lunedì 31 gennaio 2022

"Il diavolo nel cassetto", Paolo Maurensig



Küsnacht (Svizzera), settembre 1991. E' qui che Carl Gustav Jung visse e morì nel 1961 e proprio in occasione del trentennale dalla dipartita la cittadina organizza un convegno di psicanalisi.
Un giovane arriva dalla vicina Zurigo con il compito affidatogli dallo zio, nonché datore di lavoro, di trovare i giusti contatti al fine di inserire nel catalogo della casa editrice di cui è proprietario una collana dedicata alla materia.
Il giovane viene colpito dall'intervento di un sacerdote e siccome i due alloggiano proprio nella stessa Gasthof, trascorrono la serata insieme: e il prete ha una storia incredibile da raccontare, quella del diavolo nel cassetto...

"Che cosa ci può indurre al gravoso compito di riordinare tutti gli oggetti inutili che abbiamo accumulato negli anni senza mai trovare il coraggio di buttare? L’imminenza di un trasloco forse, oppure – come nel mio caso – la necessità di dover sgomberare una stanza, rimasta finora deposito di cianfrusaglie, per poterla destinare a un diverso utilizzo. Altro non mi viene in mente. Prima di separarci da un oggetto qualsiasi ci pensiamo bene, e il piú delle volte scegliamo di conservarlo, convincendoci che in futuro potrebbe tornarci utile. E intanto le cose vanno accumulandosi, finché non siamo costretti a fare tabula rasa."

Così inizia questo librino di appena 114 pagine, scritto nel 2018, e già da qui dovevo capire che non saremmo andati d'accordo perchè io sono proprio (fieramente) l'opposto di un'accumulatrice seriale.

Lo avevo inserito in wish list dopo aver ascoltato una recensione entusiastica su un canale YouTube che da tempo ho smesso di seguire perché la ragazza è piacevole da ascoltare, ma ha gusti troppo diversi dai miei. E infatti...

Ho colto e condivido il messaggio che Paolo Maurensig - autore scomparso nel maggio dell'anno scorso - ha voluto trasmettere con questa storia, la sua analisi del mondo editoriale (al diavolo dà proprio il ruolo dell'editore) e la sua ironia sulla dilagante convinzione che hanno molti di essere in grado di poter scrivere un libro (per carità! Così come tutti mangiamo e molti amano cucinare, ma pochissimi sono chef, allo stesso modo siamo tutti in grado di leggere e molti amano scrivere, ma pochissimi sanno scrivere un libro).

"Piú alto è il numero delle persone che si dedicano alla stessa attività creativa, tanto piú questa decade. O forse, invertendo i termini dell’enunciato: quanto piú un’arte decade, tanto maggiore è il numero delle persone che vi si dedicano."

A piacermi sono stati il particolare sistema matrioska che Maurensig usa per sviluppare la storia - chi scrive racconta quello che ha letto in un manoscritto dove l'anonimo autore a sua volta racconta quello che gli ha raccontato un prete - e il fatto che alla fine proprio il prete e non il diavolo sia il personaggio più oscuro.

Ma ho trovato la scrittura antiquata (forse volutamente, ma non avendo letto altro di suo non posso saperlo) e in generale non mi è proprio piaciuta l'allegoria, oltre a infastidirmi il macabro ruolo dato alle volpi, animali terrorizzanti e portatori di rabbia: non è il loro verso a essere agghiacciante, ma l'uccidere i loro cuccioli spargendone i resti nel bosco per tenerle lontane dall'abitato. Non sono sicura di voler sapere se da qualche parte venga fatto davvero o se sia solo una fantasia (nel caso di cattivo gusto) di Maurensig...

L'ultima nota riguarda la descrizione che fa degli abitanti dell'immaginario borgo svizzero di Dichtersruhe:

"Persino i turisti, che rappresentavano una parte importante dell’economia locale, erano appena tollerati, considerati un male necessario, e tutti tiravano un sospiro di sollievo nel vederli ripartire a fine estate"

Se esistesse dovremmo annetterlo immediatamente alla Liguria ^^

Reading Challenge 2022, traccia di gennaio: un libro di un autore morto nel 2021

 

sabato 29 gennaio 2022

"La badessa di Castro", Stendhal



Colli Albani (Roma), 1559. E' l'anno in cui gli sguardi di Elena e di Giulio si incrociano: cinquecento anni fa Cupido aveva una mira migliore e subito scocca l'amore.
Lei ha 17 anni, lui 22. Lei appartiene a una famiglia nobiliare, quella dei Campireali, lui - che di cognome fa Branciforte - è un brigante.
Un'unione impossibile, e poi per Elena il futuro è già stato deciso e si chiama convento.

Detto e ridetto: non amo i classici. Ma sono una persona pratica e trovare la lettura di un classico già nelle tracce di gennaio della Reading Challenge è stato un po' un sollievo, mi sono detta: "Togliamoci il pensiero, va" ed ho puntato su questo perchè breve (140 pagine) e perchè Stendhal lo aveva scritto ispirandosi a documenti autentici sulle pene capitali risalenti all'epoca rinascimentale, cosa che mi aveva fatto sperare in un'opera con un'impronta fortemente storica.

