martedì 30 gennaio 2024

"L'ultima cosa bella sulla faccia della terra", Michael Bible

 

"Le giornate calde dell’estate stavano per finire e faceva ogni mattina più freddo. Volevo veder cadere quell’ultima fioritura. Sentivo uno strano legame. Come se fosse l’ultima cosa bella sulla faccia della terra."

Harmony (North Carolina), una cittadina come tante dell'America rurale, lontana dalla frenesia e dal glamour. Uno di quei posti dove "non succedeva mai niente, non cambiava mai niente".
Ma nel 2000 a Harmony qualcosa è successo: una domenica mattina durante la messa Iggy ha percorso la navata della Prima chiesa battista con una tanica in mano, si è fermato, si è buttato addosso la benzina e ha acceso un fiammifero.

"Pensavo che se mi fossi dato fuoco avrebbero dovuto ascoltarmi. Ma nessuno lo fece."

La benzina gli è finita negli occhi e il fiammifero è caduto sul pavimento di legno: venticinque morti, ma fra loro Iggy non c'è.

Se avessi letto questo libro senza averne mai sentito parlare, probabilmente lo avrei apprezzato. E non posso dire di non averlo fatto. Ma i grandi proclami che ne hanno accompagnato l'uscita in Italia nel settembre dello scorso anno, insieme all'esaltazione di certe recensioni (Il libraio, Esquire, eccetera), avevano creato in me un'aspettativa enorme che è poi diventata un'enorme delusione, nonostante non reputi il libro deludente in senso assoluto.

Scritto nel 2020, titolo originale "The Ancient Hours" (credo che un "I tempi andati" possa essere una traduzione più adatta di quella letterale che mi fornisce Google), è un librino di appena 135 pagine divise in quattro parti ambientate in annate diverse e dove cambiano le voci narranti che, però, ruotano tutte attorno all'incendio.

In rete non sono riuscita a trovare l'informazione che cercavo, cioè se si tratta davvero dell'opera di esordio di Bible, come è stato presentato in Italia, o se è invece il suo terzo romanzo, come alcuni sostengono.

La cosa certa è che non ho la competenza necessaria per capire se questo libro può considerarsi un grande romanzo americano, come dicono, e se Bible è il nuovo grande autore americano di cui tutto il mondo sentiva l'esigenza.
Il mio può essere solo un giudizio istintivo e quindi superficiale, dettato da quello che il libro mi ha trasmesso, senza perdermi in analisi e confronti che non sono in grado di fare.

Indubbiamente la lettura è stata condizionata dallo stile minimalista, che non mi piace e che non riesco a farmi piacere.

"Eravamo innocenti. Convinti di essere speciali. Sbronzi tutti i weekend al centro commerciale. Il mondo era nelle nostre mani. Non ci importava del tempo. L’amore era una cosa scontata. La morte aveva paura di noi. Adesso abbiamo il grigio nella barba. Il cielo è un livido viola. Il centro commerciale è morto."

Queste sono le righe iniziali che mi hanno messa subito in difficoltà: tutti quei punti e il ritmo sincopato che ne deriva mi creano sempre un grande disturbo.

"Le tragedie tendono a seguire traiettorie simili. Uno schema con cui ormai abbiamo fin troppa dimestichezza. L’orrore del fatto. Brevi ore di confusione e lutto, seguite da giornate di rabbia. Settimane di indignazione. C’è chi dà la colpa alla violenza dei film e dei videogiochi. Chi dà la colpa alla malattia mentale. Fiori e preghiere, fiori e preghiere, fiori e preghiere. Raccolte di fondi. È ora di cambiare. Cortei, petizioni e discorsi. Poi niente. E ancora niente."

E non ho apprezzato nemmeno la scarsa enfasi, che tanti considerano un pregio del libro.

La storia è di quelle che fanno arrabbiare, Bible ammazza il grande sogno americano, ma senza esporsi e anche questo è stato un aspetto deludente. Personaggi annoiati, senza progetti né ideali. Un "tedio insopportabile" può davvero portare a gesti così estremi? Fortunatamente sono estranea a certi squilibri e l'autore non ci aiuta: per una storia del genere avrei gradito un vero approfondimento, che non c'è (o che io non sono riuscita a trovare).

Ma quello che più mi ha colpita è l'aggettivo "fresco" che spesso ho visto associare a questo libro: io l'ho trovato estremamente cupo, con i continui rimandi a quella che viene chiamata "la Costante" ("una via di mezzo fra uno struggimento continuo e un terrore improvviso. Come un pomeriggio di pioggia con il sole che splende o il ronzio misterioso di una strada deserta di notte") e Iggy, che fallisce anche nel progetto suicida finendo con l'ammazzare degli innocenti per poi essere a sua volta giustiziato dallo Stato.

"Se c'è qualcosa che amate tenetevelo stretto perché non si può mai sapere quando verranno a portarvelo via."

Alla faccia della freschezza...

Reading Challenge 2024, traccia di gennaio: libri con più di 27 lettere nel titolo


lunedì 29 gennaio 2024

"Non ridere della vita sessuale degli altri", Nao-Cola Yamazaki

 

Giappone, giorni nostri. Le vite di Yuri e di Isogai si incrociano all'università di Arti Visive dove lei insegna disegno. Isogai ha 19 anni, venti meno di lei, ed è uno dei suoi studenti. Yuri è sposata con un uomo più maturo che da tempo non ama più. Isogai deve ancora crescere, diventare adulto.

"Yuri era la mia insegnante, una donna matura, con molta più esperienza di me. Vista dall’esterno, la nostra era la storia di una professoressa sposata che si portava a letto uno studente vent’anni più giovane di lei, tutto qui."

