quando in passato sono inciampata in qualche scrittore in erba.
Anche questa volta è andata più o meno così. Il libro pubblicato nel 2018 da Claudia Notarrigo (opera prima, e al momento, unica) ha alla base una buona idea (una penna più esperta ne avrebbe tratto facilmente un thriller sulle 3-400 pagine) resa originale dalla voce narrante, una bambina che frequenta le scuole elementari raccontando i fatti usando esclusivamente il tempo imperfetto, una scelta particolare e non semplicissima.
Il lettore intuisce molto prima di Alice chi è il colpevole e le dinamiche psicologiche che ne hanno fatto un assassino, i pochi passaggi e i pochi personaggi - oltre ad abbassare il numero delle pagine - penalizzano anche le possibili alternative.
Ma il problema del libro è la scrittura dilettantesca, con errori grammaticali ("Se ti fermavi qui avresti battuto tutti i record"), piena di ripetizioni ("Quella sera a tavola i miei accesero il telegiornale. Guardavamo sempre il telegiornale a tavola. Infatti, io e le mie sorelle non potevamo mai parlare quando c’era il telegiornale"), con un abuso costante di punti a formare esclusivamente frasi brevissime (vedi esempio precedente) e del verbo stare, a volte anche usato impropriamente al posto di essere.
Tutti mangiamo, ma pochi sono chef.
E in tanti leggiamo, ma pochi sono scrittori.
Questi libri non li regalano e ci vorrebbe maggiore onestà da parte di chi scrive - per rendersi il conto del lavoro che c'è ancora da fare - e soprattutto di chi pubblica. Hanno anche il coraggio di lamentarsi se la maggior parte dei libri al giorno d'oggi vende solo manciate di copie, quando il motivo è solo uno: troppe persone scrivono senza saperlo fare.
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