E difatti il primo capitolo, purtroppo breve, mi è piaciuto. Lì Stendhal inquadra storicamente la vicenda e, sebbene non ami particolarmente quell'epoca, la storia risveglia sempre il mio interesse. Interesse che si è presto esaurito proseguendo nella lettura di quello che mi è sembrato un Harmony dell'epoca, neppure tanto originale.

Se si vuol leggere un bel libro su tematiche analoghe, allora consiglio "La monaca di Monza" di Roberto Gervaso, letto quasi quarant'anni fa e che ricordo ancora con molto piacere.
La badessa di Stendhal non regge il confronto, ho apprezzato l'espediente narrativo (anche questo non originale, ma comunque particolare) del far raccontare la storia da qualcuno che traduce per il lettore dei vecchi manoscritti e anche l'immagine (realistica, quindi biasimabile) che l'autore dà del clero, ma la brevità del racconto penalizza l'introspezione dei personaggi - che restano solo accennati - e la dinamica degli eventi. Nella prima metà i pochi fatti che si verificano vengono descritti a lungo finendo con l'annoiare mentre nella seconda succede di tutto e quel tutto viene solo abbozzato, come se ci fosse la necessità di arrivare in fretta alla fine, e probabilmente c'era davvero dato che la storia venne pubblicata in due puntate su "La Revue des Deux Mondes" (la più antica rivista europea fra quelle ancora esistenti).

Questo me lo ha detto Wikipedia, ma - se la lettura di Stendhal mi ha fatto sbuffare in più di un'occasione (eh, capita quando non si amano i classici...) - cercare notizie sui documenti a cui si era ispirato mi ha fatto scoprire l'esistenza di "La badessa di Castro. Storia di uno scandalo" edito da Il Mulino e firmato da Lisa Roscioni, docente di Storia Moderna presso l'Università di Parma, che ricostruisce la storia basandosi sui verbali originali del processo e questo saggio sì che lo leggerei volentieri.

Reading Challenge 2022, traccia di gennaio: un classico

 

venerdì 28 gennaio 2022

"Hotel World", Ali Smith



Gran Bretagna, 24 maggio 1999 e mesi successivi. I Global Hotel sono una catena di alberghi di lusso, identici fra loro a qualunque latitudine e longitudine. Qui siamo nel nord dell'Inghilterra, o più probabilmente in Scozia, in una città non troppo grande che non viene mai nominata.
Sara Wilby ha 19 anni e lavora al Global Hotel solo da due giorni quando ci muore.
Else Frerman del Global Hotel può permettersi di usare solo il marciapiede, per mendicare, ma una notte le viene offerto l'uso gratuito di una stanza perché fuori fa troppo freddo.
Lise O'Brien ha 25 anni e lavora alla reception del Global Hotel da diciotto mesi quando si ammala.
Anche Penny Warner ha 25 anni, fa la giornalista e soggiorna al Global Hotel per recensirlo.
Infine c'è Clare Wilby, che ha solo 15 anni e per giorni e giorni si siede di fronte al Global Hotel a fissarlo, finché un giorno ci entra indossando la divisa di riserva di Sara perché non crede al suicidio e vuole capire cosa sia successo a sua sorella.

Secondo romanzo scritto nel 2001 (il primo, "Like", non è ancora stato tradotto in italiano) da quest'autrice di cui a colpirmi era stata la città di nascita, Inverness, perché mio marito simpatizza per la squadra di calcio.
L'anno scorso avevo comprato la tetralogia "Autunno", "Inverno", "Primavera" ed "Estate" con l'intenzione di leggerli per la traccia annuale relativa alle stagioni dell'anno, cosa che poi non ho fatto per mancanza di tempo e ora, dopo aver letto questo, mi chiedo se avrò mai il coraggio per affrontarla.

"Hotel World" è un romanzo breve (195 pagine) che mi ha messa molto in difficoltà confermando tutti i limiti che già sapevo di avere verso il postmodernismo. Pur riconoscendo la bravura di chi scrive, con punte di vera e propria genialità, certe forme stilistiche sono troppo per me: troppo costruite, troppo aperte, troppo stravaganti e alla fine non posso dire di aver apprezzato la lettura.

Questo non mi ha impedito di capire che sia un libro di qualità che raggiunge l'apice proprio nel capitolo per me più ostico, quello dove la voce narrante è Clare: totalmente privo di punteggiatura e con l'uso della e commerciale al posto della e di congiunzione, è destabilizzante, un flusso continuo di parole, di pensieri presi e abbandonati, iniziati e poi interrotti, poi ripresi e sovrapposti ad altri. Insomma, un vero casino, che però trasmette magistralmente l'inquietudine, il disagio, la solitudine e il dolore che stanno opprimendo questa ragazzina.

Ma tutto il libro è fatto più di pensieri che di azioni, con dialoghi ridotti al minimo e frasi spesso brevissime oppure con periodi lunghi o lunghissimi, perché la Smith ha dato a ciascuna delle sue protagoniste un linguaggio proprio e molto ben delineato, che le contraddistingue.

Un libro a tratti delirante (esempio: dieci minuti di lettura sulla ricerca di un oggetto affilato che permetta ai due personaggi coinvolti di poter svitare una vite), con molta introspezione, ma con un'analisi che però non arriva mai (volutamente) a fare chiarezza, appena si riesce a capire qualcosa di una delle donne - ognuna protagonista del proprio capitolo - questo finisce senza portare a quel punto definitivo che personalmente amo e voglio avere dallo scrittore.