E probabilmente per Yuri quella relazione era davvero solo questo, ma noi non lo sapremo mai con certezza perché a raccontarcela è Isogai, l'unica voce narrante: ed è questa la caratteristica fondamentale del romanzo.
Breve (appena 144 pagine che comprendono anche un raccontino in appendice), pubblicato in Giappone nel 2004 e vincitore di tre premi nazionali prestigiosi, ne hanno tratto anche un film.
Un esordio letterario con botto per Nao-Cola Yamazaki, all'epoca ventiseienne.
La motivazione di tanto successo l'ho scoperta solo al termine, leggendo la postfazione intitolata "Non è così semplice. Come leggere questo romanzo" dove un altro scrittore giapponese, Gen’ichirō Takahashi (che non conosco, ma Wikipedia mi dice che dei suoi numerosi romanzi soltanto uno è stato tradotto in italiano, "Sayonara, gangsters", che mi respinge già solo dal titolo) spiega come nella letteratura giapponese non fosse mai successo che un'autrice donna desse voce a un protagonista maschile (una lacuna sconcertante). Da qui gli encomi per l'originalità (immagino anche per il coraggio) e i premi conseguenti.

Ma sarebbe stato così brutto scrivere le stesse cose in una prefazione, in modo da dare agli ignoranti come me gli strumenti per cogliere il valore nascosto di questo librino?!? Perché leggendolo, sapendo solo che è un titolo pluripremiato, si fa davvero fatica a capire cosa abbia suscitato tanto entusiasmo in patria!

La storia, pur non essendo comune (credo che neanche in Giappone siano tanto frequenti le liaison fra studenti e insegnanti, men che meno se quella stagionata fra i due è la donna), nell'immaginario piccante è davvero tanto banale, con lei che fa da nave scuola al ragazzino arrapato e, diciamo così, precipitoso. Peccato che la Yamazaki descriva dei rapporti sessuali eccitanti come un muro bianco, ma forse aveva già osato troppo.

E anche tutto il resto viene raccontato con uno stile piuttosto piatto e privo di trasporto (se proprio, ho apprezzato maggiormente il brevissimo racconto di chiusura, che ha per protagonista un transgender e il suo - di nuovo - infelice amore, con un titolo talmente poco professionale da avermi fatto ridere: "Carie e gentilezza"!), per cui sarebbe stato davvero fondamentale sapere "come leggere il romanzo" prima di leggerlo, l'unico modo per trovargli un valore e qualche pregio, oltre a quello di scorrere via in due ore scarse.

Reading Challenge 2024, traccia di gennaio: libri con più di 27 lettere nel titolo


sabato 27 gennaio 2024

"Chi è partito e chi è rimasto", Barbara Comyns

 

Warwickshire (Inghilterra), 1° giugno 1911. Il fiume rompe gli argini sommergendo i terreni ed entrando nei cottage. Sono felici le anatre, che si trovano a sguazzare dentro ai salotti delle case, sorprese da questa sferzata di novità. Alle galline, invece, è andata male: le porte dei pollai non si sono spalancate e sono tutte morte affogate. Poi l'acqua si ritira e nella notte si scatena una tempesta.
Ma il peggio per gli abitanti del villaggio deve ancora arrivare. Un virus della follia colpirà molti di loro: muore la moglie del medico condotto, poi il mugnaio, quindi il macellaio. Cinque casi di pazzia, poi undici, poi diciassette. Non tutti muoiono, c'è chi guarisce e c'è chi parte.
Cosa capiterà agli esponenti della stravagante famiglia Willoweed?

Scritto nel 1954, titolo originale "Who Was Changed and Who Was Dead", è un librino di 135 pagine che avevo comprato qualche anno fa dopo aver ascoltato su YouTube la recensione entusiasta di una ragazza che, dopo alcune delusioni, avevo smesso di seguire perché fra noi c'era un'evidente divergenza di gusti.

"Chi è partito e chi è rimasto" è una conferma di questo, è molto lontano da ciò che mi piace (e, soprattutto, che mi interessa) leggere perché troppo surreale, ma è anche divertente e i sorrisi che qua e là mi ha strappato hanno mitigato i momenti in cui mi chiedevo: ma cosa cavolo sto leggendo?!?

Un punto di forza è senz'altro la modernità, non dimostra affatto i suoi settant'anni né palesa di essere stato scritto da una donna del 1907.
Barbara Comyns, nata proprio a Warwickshire, ha scritto undici romanzi, di cui soltanto tre sono stati tradotti in italiano. Insieme a questo avevo comprato anche "La ragazza che levita", altro librino breve pubblicato sempre da Safarà Editore, che prima o poi leggerò, mentre non mi affannerò a cercare di recuperare anche il terzo ("I miei anni a rincorrere il vento", edito Rizzoli) perché la storia letta adesso è davvero tanto, troppo stramba.

Il personaggio più bislacco è nonna Willoweed - 71 anni (che negli anni dell'ambientazione, ma anche in quelli della stesura, erano una gran bella età) e descritta come somigliante a una vespa rigonfia - ospita e mantiene il figlio Ebin, tornato all'ovile con i tre figli dopo la prematura morte (di parto) della moglie. Non un'amabile vecchietta, ma una mezza arpia, sorda come una campana, che tiranneggia non solo la progenie, ma anche le domestiche, il tuttofare, il medico, l'avvocato e un po' tutto il villaggio.

Il mantenimento e la prospettiva della futura eredità diventano nelle sue mani il bastone (spesso) e la carota (raramente) per costringere gli altri ad assecondarla nelle sue stravaganze, in cima alle quali c'è la solenne promessa di non camminare mai su terreni non di sua proprietà, cosa che la obbliga a spostarsi via fiume arrecando solo disagio alle persone attorno a lei.

Ma in mezzo a frasi sconclusionate ("La nonna è convinta che il sacerdote faccia uso di oppio e lo crede perché assomiglia a un cinese") e qualche perla di saggezza degna di noi genovesi ("È una buona idea fumare la pipa, così la gente non si aspetta che tu le offra continuamente sigarette"), la Comyns inserisce accenni a discriminazioni di vario genere. Tematiche che se, insieme ad alcuni gravi lutti, fossero state ampliate e trattate in modo diverso avrebbero reso questo libro molto profondo, invece instilla il pensiero senza dargli modo di maturare. Restano i sorrisi, ma sono un po' poco.

