Tokyo, martedì 12 agosto di un anno non precisato. Per Reiko Himekawa stanno per scoccare i 30 anni ed è ancora single: una situazione inconcepibile per la madre, la sorella e la zia, al punto che la madre stessa si prodiga per organizzarle uscite serali con aspiranti mariti, appuntamenti che Reiko manda all'aria o diserta direttamente.
Il lavoro le offre una valida scusante: da due anni è a capo di una squadra di quattro uomini in quanto ispettrice dell'Unità 10 della sezione Omicidi di Tokyo. Un record per una persona così giovane e, soprattutto, per una donna.
Quel martedì la telefonata in arrivo dalla centrale non interrompe una cena galante, bensì un pranzo con il patologo dell'Istituto di medicina legale, una piacevole abitudine mensile che i due sfruttano per chiacchierare del loro argomento preferito: le morti bizzarre.
E il cadavere che Reiko si trova davanti quando arriva a Mizumoto Park di sicuro non è ordinario: l'uomo ha la gola tagliata, il ventre squarciato e un'infinità (94) di altre ferite superficiali sul dorso. Inoltre lo hanno avvolto in sacco di plastica azzurro. Tanta premura per nasconderlo per poi abbandonarlo in riva al laghetto del parco in un punto visibile per chiunque: per Reiko tutto ciò non ha senso, ma presto - grazie a una delle sue incredibili intuizioni - diventerà chiaro che non si tratta di un caso isolato.
Sottotitolo "la prima indagine della detective Himekawa della polizia di Tokyo", "Omicidio a Mizumoto Park" è il primo di una serie di otto romanzi scritti fra il 2006 e il 2017 da Tetsuya Honda, autore giapponese mio coetaneo (1969), molto famoso in patria grazie a questa e ad altre serie.
Soltanto l'anno scorso hanno tradotto in italiano questo primo titolo e a febbraio il secondo della serie, e immagino che andranno avanti, probabilmente anch'io, per lo meno col secondo perché lo avevo già comprato prima di leggere questo, ma adesso che l'ho fatto mi chiedo: c'è davvero bisogno di tradurre in altre lingue storie così banali? Non sarebbe meglio se l'editoria si impegnasse a tradurre autori di livello, posto che ogni nazione sforna già di suo grandi quantità di letture commerciali?
Si potrebbe obiettare che nel mondo c'è spazio per tutto/i (cosa per altro non vera, siamo troppi), ma questo non vale certo per le librerie di casa.
Allora si potrebbe dire che basta scegliere quando si compra: e qui taccio perché potrei solo dare ragione a chi dovesse dirlo.
Quello di Honda è stilisticamente un librino da poco, fra "una ragazza criminalmente sexy" e un ispettore della Omicidi, quello dell'Unità 5, che ad ogni apparizione non manca di apostrofare una donna, spesso Reiko stessa, con tutta una serie di epiteti quali stupida (undici volte), imbecille (quattro), cretina (tre) e una volta scemetta (agli uomini riserva l'appellativo di idioti, quattro volte). L'autore mette in bocca a Katsumata anche un imbarazzante "Quasi mi scordavo, sei in arresto", ma l'uso di un italianissimo "Dio li fa..." mi porta a chiedermi quanta libertà si sia presa la traduttrice.
Peccato perché la storia gialla che il libro racconta non è neppure da buttare: chiaramente il primo non sarà l'unico cadavere di una vicenda che sviluppandosi riuscirà a essere contemporaneamente sia macabra che triste.
Un vero e proprio poliziesco che vede all'opera altre due Unità oltre a quella di Reiko (a cui ovviamente non manca un'esperienza tragica legata al suo passato, come succede a tante - troppe - protagoniste di serie gialle) e dove, più che mai, ho avuto problemi con la memorizzazione dei personaggi, che non sono pochi e che hanno tutti nomi talmente pieni di K, U e H da renderli troppo simili per i miei occhi italiani.
Ma la lettura è stata indubbiamente penalizzata dal confronto con i noir di Matsumoto: gli unici altri gialli giapponesi che ho letto sono i suoi e sono proprio due mondi opposti nella costruzione, nel ritmo, nello sviluppo. Nella serietà.