E' un libro che necessita di molta concentrazione, o per lo meno è servita a me perché tutti quei pensieri tendevano a distrarmi, almeno finché non riuscivo a capire dove mi volesse portare la Smith. E porta sicuramente a fare grandi riflessioni, sui divari sociali e le conseguenti ingiustizie, ma soprattutto sulla vita, sulla morte, su come i giovani si sentano immortali.

Perché se è vero che la "stanza di legno" aspetta ciascuno di noi, è anche giusto cercare di non finirci dentro prima del dovuto. Non a 19 anni, per esempio...

Reading Challenge 2022, traccia di gennaio: un libro con delle chiavi in copertina

 

mercoledì 26 gennaio 2022

"Il senso di una fine", Julian Barnes



Londra, anni attorno al 2010. Tony Webster ha poco più di sessant'anni, è un padre, un nonno, un ex marito, un pensionato. Conduce un'esistenza tranquilla, senza tante sorprese, rassicurante per tanti, banale per molti.
Un giorno riceve un'eredità inaspettata: un lascito di 500£ e un diario. Ma il diario è in mano a qualcuno che rifiuta di restituirlo e questo apre una finestra nel passato di Tony, i ricordi di quando era poco più di un adolescente e a scuola era arrivato un nuovo ragazzo, Adrian Finn, così intelligente, così brillante, così diverso da lui.

Scritto nel 2011, titolo italiano tradotto fedelmente dall'originale (meno male, è perfetto), quarto romanzo che leggo dell'autore. Ed è quello che d'ora in poi porterò come esempio quando mi capiterà di spiegare cosa apprezzo dei libri brevi (di quelli scritti bene): la capacità di raccontare quello che si vuole raccontare in maniera chiara, approfondita, completa, riuscendo ad appagare il lettore senza bisogno di arrivare a 300-400 pagine o più, che tante volte vengono riempite di niente (e questo è il motivo per cui spesso non apprezzo i tomi, anche se ovviamente le eccezioni ci sono sempre, in entrambi i casi).

Barnes in 160 pagine, divise in appena due capitoli, delinea perfettamente i suoi personaggi, ci fa conoscere il passato e il presente. Per i quarant'anni che ci sono in mezzo gli basta un tratteggio, in pochi cenni dà al lettore tutto quello che gli serve per capire in profondità chi è Tony e tutto quello che gli è ruotato attorno e che gli è successo: bisogna essere bravi per riuscirci.

Più di una volta mi sono trovata a pensare che un protagonista come Tony avrebbe potuto nascere anche dalla fantasia di Carofiglio, ma - considerando la diversità di spessore che hanno Guerrieri e Fenoglio - deve essere stato qualcosa nel modo di scrivere a ricordarmi il suo stile.

"Ricordo una sbronza triste a una festa il primo semestre di studi, e ricordo di essermi sentito rispondere a una ragazza pietosa che mi chiedeva se stavo bene: «Credo di essere un maniaco depressivo», perché al tempo l’espressione mi pareva piú prestigiosa di un semplice «Sono un po’ giú». E solo quando ribatté: «Oh, no, un altro!», affrettandosi a sparire, mi resi conto che, lungi dall'essermi distinto dalla folla festante, avevo appena sperimentato la peggior battuta di abbordaggio possibile"

Un romanzo maschile, nella penna e nella chiave di lettura, ed è forse per questo che non sono d'accordo con la considerazione finale (credo anche che possa risultare offensivo per chi si trova a vivere nella realtà la situazione descritta perchè la compassione, anche quella dettata dall'affetto o da qualcosa di analogo, non è piacevole da ricevere) mentre con un po' di tristezza mi sono ritrovata nei pensieri di Tony, che ha solo una decina d'anni più di me, riguardo all'età e al trascorrere del tempo.

"Quando si è giovani, chiunque superi i trent’anni ci sembra di mezza età, chiunque superi i cinquanta, decrepito. E il passare del tempo ci conferma che non sbagliavamo di molto."

Se non volessi essere cremata inizierei anch'io a pensare alla frase che vorrei scritta sulla mia tomba...

Reading Challenge 2022, traccia di gennaio: un libro di un autore che hai già letto

 

domenica 23 gennaio 2022

"Una famiglia americana", Joyce Carol Oates



New Jersey (Stati Uniti), febbraio 1976. E' dall'estate del 1955 che i Mulvaney abitano alla High Point Farm, una tipica fattoria americana dal particolare color lavanda. Un padre, una madre, tre figli maschi, una femmina e poi cani, gatti, cavalli e il canarino Piumotto. Due genitori molto diversi tra loro, così come nessun figlio somiglia a un altro, ma un nucleo legato, allegro, sereno e ben integrato nella vita provinciale della contea.
Finchè nel febbraio del '76 tutto cambia: un membro della famiglia subisce qualcosa di devastante non solo per sé, ma per l'intera famiglia che non riesce nè a compattarsi nè a reagire nel modo giusto, e che - insieme all'intera comunità e al sistema giudiziario - intrisi di perbenismo, bigottismo e maschilismo, riescono a fare la cosa più spregevole (e che succede spesso ancora oggi): colpevolizzare la vittima.

Anche se siamo a gennaio e da qui a dicembre leggerò probabilmente un altro centinaio di libri, so già che questo finirà nella mia top ten.