Reading Challenge 2024, traccia di gennaio: libri comprati a prezzo scontato

giovedì 25 gennaio 2024

"Nerone", Alberto Angela

 

Terzo e ultimo volume della trilogia di Alberto Angela dedicata a Nerone. Nel primo, "L'ultimo giorno di Roma", racconta com'era Roma prima della devastazione e nel secondo, "L'inferno su Roma", descrive l'incendio che la distrusse nel luglio del 65 d.C.
In "Nerone" vengono analizzate le conseguenze dello stesso, ma - e lo si capisce già dal titolo - il testo è soprattutto una biografia dell'imperatore.

Anche questo libro - dopo la commovente dedica di Alberto al padre Piero: "A mio padre, amico che manca, che mi ha trasmesso l’entusiasmo di viaggiare tra le stelle della conoscenza con la semplicità delle parole e la profondità del pensiero" - riprende da dove si era interrotto quello precedente.

E' il 29 luglio, le fiamme hanno raso al suolo Roma causando un numero di vittime impossibile da quantificare (ma sicuramente pari a decine e decine di migliaia) e un danno incalcolabile al patrimonio artistico.

La calunnia che vede Nerone come responsabile dell'incendio (una fake news dell'epoca, come l'aveva definita Angela nel volume precedente) inizia a diffondersi subito a opera dei suoi detrattori e ci viene spiegato chi gli era ostile e perché, chiarendo poi i motivi che portarono i cristiani a essere il perfetto capro espiatorio dell'incendio.

"Uno degli scopi di questa Trilogia è appunto quello di spiegare come e perché tutto questo sia accaduto. È proprio nel 64 d.C., infatti, che la Storia deciderà di trasformare quest’area piuttosto anonima [quella su cui sorge il Vaticano] in uno dei luoghi più significativi per la religione e per gli assetti geopolitici del pianeta. Tutto accadrà nell’arco di appena dodici settimane, il tempo intercorso tra l’inizio del Grande incendio e il martirio dei cristiani (metà ottobre)."

Dopo aver sottolineato che la fondazione della Chiesa di Roma non è riconducibile alla prima, presunta, predicazione di Pietro che la tradizione (basandosi su testi apocrifi risalente a oltre cent'anni dopo la morte dell'apostolo) colloca tra il 42 e il 43 d.C. ("Non vi sono testimonianze di alcun tipo che Pietro sia stato nella capitale a predicare la parola di Cristo in una data così “precoce”, né che abbia fondato alcuna Chiesa, tanto meno quella di Roma, al contrario di Paolo, che diede vita a diverse comunità in molte città dell’Impero."), ricostruisce come la nuova religione, come tanti altri culti, arrivò a Roma seguendo le rotte dei commerci da oriente.

Analizza quindi la sua diffusione non fulminea, ma costante, che la portò a mettere radici a Roma già pochissimi anni dopo la crocifissione di Gesù.
Ma è accertato che ai tempi di Nerone i cristiani "erano davvero pochi. Di certo una delle comunità meno numerose di Roma, se non quella più piccola in assoluto. Questo non corrisponde a ciò che tutti noi abbiamo sempre “saputo”, e cioè che i cristiani uccisi da Nerone furono tantissimi, folle intere date in pasto alle belve o crocifisse" e prosegue spiegando i motivi di questa percezione sbagliata, "senza nulla togliere alla tragica morte di tante persone innocenti (non è il numero delle vittime che cambia l’atrocità dei fatti), anche questa tuttavia è una delle tante fake news che ruotano attorno all’incendio e a Nerone".

Spiega come in principio le autorità imperiali consideravano quella dei cristiani come una delle tante sette presenti all'interno della comunità, quindi analizza i motivi che portarono una società tollerante come quella romana a osservare con diffidenza le anomalie dei seguaci di Cristo fino ad arrivare a considerarli “nemici dello Stato”, chiarendo come l'odio verso i cristiani non nacque dalle autorità, ma dal popolo, che già prima dell'incendio attribuiva a loro la colpa di suscitare, non onorandoli, l'ira delle divinità.

Descrive in maniera dettagliata, e quindi per forza di cose, raccapricciante, come avvenivano le crocifissioni. E come non andasse meglio a chi veniva bruciato vivo fino a diventare una torcia umana o a quelli che dovevano "battersi" con belve feroci. Angela raccomanda di non giudicare con i parametri dei nostri tempi, spiegando che all'epoca chi subiva questi supplizi era considerato colpevole di un qualche reato meritevole di simili condanne.
Io faccio fatica. Un chiodo piantato sul calcagno è atrocemente doloroso oggi come duemila anni fa. Restare impassibili, magari anche divertirsi, davanti alla sofferenza di un altro essere vivente (e sottolineo essere vivente, umano o animale che sia) è per me qualcosa di inconcepibile.

A questo punto l'incendio viene archiviato e inizia la ricostruzione della vita di Nerone, partendo dal percorso che lo portò a diventare il mandante dell'omicidio della madre Agrippina e proseguendo con l'analisi dei motivi della prima congiura, nell'aprile del 65 d.C., come venne sventata e come iniziò l'ultima fase del suo regno "fatto di eccessi, bizzarrie, lussuria e progressivo scollamento dal suo ruolo di imperatore".

Ripercorre la sua vita amorosa, concentrandosi - fra le tante - sulle quattro donne che lo influenzarono maggiormente, Ottavia, Atte, Poppea e Statilia Messalina, oltre alla madre.

Arriva quindi alla Domus aurea, argomento tanto caro ad Alberto Angela. E' il punto della trilogia in cui emerge maggiormente l'ammirazione dell'autore per Nerone, arrivando a un'animosità insolita, quasi da tifoso, che emerge nei punti in cui scatta il confronto con Adriano:

 "Certamente Nerone si macchierà di azioni infami nei confronti di innocenti e avversari, veri o supposti, ma non si comporterà poi molto diversamente da tanti altri imperatori. E se si tessono le lodi di Adriano, riconoscendogli una sensibilità artistica e un’umanità sorprendenti (essenzialmente grazie alla benevolenza con cui Marguerite Yourcenar lo ritrae nel suo romanzo "Memorie di Adriano"), lo stesso bisogna fare con Nerone."

