Fine maggio, giorni nostri. Luigi Araldi da poco più di vent’anni ha una
moglie, Olga, un figlio, Luca, e una libreria che ha chiamato Luigi, come lui
e come Pirandello, il suo scrittore preferito. Ma la sua laurea in lettere e
il suo infinito bagaglio culturale non saranno sufficienti a permettergli di
replicare all’anziana e schietta cliente che il giorno del cinquantesimo
compleanno del libraio lo manderà a tappeto dicendogli che ne dimostra come
minimo dieci di più!
Un commento avvilente che scatenerà una specie di
effetto domino in Luigi, portandolo a dare un taglio a molte cose della sua
vita, a cominciare da barba e capelli…
Che brutto libro! Che grande
delusione! A fregarmi spingendomi all’acquisto è stata la prima frase della
sinossi (“Ironia e dramma per narrare in prima persona la crisi umana e
intellettuale di un libraio cinquantenne sovrastato da clienti nevrotici e
molesti”): quel riferimento ai clienti mi aveva fatto pensare che fosse una
sorta di versione italiana del - da me tanto amato - “Una vita da libraio”,
dove avevo trovato la perfetta descrizione della mia vita da
giornalaia e che
per questo mi aveva fatto divertire e provare quella bella solidarietà
che lega noi commercianti a prescindere dalla tipologia di merce
venduta.
Invece no. Che il protagonista del libro li venda ha
determinato soltanto l’inserimento da parte dell’autore di dialoghi surreali,
inutili, noiosi e ridicoli fra Luigi e i “fanstasmi” di personaggi letterari
celebri, da Vitangelo Moscarda a Samsa, passando per Lord Wotton e Gwynplaine,
altrimenti la sua professione sarebbe stata irrilevante.
La storia non
è quella di un libraio, ma quella di un uomo sbalestrato dal compimento dei 50
anni (sensazione che da tredici mesi ho tristemente chiara) e a cui è
sufficiente il giudizio poco educato di un’anziana donna per dare il colpo di
grazia a tutti i pilastri della sua vita, fragili ormai da tempo.
Non
amo i drammi esistenziali, neppure nei libri, anche se molti che li trattano
sono splendidi, ma questo no. La storia viene sviluppata in modo debole e
sciocco, il protagonista non suscita né simpatia né empatia, è un isterico e
immaturo piagnone di cui vengono spesso elencati gli espletamenti delle
funzioni fisiologiche (forse con l’intento, mancato, di farlo apparire
divertente), che si mette al volante ubriaco (salvato solo dalla macchina che
non parte), che prima di un amplesso se ne esce con un penoso “che la festa
abbia inizio” (cosa che mi renderebbe frigida per l’eternità) e che cerca di
possedere la moglie nonostante lei non ne abbia dichiaratamente voglia (e
senza fare nulla per fargliela venire).
Gli altri personaggi sono
inconsistenti e spesso stupidi, i dialoghi vuoti, le situazioni grottesche e
tutto quanto è stereotipato in maniera fastidiosa.
Brutta cosa
quando i libri si rivelano una perdita di tempo, soprattutto quando si hanno
50 anni (o più) e la maggior parte di quello che abbiamo a disposizione è già
stato vissuto.
Reading Challenge 2020: questo testo risponde alla traccia normale di dicembre