Scritto nel 1996, tradotto in italiano solo nel 2010, titolo originale "We were the Mulvaneys", trovo sia un libro perfetto per i gruppi di lettura perchè se la sua trama è riassumibile in poche frasi, quello che racconta crea l'esigenza del confronto, il bisogno di esternare i propri pensieri sulle vicende e sui personaggi.

La storia, divisa in quattro parti, ha come voce narrante quella del figlio minore, Judd, nato l'11 luglio 1963, che a trent'anni ci racconta i fatti, non solo quelli cruciali del 1976, ma il prima e il dopo, episodi (pochi) vissuti in prima persona e molti ricordi di altri.

Una narrazione completa e potente, che a tratti mi ha ricordato quella di Roth ne "La macchia umana". La Oates riesce a trasmettere le sensazioni provate dai suoi personaggi portando chi legge a far capire le reazioni, anche se profondamente diverse da quelle che personalmente avrei voluto per loro.

Un libro che mi ha trasmesso un profondo senso di ingiustizia. E di rabbia, nei confronti dei genitori e della famiglia in generale, per il modo in cui si isolano (e soprattutto isolano), prendendo le distanze da chi "quella cosa" l'ha subita, incapaci di affrontarla insieme, non riuscendo a superarla condannandosi al disfacimento.

Ho impiegato più di tre settimane a leggerlo, sia perchè è un bel tomo da 502 pagine, sia perchè è uno di quei libri che mi danno conforto e che quindi non voglio bruciare, come la saga dei Cazalet, in gran parte per lo stile di scrittura appagante e rilassante al di là dei temi trattati, ma anche perchè mi piace sempre di più entrare a far parte, anche se solo da lettrice, di queste grandi famiglie. La mia - che numericamente è sempre stata povera - è ormai ridotta all'osso, solo un marito e una sorella. Invecchiando il passato aumenta e mi ritrovo a pensarci con una frequenza che dieci, venti o trent'anni fa non c'era.

Faccio un appunto a Il Saggiatore: non che le copertine americane siano più belle, anzi, ma perchè scegliere di mettere il disegno di villette a schiera che non hanno nessun rimando alla storia anzichè chiedere a un illustratore di immaginare una fattoria color lavanda con la base in pietra?

Viceversa ho amato il modo in cui l'autrice fa diventare piccoli protagonisti anche gli animali. Alcuni finiscono immancabilmente mangiati (con personaggi umani in una storia è impossibile che un libro sia vegano, lo sto cercando da anni...), ma ce ne sono tantissimi molto amati e hanno nomi adorabili, dal cavallo Trifoglio al canarino Piumotto e in mezzo i cani Stivaletti, Tremulo, Seta con i gatti Lentiggini, Maschiaccio e Ciambella. Ma soprattutto Focaccina! Non so quando si aggiungerà un nuovo membro alla mia tribù, ma chiunque sarà ha già il suo nome, il massimo per un gattino o per una gattina genovese ^^

Il libro regala tante meravigliose dichiarazioni di amore per gli animali e fra le tante ho scelto di ricordare questa:

"Adoravo quelle creature selvatiche. Non avrei mai potuto cacciarle. Non avevano nomi, a differenza degli animali di High Point Farm. Non potevi chiamarle, o identificarle. Di giorno, non appena le intravedevi, svanivano. Come per rifiutare l'autorità dei tuoi occhi. Avevano il potere di apparire e scomparire. E così doveva essere: non come nel libro della Genesi, dove Adamo dà nome alle creature di terra, mare e cielo, e Dio gli concede il dominio su di loro. Niente affatto.
Il mese successivo si sarebbe aperta la stagione della caccia ai cervi nella valle di Chautauqua e dall'alba al tramonto avremmo sentito i maledetti fucili esplodere colpi tra boschi e campi, visto i furgoni dei cacciatori parcheggiati a lato della strada e spesso sulla nostra proprietà. Ogni anno (grazie a una legge della contea a favore dei "diritti dei cacciatori") papà doveva disseminare sulla nostra proprietà nuovi cartelli a lettere arancio con DIVIETO DI CACCIA DIVIETO DI PESCA se volevamo tenere lontani i cacciatori, ma i cartelli, disposti ogni cinquanta metri, facevano poca differenza: i cacciatori facevano quello che volevano, quello per cui sarebbero rimasti impuniti. Per l'intero inverno non avevamo praticamente visto una sola cerva nei pressi di casa, e di rado qualche maschio. I maschi dei cervi venivano uccisi per farne teste impagliate con i palchi di corna da appendere alla parete come trofei. Orribili occhi di vetro nelle orbite che un tempo contenevano occhi vivi. Mamma piangeva di rabbia nel vedere i corpi dei cervi attaccati ai parafanghi dei veicoli dei cacciatori, carne ormai morta, e a volte si metteva a parlare con loro, coraggiosamente, forse avventatamente. Diceva che uccidere per puro divertimento è da delinquenti."