E ancora, in relazione alla Domus Aurea:

"Quella di Adriano era una ricca dimora imperiale concepita per se stesso e la corte, del tutto funzionale allo svolgimento dei suoi compiti di imperatore. In pratica, fece esattamente ciò che tutti avevano rinfacciato a Nerone, che in realtà aveva aperto la Domus Aurea al popolo.
Non è facile comprendere il perché di una simile differenza di giudizio. Forse riguardo a questo aspetto sarebbe bene rivalutare in senso positivo Nerone e in negativo Adriano. La figura di entrambi è stata deformata dai giudizi della Storia: se il primo è stato condannato dall’odio degli antichi, il secondo è stato osannato soprattutto per l’amore dei moderni. È incredibile, per esempio, che per una medesima colossale dimora imperiale, il primo sia visto come un folle megalomane e il secondo invece come un sensibile intellettuale… Qualcosa non quadra.
In conclusione, quindi, anche la narrazione della Domus Aurea è stata distorta dalle fake news che hanno nascosto a tutti un disegno sociale sorprendente e innovativo, di un uomo troppo avanti nei tempi."

Adesso però mi piacerebbe leggere un testo imparziale su Adriano...

Il testo si conclude con una panoramica piuttosto veloce che corre fra i progetti urbanistici di Nerone, spesso avveniristici, per la rinascita della città (presto naufragati perché "Roma è la città eterna, ma lo sono anche i suoi problemi"), la prima guerra giudaica, le spedizioni (il capitolo riguardante Ucraina e Crimea fa capire quanto poco sia cambiato in duemila anni), il viaggio in Grecia, le sue vocazioni atletiche e artistiche.

E si arriva al giorno della morte, il 9 giugno del 68 d.C.

"Ha appena trent’anni e mezzo, eppure è riuscito a fare tantissime cose, al punto da riempire ben tre volumi di questa Trilogia."

Una grande trilogia. Se tutti i docenti avessero le capacità e la passione di Alberto Angela, tutti amerebbero la storia.

PS: una piccola curiosità, il gesto del dito medio è un'invenzione greca.

Reading Challenge 2024, traccia stagionale crucipuzzle, inverno: sciarpa nel testo

martedì 23 gennaio 2024

"Fuori dal mondo", Ragnar Jonasson

 

Siglufjörður (Islanda), marzo 2011. La cittadina è in quarantena: un turista francese arrivato dall'Africa è morto ventiquattro ore dopo essere atterrato a causa di quella che l'autopsia rivelerà essere una febbre emorragica per la quale non esistono cure efficaci. La paura cresce quando muore anche l'infermiera che per prima si era occupata di lui e tutti si barricano in casa. Ma Ari Þór fa il poliziotto e non può concedersi il lusso dell'isolamento.
A fornirgli del lavoro, che in quella circostanza diventa quasi uno svago, è un certo Héðinn, che gli presenta un cold case: sua zia Jórunn è morta nel marzo 1957 a soli venticinque anni dopo aver ingerito del topicida disciolto nel caffè. Non è stato mai chiarito se si fosse trattato di un errore o di suicidio. Quello che Héðinn esclude è l'omicidio perché il fatto era avvenuto nell’Héðinsfjörður, un fiordo isolato dove vivevano soltanto cinque persone: i suoi genitori, la zia con il marito e lui, che all'epoca aveva pochi mesi. Ma adesso qualcuno gli ha dato una fotografia scattata quell'inverno dove compare anche un ragazzino. Quindi non erano soli come gli è sempre stato raccontato...

Dopo "L'angelo di neve" e "I giorni del vulcano", ecco la terza puntata della serie "Misteri d'Islanda".
Scritto nel 2012, titolo originale "Rof" (rottura), segue grosso modo la stessa struttura dei due romanzi precedenti, con eventi del passato che in qualche modo hanno risvolti o legami con il presente. Un'indagine vecchio stile basata esclusivamente su indizi e sentito dire che il protagonista della serie raccoglie fino a completare il puzzle.

Un giallo molto soft, ma anche per questo piacevole da leggere. E come sempre i romanzi di Jonasson sono un'occasione per "viaggiare" su Google immagini.
Questo è l’Héðinsfjarðarvatn, con il lago separato dal fiordo da una striscia di terra. E' lungo le sue rive che sorge la fattoria teatro dei fatti del 1957:


Un Paese dove gli zero gradi di marzo portano un personaggio a dire "Non fa poi così freddo", per quanto meraviglioso a livello paesaggistico, non rappresenta per me una grande attrattiva, ma la bravura dell'autore è anche quella di riuscire a rendere viva l'ambientazione.

La ricerca in rete dei posti citati mi ha fatto scoprire anche il meraviglioso cimitero di Hólavalla:


Non siamo più nel nord dell'Islanda, ma a Reykjavik. Davanti al cimitero abita il personaggio del prologo che non ha nulla a che vedere con il cold case seguito da Ari Þór: come speravo torna Ísrún, la giornalista televisiva che aveva già coperto un ruolo importante ne "I giorni del vulcano". Un'intervista telefonica in merito alla quarantena crea un nuovo contatto fra i due, permettendo a Jonasson di raccontare anche un'altra storia, quella di una brutale aggressione avvenuta due anni prima nella capitale ai danni di una donna e i relativi sviluppi nel presente che saranno oggetto dell'indagine della giornalista.

Si crea così un gioco di alternanze: 256 pagine divise in cinquanta brevi capitoli che trasportano il lettore dal nord al sud dell'Islanda, dal presente al passato, da un personaggio all'altro con non poche novità nelle varie trame orizzontali che li riguardano.