Perché - e qui arriva il secondo paragone - lo stile e la protagonista di Honda sono del tutto analoghi ai romanzetti di Alessia Gazzola: non potevamo farci bastare Alice Allevi e cercare di portare in Italia altri personaggi giapponesi del calibro di Torigai Jutaro?
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Il lavoro le offre una valida scusante: da due anni è a capo di una squadra di quattro uomini in quanto ispettrice dell'Unità 10 della sezione Omicidi di Tokyo. Un record per una persona così giovane e, soprattutto, per una donna.
Quel martedì la telefonata in arrivo dalla centrale non interrompe una cena galante, bensì un pranzo con il patologo dell'Istituto di medicina legale, una piacevole abitudine mensile che i due sfruttano per chiacchierare del loro argomento preferito: le morti bizzarre.
E il cadavere che Reiko si trova davanti quando arriva a Mizumoto Park di sicuro non è ordinario: l'uomo ha la gola tagliata, il ventre squarciato e un'infinità (94) di altre ferite superficiali sul dorso. Inoltre lo hanno avvolto in sacco di plastica azzurro. Tanta premura per nasconderlo per poi abbandonarlo in riva al laghetto del parco in un punto visibile per chiunque: per Reiko tutto ciò non ha senso, ma presto - grazie a una delle sue incredibili intuizioni - diventerà chiaro che non si tratta di un caso isolato.
Sottotitolo "la prima indagine della detective Himekawa della polizia di Tokyo", "Omicidio a Mizumoto Park" è il primo di una serie di otto romanzi scritti fra il 2006 e il 2017 da Tetsuya Honda, autore giapponese mio coetaneo (1969), molto famoso in patria grazie a questa e ad altre serie.
Soltanto l'anno scorso hanno tradotto in italiano questo primo titolo e a febbraio il secondo della serie, e immagino che andranno avanti, probabilmente anch'io, per lo meno col secondo perché lo avevo già comprato prima di leggere questo, ma adesso che l'ho fatto mi chiedo: c'è davvero bisogno di tradurre in altre lingue storie così banali? Non sarebbe meglio se l'editoria si impegnasse a tradurre autori di livello, posto che ogni nazione sforna già di suo grandi quantità di letture commerciali?
Si potrebbe obiettare che nel mondo c'è spazio per tutto/i (cosa per altro non vera, siamo troppi), ma questo non vale certo per le librerie di casa.
Allora si potrebbe dire che basta scegliere quando si compra: e qui taccio perché potrei solo dare ragione a chi dovesse dirlo.
Quello di Honda è stilisticamente un librino da poco, fra "una ragazza criminalmente sexy" e un ispettore della Omicidi, quello dell'Unità 5, che ad ogni apparizione non manca di apostrofare una donna, spesso Reiko stessa, con tutta una serie di epiteti quali stupida (undici volte), imbecille (quattro), cretina (tre) e una volta scemetta (agli uomini riserva l'appellativo di idioti, quattro volte). L'autore mette in bocca a Katsumata anche un imbarazzante "Quasi mi scordavo, sei in arresto", ma l'uso di un italianissimo "Dio li fa..." mi porta a chiedermi quanta libertà si sia presa la traduttrice.
Peccato perché la storia gialla che il libro racconta non è neppure da buttare: chiaramente il primo non sarà l'unico cadavere di una vicenda che sviluppandosi riuscirà a essere contemporaneamente sia macabra che triste.
Un vero e proprio poliziesco che vede all'opera altre due Unità oltre a quella di Reiko (a cui ovviamente non manca un'esperienza tragica legata al suo passato, come succede a tante - troppe - protagoniste di serie gialle) e dove, più che mai, ho avuto problemi con la memorizzazione dei personaggi, che non sono pochi e che hanno tutti nomi talmente pieni di K, U e H da renderli troppo simili per i miei occhi italiani.
Ma la lettura è stata indubbiamente penalizzata dal confronto con i noir di Matsumoto: gli unici altri gialli giapponesi che ho letto sono i suoi e sono proprio due mondi opposti nella costruzione, nel ritmo, nello sviluppo. Nella serietà.
Perché - e qui arriva il secondo paragone - lo stile e la protagonista di Honda sono del tutto analoghi ai romanzetti di Alessia Gazzola: non potevamo farci bastare Alice Allevi e cercare di portare in Italia altri personaggi giapponesi del calibro di Torigai Jutaro?
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