Reading Challenge 2022, traccia di gennaio: un libro incentrato su una famiglia

 

venerdì 21 gennaio 2022

"Un ultimo pezzo di cuore", Mary Higgins Clark e Alafair Burke



Long Island (Stato di New York), giorni nostri. Sono passati tre mesi da quando Alex Buckley è stato nominato Giudice Federale e il lungo fine settimana di luglio appena iniziato sarà uno dei più importanti della sua vita: compirà 40 anni, ma soprattutto sposerà la donna che ama.
Lui e Laurie hanno scelto di avere accanto soltanto i familiari stretti e per l'occasione li hanno invitati negli Hamptons: la famosa produttrice televisiva di "Under Suspicion" avrà al suo fianco il figlio Timmy e il padre Leo, mentre per Alex li raggiungerà da Washington il fratello Andrew con la moglie e i loro tre figli.
Ma sulle spiagge bianche è arrivata anche un'altra persona senza essere stata invitata e tutti loro se ne renderanno conto quando non riusciranno più a trovare Johnny, uno dei nipoti di Alex.

Un altro romanzo postumo di Mary Higgins Clark, il settimo con protagonista Laurie Moran e il sesto firmato anche da Alafair Burke per la serie "Under Suspicion". La storia gialla di ogni romanzo è autoconclusiva, mentre la trama orizzontale che riguarda la vita personale della protagonista si evolve.

Ad agosto avevo letto "Perchè mi appartieni" dove la frase finale mi aveva fatto pensare che fosse l'ultimo del filone, ma sbagliavo e ne sono contenta perchè - come dico sempre - mi piacciono molto i cold case e, altra cosa che ripeto, quando finiranno di trovare nel cassetto romanzi postumi della Higgins Clark spero che la Burke si "impossessi" della serie e la prosegua firmandoli da sola.

In questo per la prima volta i ringraziamenti finali sono scritti al plurale: era ora. Nei precedenti la sua partecipazione era limitata al nome scritto (in piccolo) in copertina e anche "Un ultimo pezzo di cuore", come tutti gli altri, non sembra affatto un libro scritto a quattro mani.

Stile, trama, ambientazione, personaggi, dialoghi, ogni cosa rispecchia totalmente quello che ha sempre reso i romanzi di Mary Higgins Clark tutti molto simili fra loro, ma di conseguenza anche riconoscibili e ogni volta mi chiedo quale contributo abbia dato la Burke.

Mettendola quindi da parte, dico che al 53° libro della vera autrice mi risulta impossibile trovare qualche osservazione originale da fare, l'unica questa volta riguarda la riflessione sul rischio che si corre nel rendere pubblici attraverso i social dettagli privati, ma oltre a questo il mio parere è sempre lo stesso: i suoi romanzi riescono a prendermi dalla prima frase e se anche gli indizi che semina sono facilmente individuabili, il ritmo che riesce a dare alla storia è incalzante e avvincente. Sono libri che mi chiamano a gran voce "dal comodino", sarebbe un sogno se fosse sempre così (cosa che invece non è) ed è per questo che non mi ha mai stancato e pazienza se i suoi finali sono sempre favorevoli ai protagonisti (come del resto in quasi tutti i gialli, thriller e noir) e se le ultimissime pagine sono sempre degne del più lezioso fra i  romanzetti rosa (figuriamoci in questo ^^).

Reading Challenge 2022, traccia di gennaio: un libro pubblicato in Italia nel 2021

 

domenica 16 gennaio 2022

"Una madre non sbaglia", Samantha M. Bailey



Chicago (Illinois), agosto 2017. Morgan Kincaid, 43 anni, è una brava persona, ma da un anno e mezzo non lo pensa più nessuno. Il marito Ryan si è suicidato dopo aver truffato tutti, gli amici, i colleghi, i conoscenti e perfino i parenti. La polizia non ha trovato le prove della complicità di Morgan, ma il sospetto è rimasto facendo di lei una donna sola.
Alle 17.30 del 7 agosto è sul binario della stazione della metropolitana ad aspettare il treno che la porterà a casa dopo il lavoro quando una donna trasandata e dallo sguardo sconvolto le si avvicina, la afferra e - chiamandola per nome - le mette di prepotenza un neonato in braccio dicendole: "Per favore, prendi la mia bambina, amala".
Un attimo dopo arriva il treno e la donna si getta fra i binari. In seguito nessuno dei presenti è in grado di testimoniare se le cose siano andate come dice Morgan oppure se sia stata lei a prendere la bambina e a spingere la madre uccidendola.
Ed è così che l'incubo ricomincia, ma questa volta Morgan è decisa a fare di tutto per dimostrare la sua innocenza.

Opera prima, e per ora unica, dell'autrice canadese Samantha M. Bailey. Scritto nel 2019 è un thriller psicologico con pregi e difetti, che si distingue per l'originalità della sua struttura e che sembra molto più lungo delle sue reali 252 pagine per tutti gli eventi che si verificano.

Il titolo originale ("Woman on the edge", donna al limite) è molto più azzeccato rispetto a quello scelto da Garzanti. E' una storia quasi completamente al femminile che ha come assolute protagoniste Morgan e Nicole. I capitoli dove Morgan racconta il suo presente in prima persona si alternano a quelli dedicati a Nicole dove, in terza persona, ci viene descritto quello che per lei è il presente, ma che per noi che leggiamo è il passato perchè fin dall'inizio sappiamo cosa le succederà quel 7 agosto. La sua morte è il punto di giuntura per tutto e solo alla fine si saprà cos'è realmente accaduto e tutti i tasselli, grandi e piccoli, andranno al loro posto.