E mi ha fatto scoprire anche un'abitudine islandese a dir poco sorprendente: quella di lasciar dormire i bambini nei passeggini sui marciapiedi fuori dai negozi, ad esempio quando si beve un caffè al bar! Indubbiamente l'Islanda è un Paese più sicuro del nostro (anche se nel libro il bambino "parcheggiato" viene rapito), ma è anche un posto dove si dice "Vado a prendere una boccata di aria fredda"... Io un ipotetico figlio non lo lascerei fuori da solo, ma del resto non ci lascio neppure l'ombrello ^^

Reading Challenge 2024, traccia vagabonda gennaio: Islanda

giovedì 18 gennaio 2024

"Morte apparente", Barbara Abel

 

Belgio, fine ottobre 2020. Jeanne Mercier ha 29 anni e da quattro giace in un letto d'ospedale. Sono i macchinari a respirare al suo posto dopo che un volo con l'auto l'ha imprigionata in uno di quegli stati comatosi da cui, con il passare del tempo, il risveglio sembra essere sempre più improbabile.
Micheline, la madre, è l'unica a continuare a sperare che la figlia un giorno possa riaprire gli occhi. Per Gilbert, il padre, e per Charlotte, la sorella maggiore, è giunto il momento di lasciarla andare. E poi c'è Jerome, il marito di Jeanne: per quanto tempo ancora sarà disposto a fare il vedovo di nome, ma non di fatto?
E adesso che sono stati convocati dal direttore dell'ospedale Micheline ha paura, perché Goossens non ha mai fatto mistero di considerare quella situazione come un accanimento terapeutico.
Invece il professore non li ha chiamati per discutere con loro dell'opportunità di staccare le spine, ma per comunicare che Jeanne è stata stuprata ed è incinta.

Bello, bello, bello! Dopo "La bambina nel bosco" e "Alice", Barbara Abel - autrice belga mia coetanea (1969) - conferma le sue grandissime capacità nel creare storie originali e ben costruite, vicende che è riduttivo etichettare come thriller. Ci fa di nuovo precipitare in un drammone familiare, inventando nuovamente personaggi detestabili. Anche quelli meno abietti hanno fatto o sarebbero capaci di fare qualcosa di spregevole.

Se in "Alice" mi aveva infastidita la discriminazione per la famiglia allargata rispetto a quella tradizionale, stavolta è quest'ultima a rappresentare un marciume assoluto.

I Mercier sono l'emblema del perbenismo bigotto e borghese, convinti di essere migliori rispetto a chiunque, inflessibili nel giudicare gli altri, ma estremamente magnanimi riguardo alle loro nefandezze.

Scritto nel 2020, titolo originale "Et les vivants autour", "Morte apparente" è un puzzle dove tra gli eventi del presente si incastrano episodi del passato indispensabili a formare il quadro generale. Comportamenti crudi e/o crudeli, caratterizzati da un'arroganza e da un egoismo salvifico esasperante.

La Abel è particolare anche nello stile perché racconta la maggior parte dei dialoghi, ma soprattutto riesce a fare entrare chi legge nella mente di ogni personaggio, a volte suscitando pena, raramente solidarietà, mentre è costante il bisogno di prendere le distanze - anche di fronte a situazioni di certo non invidiabili, vedi quella di Jeanne - pensando "io sono migliore di così"!

Sono sensazioni che avevo provato anche con la lettura degli altri due romanzi. Libri che meritano davvero di essere letti.
La Abel al momento ne ha scritto quattordici ed è un delitto che in italiano ne abbiano tradotto soltanto quattro.

Reading Challenge 2024, traccia di gennaio: libri comprati a prezzo scontato


martedì 16 gennaio 2024

"L'inferno su Roma", Alberto Angela

Nel dicembre 2022 avevo letto "L'ultimo giorno di Roma", il primo volume della trilogia di Nerone, dove Alberto Angela racconta com'era Roma prima della devastazione, mentre in questa seconda puntata è l'incendio il protagonista assoluto.

"Si hanno pochissime informazioni sulla sua dinamica e la sua evoluzione. Di conseguenza si tende a descriverlo superficialmente, riassumendo nove giorni di fuoco in pochi paragrafi."

Avvalendosi delle (scarse) fonti riportate nei testi antichi e del sapere di archeologi e storici (che conoscono l'urbanistica dell'Antica Roma e l'arredamento tipico delle case dell'epoca), ma anche di chi per mestiere conosce bene la dinamica degli incendi (quindi chiedendo agli attuali vigili del fuoco romani cosa avrebbero fatto al posto dei vigiles dell'epoca con i mezzi che avrebbero avuto a disposizione) e dei meteorologi (in grado di capire come il clima di quei giorni estivi possa aver influito sulla tragedia), Alberto Angela compensa questa carenza con una ricostruzione attendibile e, per quanto possibile, precisa.
Naturalmente anche romanzata, uno degli aspetti più piacevoli dei suoi lavori.

Il racconto viene quindi ripreso dal punto in cui eravamo rimasti, dopo aver seguito il vigile Vindex e la recluta Saturninus nel giro di addestramento per la città. E' il 18 luglio d.C., un sabato, ed è calata la sera.

Gli storici sono concordi sulle origini accidentali e non dolose dell'incendio, ma non esistono descrizioni né sulla causa né sul luogo.
Le fonti antiche si riducono ai racconti di Svetonio (nato cinque anni dopo) e Cassio Dione (vissuto addirittura un secolo dopo), e soprattutto a quello di Tacito, che all'epoca era però soltanto un bambino e che successivamente scrisse:

"L’incendio cominciò in quella parte del Circo, che è contigua ai colli del Palatino e del Celio, dove il fuoco, appena scoppiato nelle botteghe in cui si trovavano merci infiammabili, subito divampò violento alimentato dal vento.

Impossibile sapere quanto sia attendibile, ma è l'unico a indicare con precisione il punto in cui scoppiò l’incendio e testimonianze archeologiche sembrano confermare che il Circo Massimo venne effettivamente distrutto.

A prescindere da dove e come ebbe inizio, fu una catastrofe enorme.

Istintivamente - come veniamo più colpiti dai fatti che accadono nella nostra città o nella nostra nazione, o che colpiscono i nostri concittadini o connazionali - allo stesso modo ci impressionano maggiormente i fatti più recenti, ma ciò non toglie che i morti di duemila anni fa fossero esseri umani e che fecero una fine atroce.

Angela per rendere maggiormente l'idea della portata del disastro ricorre spesso al paragone con gli effetti dei bombardamenti alleati della seconda Guerra Mondiale, in particolare a quelli su Amburgo, Dresda e Tokyo, ponendo l'accento sul fatto che quegli eventi non sono stati frutto di incidenti o casualità, ma opera dell'uomo.

Sottolineando come scene analoghe si devono essere verificate anche nella Roma del 64 d.C. (ad esempio le tempeste di fuoco), riporta le testimonianze di chi in Germania o in Giappone certe atrocità le ha vissute.

"La tempesta di fuoco generatasi ad Amburgo a seguito del terribile bombardamento subìto dalla città nel luglio del 1943 provocò venti che spirarono a oltre 200 chilometri orari, creando una sorta di uragano ustionante che, secondo le testimonianze, incendiò e uccise chiunque si trovasse in strada. (...) I bambini furono strappati dalle braccia dei genitori dalla forza dell’uragano e trascinati nel fuoco dai vortici; persone che pensavano di essere ormai in salvo crollavano di colpo, uccise dal calore; chi sopravviveva era costretto a camminare sui morti; i soccorritori, per salvare se stessi, dovevano abbandonare moribondi e malati."

E ancora:

"I bombardamenti che colpirono Tokyo tra il 9 e il 10 marzo 1945 generarono rapidamente una tempesta di fuoco talmente violenta che l’immenso calore bruciò i vestiti, la pelle e i capelli dei suoi abitanti. Migliaia di persone morirono arse vive. Se ne parla poco, ma le ondate dei bombardamenti incendiari sulle città giapponesi provocarono più vittime delle atomiche."

Ma fu davvero Nerone a innescare l'incendio che imperversò su Roma per nove lunghi giorni distruggendola? Angela definisce questa come una fake news dell'epoca, divulgata probabilmente dai suoi detrattori (in particolare dai senatori) e diffusa tra il popolo esasperato per il disastro, quindi sopravvissuta alla sua morte alimentata da chi continuava a essergli ostile.
Senza fare alcuno sconto a Nerone ("Tutto questo non cancella affatto il suo narcisismo, la sua stravaganza, il suo cinismo e la sua crudeltà, che rimangono impressionanti"), spiega dettagliatamente i motivi che rendono inverosimile la sua responsabilità sull'incendio, smontando anche la credenza - tenace perfino ai giorni nostri - che lo vorrebbe intento a suonare la cetra mentre contempla la città in fiamme.

Con l'abituale ricchezza di considerazioni (riferendosi a Pompei scrive: "Chissà quanti tra loro [i sopravvissuti all'incendio] avranno la sventura di vivere le due tragedie, trovandosi oggi qui e tra qualche anno sotto il Vesuvio. Roma ha all’incirca un milione di abitanti, e le probabilità che a qualcuno di loro sia effettivamente capitato sono abbastanza alte"), informazioni (riesce a rendere interessante anche il lungo elenco di rimedi dell'epoca contro ustioni e infezioni, con l'olio di mirto in testa nella classifica dei grandi - si fa per dire - guaritori), curiosità (la tradizione dei mercatini di Natale risale all'Antica Roma quando “in occasione delle feste Sigillarie, aggiunte, dopo Caligola, ai quattro giorni dei Saturnali, si innalzavano delle impalcature di legno dinanzi alle pareti dei Saepta e vi si esponevano delle piccole capanne, veri e propri presepi, dentro le quali si collocavano le immagini degli dei Lari, protettori della famiglia, insieme con altre statuette di cera, gesso o argilla, che i Romani si offrivano in dono scambievolmente durante la festività, accompagnandole con libri, vasi di vetro, coppe d’argento, gemme incise, perle, monili, scatole di avorio, eccetera”) e riflessioni che da sole dovrebbero far passare a chiunque la voglia di essere carnivori ("Ovunque si sente odore di fumo. Ma anche quello della carne bruciata del liberto. Noi proveremmo disagio e vergogna, portandoci la mano alla bocca, anche se in fondo è lo stesso odore che in cucina fa venire l’acquolina quando si cuoce una bistecca."), con un percorso di 354 pagine ci porta dal 18 al 27 luglio, giorno in cui l'incendio viene finalmente domato.

E dopo cosa successe? Lo leggerò nell'ultimo volume della trilogia, ma questa volta non farò passare di nuovo un anno.

Reading Challenge 2024, traccia stagionale crucipuzzle, inverno: giara nel testo


domenica 14 gennaio 2024

"La mia prediletta", Romy Hausmann

 

Monaco, gennaio 2004. Lena Beck, 23 anni, scompare alle prime luci dell'alba mentre sta rincasando dopo aver partecipato a una festa. Il commissario capo Gerd Brühling fa una promessa a Matthias Beck, padre della ragazza e suo migliore amico: "Riporterò a casa la tua Lena". Evidentemente Brühling non ha mai visto una puntata di CSI et similia: mai fare promesse di questo tipo se non sei certo di poterle mantenere ^^
Cham, settembre 2018. Sono trascorsi 4.825 giorni e finalmente Brühling può chiamare l'amico, che ormai ha smesso di considerarlo tale, proprio a causa di quella promessa delusa: quella notte vicino al confine ceco una donna è stata investita da un'auto. Non ha ancora ripreso conoscenza, ma età, colore dei capelli e cicatrice su una tempia corrispondono e la bambina che era con lei all'arrivo dell'ambulanza dice che la sua mamma si chiama Lena. Ma dice anche altre cose: che la mamma ha ucciso papà, che il suo fratellino è rimasto al capanno dove vivono per pulire il tappeto che si è sporcato di sangue, che il capanno si trova nel bosco e che nessuno li deve trovare.

Scritto nel 2019 e pubblicato in Italia nel 2020, titolo originale "Liebes Kind", "La mia prediletta" è l'opera prima di Romy Hausmann nata nel 1981 ad Arnstadt, in Turingia, il primo land dove andrei se riprendessi a trascorrere le ferie in Germania.