In realtà ben prima di essere arrivata alla metà ho detto a mio marito quello che per me era il nome del o della colpevole e avevo ragione, ma l'intuizione non mi ha tolto il piacere della lettura proprio grazie all'intrigo dato dal modo alternato in cui la Bailey ha raccontato la storia.
Lo stile di scrittura non brilla - i dialoghi sono spesso di una banalità sconcertante ("Non puoi salvare qualcuno che non vuol essere salvato", "Credo ci sia lo zampino di xxx", ecc...), al pari dei ragionamenti dei personaggi a cui si vorrebbe spesso poter dire: "Ma sei scema/o??" - e certi particolari che li riguardano sono inverosimili - ad esempio la posizione lavorativa raggiunta da Nicole che a 22 anni crea dal nulla, senza mezzi nè titoli particolari, una società arrivando a farla quotare in Borsa sette anni dopo - ma quell'alternanza fra il presente e il "prima" è davvero coinvolgente, l'autrice riesce a chiudere quasi ogni capitolo con un piccolo acme facendo quasi venire voglia di saltare il successivo capitolo dedicato all'altra protagonista per sapere subito cosa succede a quella di cui abbiamo appena letto gli sviluppi.

La Bailey inserisce tanti (troppi) temi importanti (lutti pesanti, depressione post parto, solitudine, squilibri di vario genere) finendo con il non approfondirne nessuno, ma questo è un thriller ed è riuscita a dare molta più suspense di tante firme affermate, aggiungendo un certo carico di tristezza quando il passato di Nicole si avvicina al 7 agosto, sapendo che sarà il suo ultimo giorno di vita.

Reading Challenge 2022, traccia di gennaio: un libro con un legame di parentela nel titolo

 

mercoledì 12 gennaio 2022

"Il mio gatto mi mangerà gli occhi?", Caitlin Doughty



Caitlin Doughty ha fatto quello che chiunque lavori a contatto con il pubblico (giornalai compresi) dovrebbe e vorrebbe fare: raccogliere in un libro tutte quelle stramberie che si è costretti a sentire, vedere e subire nell'arco della giornata. Perchè, se voi pensate di essere (e sicuramente lo sarete) clienti e/o utenti sensati, una buona parte fa o chiede cose talmente strane da farci venire il dubbio di essere su candid camera!

E siccome la Doughty fa la necrofora, le domande che si sente fare riguardano la morte.

A febbraio dello scorso anno avevo letto "Fumo negli occhi e altre avventure dal crematorio", lettura più seria di quanto la sinossi facesse credere, mentre questa volta è successo il contrario e se avessi letto lì la frase con cui iniziano i ringraziamenti finali ("Questo libro non sarebbe mai esistito senza centinaia di domande di angioletti morbosi") non so se lo avrei comprato.

La fama che l'autrice ha negli Stati Uniti la porta a presenziare a conferenze in giro per il Paese e anche nelle scuole ed è qui che si è sentita rivolgere le domande a cui risponde. Alcune sono proprio... da bambini ("Se muoio facendo una boccaccia mi resterà per sempre?"), ma nelle risposte la Doughty fornisce sempre informazioni interessanti, il problema è che lo fa rivolgendosi a un pubblico di piccoli lettori trasformando il suo umorismo macabro (che avevo tanto apprezzato nell'altro testo) in uno stile caricaturale che mi ha rovinato il piacere della lettura.

Pur usando una forma infantile, riesce a dare risposte esaustive.
La descrizione di cosa avviene a un corpo in caso di morte nello spazio, quindi a causa dell'assenza di pressione atmosferica, fa pensare che le donne accusate di stregoneria e arse vive su una pira siano state fortunate!
Racconta la triste fine di Stuckie, il cane morto in Georgia incastrandosi in un albero cavo mentre inseguiva uno scoiattolo (e di come si è conservato il suo corpo) e la fine orribile degli animali dello zoo nella striscia di Gaza abbandonati per via della guerra e poi ritrovati mummificati.
Spiega la legge sul vilipendio dei cadaveri che, tra l'altro, impedisce agli impresari di pompe funebri di amputare gli arti ai morti per farli entrare più agevolmente nelle bare o ai congiunti di pretendere qualche osso del defunto per fane un monile.
Racconta cosa erano i Leichenhaus nella Germania di fine Settecento e descrive cosa facevano gli antichi egizi per mummificare i cadaveri e cosa va fatto oggi per ottenere la plastinazione di un corpo.
Spiega come avviene il rigor mortis, cosa sono la putrescina e la cadaverina, come musei e laboratori forensi usino i dermestidi per scarnificare un cadavere.
Ci dice che tutti i cadaveri umani in stato di decomposizione hanno lo stesso odore e che è uguale solo a quello dei maiali.

Peccato davvero per il modo in cui è stato scritto, sdrammatizzante all'eccesso. Non ho capito la scelta di rivolgersi ai bambini, dubito che leggeranno mai questo libro. Per contro chi sceglie di approfondire un tema del genere sa cosa aspettarsi e non ha bisogno di un'allegria forzata.

PS: la risposta alla domanda del titolo è: no, ma finirà per farlo se dovrà scegliere fra quello e il morire di fame.
Un'eventualità che vi disgusta? Attenti, perchè - se la risposta è sì e siete onnivori - siete peggio del gatto: voi gli animali morti li magiate (a volte anche gli occhi) e non per mancanza di alternative!

Reading Challenge 2022, traccia di gennaio: un libro illustrato

 

martedì 11 gennaio 2022

"La settimana bianca", Emmanuel Carrère



Francia, febbraio di un anno non precisato. La settimana bianca per Nicolas non inizia nel migliore dei modi: dieci giorni prima alcuni bambini sono morti nella collisione fra uno scuolabus e un camion e per questo motivo suo padre, autoritario quanto apprensivo, non lo lascia partire in pullman con i suoi compagni, ma preferisce accompagnarlo in macchina il giorno dopo. Il ritardo di 24 ore aumenta le già notevoli difficoltà di inserimento del bambino e l'aver dimenticato nella macchina del padre lo zaino con tutte le sue cose accresce ulteriormente il suo disagio.
E con il suo anche il nostro. O almeno dovrebbe essere così...

E invece no: era quello che mi aspettavo, ma non è successo.

Di quanto Carrére sia bravo a scrivere me ne ero già resa conto leggendo su "Robinson" i suoi articoli sul processo alla strage del Teatro Bataclan.
Questo è il primo dei suoi romanzi che leggo, il quarto di narrativa che ha scritto (nel 1995) e contemporaneamente l'ultimo di pura fiction.

Avevo aspettative stellari che però sono state parzialmente deluse. Lo stile narrativo, che in generale preferisco al taglio giornalistico, ha confermato ciò che già sapevo della sua penna, ma è stato proprio Carrère a causare il mio malcontento verso la storia che racconta con la sua affermazione riportata nella sinossi:

"Ero solo, in una casetta in Bretagna, davanti al computer, e a mano a mano che procedevo nella storia ero sempre più terrorizzato"

Letto questo, pur sapendo che "La settimana bianca" viene classificato come noir, mi ero sentita legittimata a credere di avere in mano un horror, o comunque una lettura inquietante, convinzione rafforzata da uno stile che mi ricordava tantissimo quello de "La lotteria" di Shirley Jackson.

Facendo attenzione a non chiedermi cosa ci fosse di sbagliato in me per non trovare angosciante la fantasia macabra del piccolo protagonista, sono andata avanti speditamente pregustandomi un finale scioccante come quello della Jackson, ma non l'ho trovato, riscontrando invece una certa (per me insopportabile) ambiguità.

Reading Challenge 2022, traccia di gennaio: un libro che hai comprato l'anno scorso

 

sabato 8 gennaio 2022

"Il cappello di Mitterand", Antoine Laurain



Parigi, novembre 1986. François Mitterand è al quinto anno del suo primo settennato quando una sera cena in una brasserie con altri due politici e andando via dimentica il suo celebre Borsalino di feltro nero.
Se ne accorge Daniel Mercier (che si stava gustando una cena solitaria quando il Presidente della Repubblica, andandosi a sedere proprio al tavolo di fianco al suo, ha monopolizzato ogni suo pensiero e sguardo)  e d'istinto se ne impossessa.
Indossare quel cappello lo fa sentire più importante (oltre che più alto), gli dà una sicurezza che non pensava di avere e ne ha la prova quando durante una riunione di lavoro prende la parola oscurando il suo diretto superiore davanti al grande capo. Quel cappello è magico, non ha dubbi, cambierà la sua vita, lo ha già fatto!
Ma nonostante la grande importanza che gli attribuisce finisce per dimenticarlo sul treno: il cappello riuscirà a portare fortuna anche a chi lo troverà e a tutti gli altri che lo indosseranno?

Antoine Laurain non è il più famoso degli scrittori francesi, nè il più prolifico. Classe 1972, ad oggi ha pubblicato soltanto nove romanzi, dei quali solo sei tradotti in italiano, l'ultimo nel 2016, cosa che mi fa temere che i nostri editori abbiano deciso di abbandornare un altro autore che mi piace.

Di lui avevo adorato "La donna dal taccuino rosso", il libro che mi sono trovata più spesso a consigliare perchè è veloce e distensivo, capace di conquistare anche chi non è un lettore costante: ha fatto uscire dal blocco del lettore due persone che conosco e non è cosa da poco.
Mi era piaciuto molto anche "Rapsodia francese", un bel tuffo negli anni '80, un decennio che gli deve essere molto caro perchè è il periodo in cui sviluppa anche la storia de "Il cappello di Mitterand" (e qui aveva poca scelta...).

Un romanzo che ha in comune con gli altri due anche la brevità (167 pagine), ma non la stessa completa leggerezza: in questo a tratti viene a mancare nella seconda parte, ma è possibile che sia un mio limite aver trovato pesanti quei capitoli in cui si parla (anche) di arte contemporanea.

Personalmente non mi sognerei mai di mettere in testa un cappello smarrito da un'altra persona, neanche se sapessi di chi si tratta (vedi il Capo di Stato), ma i personaggi di Laurain non si fanno tanti problemi e ne viene fuori una storia indubbiamente originale e fantasiosa.

Un bell'omaggio all'ex Presidente e una garbata presa in giro alla destra francese e alla medio e alta borghesia, ma una storia godibile soprattutto da chi conosce molto bene la Francia di quegli anni e può così apprezzare a pieno i tanti riferimenti. Io sono riuscita a cogliere giusto quelli politici, mentre con gli artisti di vario genere, profumieri e pubblicitari mi sono decisamente persa, ricordandomi solo del pollice di César Baldaccini e di "Rock me Amadeus" di Falco (che per altro non era francese).