Nel 2020 il libro era stato un po' un tormentone, ogni volta che entravo in un social trovavo le foto di chi lo aveva comprato o di chi lo aveva già letto e lo recensiva, quasi sempre con soddisfazione. E di sicuro ha soddisfatto anche me, sorprendendomi perché troppe volte non ho gradito i thriller scritti da autori tedeschi.

Questo non è certo un capolavoro, ha il colossale difetto di non dare risposta a un punto che - pur non essendo rilevante nella risoluzione del giallo - è davvero importante in merito a ciò che racconta. Una mancata spiegazione irritante per chi ama la precisione e a cui sto girando attorno per evitare lo spoiler.

Tolto questo è un buon thriller psicologico che, alternando le voci in prima persona di tre diversi narratori (tutti estremamente inaffidabili), riesce a mantenere dall'inizio alla fine un ritmo incalzante, anche in alcune parti che per quello che raccontano potrebbero essere ripetitive, ma che la Hausmann riesce a rendere sufficientemente adrenaliniche.

Il finale non mi ha fatta impazzire, forse penalizzato dal numero limitato di personaggi: arrivare in fondo a un libro di questo genere senza aver intuito il nome del colpevole è un qualcosa di molto positivo, ma in questo caso la sorpresa è solo parziale perché non è determinata tanto da un intreccio riuscito, quanto dallo scarso rilievo dato a qualcuno (ammetto di aver dovuto ricorrere alla funzione "cerca" del Kindle per andare a ripescare quel nome che avevo dimenticato), ma ho comunque molta voglia di leggere i due titoli successivi dell'autrice e questo vale più di un numero sufficiente di stelline.

Reading Challenge 2024, traccia vagabonda gennaio: Germania

lunedì 8 gennaio 2024

"La migliore bugia", Francesco Caringella

 

Bari, venerdì 24 luglio 2020. Qualcuno suona alla porta di un appartamento al 57 di via Diaz. Dall'interno Gilda Orefice si avvicina con fatica, aiutandosi con il bastone, di cui non può più fare a meno. Il terribile caldo di quei giorni rallenta ulteriormente i suoi movimenti, ma il vero ostacolo sono i suoi 84 anni.
Il visitatore suona ancora. Gilda si spazientisce: 
"Arrivo, arrivo. Diamine, la gente in ritardo pretende di avere fretta."
Un'occhiata attraverso lo spioncino, giusto per essere sicura che dall'altra parte ci sia proprio la persona che sta aspettando, poi apre la porta invitando a entrare chi di lì a poco diventerà il suo assassino.

Scritto nel 2022, è attualmente l'opera più recente di Francesco Caringella che - dopo un inizio per me non entusiasmante - di libro in libro ("Non sono un assassino", "Dieci minuti per uccidere" e "Oltre ogni ragionevole dubbio") mi convince sempre più.

Un difetto lo ha e non è piccolo: quello di essere ripetitivo e non posso essere più precisa di così per evitare spoiler, non solo di questo romanzo, ma anche dei precedenti.
Diciamo che Caringella segue uno schema preciso, un po' troppo preciso, un qualcosa che non riguarda l'essere riconoscibili (cosa che solo i grandi scrittori riescono a ottenere senza cadere nel poco lodevole "letto uno, letti tutti"), quanto la tendenza a sviluppare storie diverse seguendo gli stessi meccanismi.

Ma se piacciono i romanzi ambientati nelle aule dei tribunali, quelli di Caringella sono sicuramente interessanti, non fosse altro che lui prima di essere uno scrittore è un magistrato, con conseguente cognizione di quello che scrive.

E sapendolo non c'è da stare troppo allegri...

In tribunale non vince la verità migliore, ma la bugia raccontata meglio

"Nelle aule di tribunale le cose non contano per quello che sono, ma per quello che sembrano."

"L’imputato andava prosciolto per mancanza di prove, non per mancanza di colpevolezza."

Che la legge sia uguale per tutti l'ho sempre considerata una bufala, ma leggere frasi di questo tipo scritte da qualcuno che conosce bene il meccanismo è abbastanza triste.

Il libro, invece, è avvincente: quello che nei piani dell'assassino doveva apparire come la morte naturale di una donna anziana, grazie all'acume della PM - che nell'appartamento nota qualcosa di stonato - si rivela per l'omicidio che è. Le indagini si concentrano in fretta su un unico sospettato e il 4 marzo dell'anno successivo inizia il processo a suo carico. Siamo al 35% del testo, da lì in poi raramente ci si allontana dall'aula di tribunale e a presiedere c'è Virginia Della Valle, già giudice in "Oltre ogni ragionevole dubbio". Tornano anche il giornalista Ferdinando Capolecchia e qualche altro personaggio minore.

La divisione in cinque parti (più prologo ed epilogo), a loro volta divise in capitoli brevi, rende la lettura molto veloce e incalzante seguendo tutto l'iter procedurale e quindi processuale, con un finale non dei più sorprendenti, ma indubbiamente appagante.

Reading Challenge 2024, traccia gioco di società di gennaio, Cluedo: libri dove si investiga su un omicidio avvenuto all'interno di una casa


giovedì 4 gennaio 2024

"Appuntamento dove il cielo è più blu", Emma Sternberg

 

"Un'estate a Capri. Scrittrice cerca assistente dattilografa personale. Necessaria conoscenza informatica e patente B. Richiesta riservatezza."

Berlino, 30 aprile 2017. Isabell Ritter ha 35 anni e l'ultimo è stato il peggiore della sua vita: prima è naufragata la sua relazione con Alex e dopo pochi mesi la libreria dove lavorava da quindici anni ha chiuso, costringendola ad accettare un nuovo lavoro che detesta. Come se non bastasse le due amiche del cuore dopo essere diventate madri hanno cambiato non solo ritmi di vita, ma anche quartiere.
Il colpo definitivo arriva da un incontro casuale con Alex e la sua nuova compagna, palesemente incinta. Di due gemelli. E stanno anche cercando casa nel quartiere in cui Isabell ha sempre vissuto!
La prospettiva di imbattersi ogni giorno nell'allegra famigliola è devastante e la spinge a rispondere all'annuncio letto quella mattina sul giornale.
Quello che non si aspetta è che Mitzi Hauptmann, anziana scrittrice berlinese residente a Capri da cinquant'anni, scelga proprio lei per aiutarla nella stesura della sua autobiografia.

Mi auguro di essermi imbattuta al primo colpo nel libro peggiore del mio 2024: trovarne uno più insulso di questo sarebbe davvero avvilente!

Emma Sternberg, nata ad Amburgo nel 1979, ha all'attivo diversi romanzi che, a giudicare dalle copertine in lingua originale, devono essere tutti molto simili a questo. Scritto nel 2018 (t
itolo originale "Azur blau fur zwei") e pubblicato in Italia nel luglio 2019, è l'unico a essere stato tradotto insieme a "La locanda dove il mare parla piano", che avevo letto nell'agosto 2022 ed è lì che nasce la mia delusione perché quella era stata una lettura leggera, sì, ma piacevole, che affrontava con simpatia, ma anche con una certa serietà, il tema della solitudine  degli anziani.

Qui la Stenberg ripete il copione: un'altra protagonista sulla trentina che scappa dalla Germania dopo aver perso in rapida successione compagno e lavoro per approdare in una località balneare da sogno ritrovandosi a convivere con persone di una certa età.
Ma se Linn e Isabell più o meno si equivalgono, è Mitzie a perdere decisamente il confronto con i cinque arzilli vecchietti della locanda americana: meno interessante, meno spiritosa, meno profonda.

E se la locanda è soprattutto un romanz(ett)o corale, dove la nuova storia d'amore di Linn fa solo da contorno, qui la Stemberg si immerge nel rosa assoluto, non solo facendo travolgere Isabell dalla passione per Luca - il bellissimo agente di polizia di Capri, portandoli già dal primo appuntamento a fantasticare sui futuri Mario e Maria che lui sogna di avere da lei - ma facendo ritrovare a Mitzi il fidanzatino dei suoi sedici anni, con tanto di nozze organizzate a tempo di record!

Mi rendo conto che è impietoso fare un confronto con la delicatezza della liaison fra due anziani descritta da Haruf ne "Le nostre anime di notte", ma senza arrivare a tanto sono certa che anche in "Love story" si possa leggere qualcosa di meglio.

E, a proposito di riviste, quale sarà mai il nuovo lavoro che all'inizio del libro sembra condurre Isabell verso la depressione ("un lavoro terribile, dove ogni minuto sembra identico al successivo, un giorno uguale all'altro") chiedendosi come abbia fatto la sua collega a farlo per ben sedici anni senza uccidersi?!?
Il mio!
Inutile negare che sarei molto più contenta di avere una libreria anziché un'edicola, ma vorrei poter rassicurare la Sternberg: in 27 anni e mezzo conosco solo un collega che ha tentato il suicidio, ma il problema di Paolo non era il lavoro.

Reading Challenge 2024, traccia di gennaio: libri con più di 27 lettere nel titolo

martedì 2 gennaio 2024

Riassunto letture 2023




Libri letti: 104

Ebook: 89
Cartacei: 15

Comprati da me durante l'anno: 55
Comprati da me, ma che avevo già: 48
Ricevuti in regalo: 1

Generi:

Romanzi: 88
Saggi: 9
Storie personali: 6
Raccolte di racconti: 1

Sottogeneri:

Narrativa contemporanea: 31
Thriller: 22
Gialli: 13
Gialli storici: 7
Storia: 6
Horror: 3
Romanzi rosa: 3
Chick lit: 2
Memorie: 2
Narrativa di viaggio: 2
Umoristici: 2
Autobiografie: 1
Avventura: 1
Classici: 1
Folklore: 1
Noir: 1
Reportage: 1
Romanzi storici: 1
Rosa crime: 1
Società e politica: 1
Sociologia: 1
Sport: 1

Scritti da donne: 62

Scritti da uomini: 42


Nazionalità:

Italiani: 32
Statunitensi: 24
Inglesi: 19
Spagnoli: 6
Scozzesi: 4
Francesi: 3
Canadesi: 2
Giapponesi: 2
Tedeschi: 2
Australiani: 1
Irlandesi: 1
Islandesi: 1
Olandesi: 1
Nordirlandesi: 1
Norvegesi: 1
Polacchi: 1
Rumeni: 1
Russi: 1
Svedesi: 1

Numero delle pagine: 32.125

Media di pagine al giorno: 88.01


Le tre copertine più belle:

 


I libri più amati:




lunedì 1 gennaio 2024

Reading Challenge: le tracce di gennaio

 

TRACCE MENSILI

Libere:
  • libri comprati a prezzo scontato:
    Morte apparente, Barbara Abel (4 punti)
    Chi è partito e chi è rimasto, Barbara Comyns (1 punto + 1 punto foto)
  • libri abbinati a una di queste pietre: corallo, apatite, agata muschiata, perla, amazzonite, angelite, ematite; un solo libro per pietra
  • libri con il titolo composto da almeno 27 lettere:
    Appuntamento dove il cielo è più blu, Emma Sternberg (3 punti)
    Non ridere della vita sessuale degli altri, Nao-Cola Yamazaki (1 punto)
    L'ultima cosa bella sulla faccia della terra, Michael Bible (1 punto)

Traccia gioco di società: Cluedo, 
libri dove si investiga su un omicidio avvenuto all'interno di una casa
  • La migliore bugia, Francesco Caringella (3 punti)

Traccia vagabonda: 
  • Germania: La mia prediletta, Romy Hausmann (3 punti)
  • Islanda: Fuori dal mondo, Ragnar Jonasson (2 punti)

Traccia stagionale crucipuzzle, inverno:
  • L'inferno su Roma, Alberto Angela (3 punti)
  • Nerone, Alberto Angela (4 punti)

I miei punti di gennaio: 26