Reading Challenge 2022, traccia di gennaio: un libro con un cappello in copertina

lunedì 3 gennaio 2022

"La disciplina di Penelope", Gianrico Carofiglio



Milano, 10 novembre 2017. Sono passati un anno, un mese e tre giorni da quando il cadavere di Giuliana Baldi è stato rinvenuto in un campo incolto a Rozzano. Uccisa con un colpo alla testa sparato a bruciapelo, il suo è un caso irrisolto. La polizia aveva sospettato del marito, arrivando poi in fretta all'archiviazione per mancanza di prove a suo carico e di altre piste da seguire.
Adesso l'uomo, Mario Rossi, è seduto in un bar. Di fronte a lui Penelope Spada, l'ex pubblico ministero a cui Zanardi, cronista di nera del Corsera, gli ha consigliato di rivolgersi. Perchè a Rossi non basta essere stato prosciolto dalle accuse, non quando negli atti il giudice ha scritto che ci sono inquietanti sospetti a suo carico, parole che un domani sua figlia potrebbe leggere per capire cos'è successo alla sua mamma quando lei era bambina e quindi sospettare di lui.

Almeno due delle tracce di gennaio della Challenge mi permettevano una scelta amplissima e fra i tanti libri adatti ho puntato su questo perchè volevo essere sicura di partire col botto. E invece no, la lettura è stata una mezza delusione. Soltanto mezza perchè il libro tutto sommato è piacevole, veloce sia perchè non raggiunge le duecento pagine (192) sia per lo stile snello. Non mi stupisce che sia stato apprezzato da tanti, ma chi conosce l'autore avrà constatato come non si avvicini nemmeno ai soliti livelli.

Il confronto con gli altri suoi due personaggi seriali è inevitabile. Ho ben pochi dubbi che questo sia solo il primo di una nuova serie con Penelope Spada come protagonista.

Personaggio davvero poco originale, un mix fra il tipo di donna alla Kim Stone di Angela Marsons di cui giallisti e autori di thriller abusano - risoluta, dura e senza paura fuori, ma fragile e irrisolta dentro e con un passato difficile (quello della Spada non viene rivelato, uno dei motivi che mi fanno dare per certo un seguito) - e lo stereotipato protagonista di un noir, un investigatore depresso, tetro e disfattista, con seri problemi di alcool e fruitore di sesso occasionale di cui è meglio non conservare memoria.

Un recensore stipendiato da non ricordo quale quotidiano aveva evidenziato la bravura di Carofiglio nel dare voce alla sua prima protagonista donna, complimenti che non condivido, ho trovato Penelope Spada maschile in tutto e per tutto, negli atteggiamenti, nei ragionamenti, nel modo di vivere; in ogni pagina è palese che la mente che c'è dietro è quella di un uomo, che è quella di Carofiglio, e lui di femminile non ha proprio nulla. Che la scelta sia stata sua o dell'editore non lo so, ma so che un Tizio Spada sarebbe stato più credibile.
Siamo comunque ben lontani dalla grandiosità di Guido Guerrieri e di Pietro Fenoglio, chiaramente sopra mi riferivo a loro.

Anche la storia gialla non brilla di estro. Un'indagine procedurale svolta con i limiti di chi è ormai fuori dal sistema e che quindi può basarsi quasi esclusivamente su intuito e appostamenti, con un bel po' di fortuna.

Senza le acute osservazioni dell'avvocato Guerrieri e del maresciallo Fenoglio - che, grazie ai rispettivi ruoli, hanno sempre permesso a Carofiglio di raccontare la realtà delle aule giudiziarie italiane, dei penitenziari, degli intrighi sia criminali che politici - questo romanzo viene fuori privo dello spessore che amo dell'autore: ecco spiegata la mia delusione.

Reading Challenge 2022, traccia bonus di gennaio: libri ambientati in Italia

 

domenica 2 gennaio 2022

Riassunto letture 2021


Libri letti: 107

   
Ebook: 92
Cartacei: 15

Comprati da me durante l'anno: 66
Comprati da me, ma che già avevo: 39
Ricevuti in regalo: 2


Generi

Romanzi: 86
Saggi: 9
Storie personali: 8
Racconti: 3
Raccolte di racconti: 1

Sottogeneri

Narrativa contemporanea: 40
Thriller: 20
Rosa crime: 9
Classici: 4
Società e politica: 4
Storia: 4
Autobiografie: 3
Gialli: 3
Romanzi rosa: 3
Biografie: 2
Chick lit: 2
Fantasy: 2
Noir: 2
Romanzi storici: 2
Ambiente: 1
Classici per ragazzi: 1
Erotici: 1
Horror: 1
Romanzi epistolari: 1
Sociologia: 1
Sport: 1


Scritti da donne: 59

Scritti da uomini: 48

Nazionalità

Italiani: 31
Statunitensi: 20
Inglesi: 16

Cileni: 6

Francesi: 5
Giapponesi: 5
Tedeschi: 5

Australiani: 2
Canadesi: 2
Svedesi: 2
Austriaci: 1

Belgi: 1
Irlandesi:
1
Islandesi: 1
Messicani: 1

Nigeriani: 1

Norvegesi: 1
Scozzesi: 1
Svizzeri: 1

Ungheresi: 1

Numero delle pagine: 31.241

Media di pagine al giorno: 85.59

Le tre copertine più belle:


I libri più amati: