sabato 29 giugno 2019

"L'invenzione delle ali", Sue Monk Kidd


26 novembre 1803, Charleston, Carolina del Sud. Sarah per il suo undicesimo compleanno riceve in regalo dai genitori una schiavetta personale, Hetty Monella. In quell'epoca e in quella parte di mondo essere proprietari di schiavi per una famiglia agiata come quella dei Grimkè non è solo normale, ma anche giusto e doveroso. Per questo fa scalpore il rifiuto da parte di Sarah a possedere un altro essere umano e questo sarà il primo atto di ribellione che la porterà, insieme alla sorella minore Nina, a diventare una pioniera dell'abolizionismo e a lottare per i diritti delle donne.

Romanzo storico basato su personaggi realmente esistiti, non solo le sorelle Grimké, ma ogni nome citato è documentato, come spiega l'autrice nelle interessantissime note di fondo (parte che raramente leggo volentieri, ma visto l'argomento non poteva essere altrimenti).

E' esistita anche una schiava di nome Hetty, coetanea di Sarah, regalata a quest'ultima dalla famiglia, ma la parte che la riguarda è opera di fantasia. Una parte consistente perchè il libro alterna i capitoli narrati in prima persona dall'una e dall'altra.

E basta leggere qualcosa di non romanzato per sapere che Sue Monk Kidd è stata molto indulgente nel descrivere le condizioni degli schiavi d'America.

Nella vita ho avuto tre cani e dodici gatti, purtroppo solo sei di questi ultimi ancora in vita. Mi è sempre sembrato normale parlare di loro come del mio cane o del mio gatto, perchè erano/sono miei, ma per loro ho sempre nutrito quel genere di possesso dettato dall'amore e dall'affetto, lo stesso che esprimo quando parlo di mio marito o di mia sorella e anche, perchè no, della mia città o della mia squadra di calcio. Ma mi ha sempre disturbato tantissimo definirmi padrone dei miei cani e dei miei gatti e quando l'ho fatto è stato solo per praticità.

Eppure, nonostante siano passati 154 anni dall'abolizione della schiavitù in America, ci sono ancora molte forme di schiavismo, anche in Italia: la sostanziale differenza è che un tempo la proprietà di uno schiavo era documentata nero su bianco mentre oggi si traduce in lavoro nero e per capire che non sto esagerando basta dare un'occhiata alle condizioni offerte in certi annunci di lavoro, ricordandosi che se dopo una o due settimane questi annunci spariscono non è, per lo meno non sempre, grazie al lavoro della Guardia di Finanza, ma perchè ci sarà sempre qualche disperato costretto ad accettare.

Il problema, come viene ben detto nel libro, è che "L'abolizionismo è altra cosa rispetto al desiderio di un'uguaglianza razziale."

E dall'idea di uguaglianza razziale ci stiamo allontanando sempre più e ad una velocità allarmante.

"Che abominio, non capiscono che siamo esseri umani?": e noi, oggi, lo capiamo?

Oggi, in Italia, Sarah Grimké verrebbe liquidata su due piedi come una sbruffoncella figlia di papà, rendiamocene conto, magari riflettendo anche sul fatto che noi europei abbiamo un tale debito morale ed economico nei confronti dell'Africa che per estinguerlo l'unica cosa che potremmo fare sarebbe quella di proporre uno scambio di continente e di condizioni. Senza dimenticare che siamo stati noi a colonizzare le Americhe, sterminando i nativi e portandovi i neri per farne degli schiavi. I Grimké, nello specifico, non erano americani: erano inglesi!

"Per quanto voi vi crediate assolti, siete per sempre coinvolti", vero, caro Faber...?

E riguardo alla parità delle donne le cose vanno sicuramente bene in certe parti del mondo, ma non troppo bene. Gli Stati Uniti hanno preferito un uomo di colore a una donna: vorrei altri mille Obama, ma è troppo comodo spiegare questa preferenza con la presunta antipatia della Clinton.

Al di là di tutta la mia amarezza, "L'invenzione delle ali" è un gran bel libro, da leggere però non dimenticando che è molto romanzato.

Vi ho anche trovato la più triste descrizione dell'atto sessuale che abbia mai sentito o letto: "Mi sentivo come un mortaio e lui era il mio pestello".
Così triste da avermi fatto ridere. Da genovese spero di non pensarci la prossima volta che mangerò le trenette col pesto ^^

Reading Challenge 2019: questo testo è una traccia gold del mese di giugno


giovedì 27 giugno 2019

"La gemella sbagliata", Ann Morgan


Londra, anni 80. Helen ed Ellie sono due gemelline fisicamente identiche, ma completamente diverse sotto ogni altro aspetto. Tanto la prima è brillante, intelligente, sicura di sè, estroversa e diligente, quando la seconda è poco acuta, insicura e pasticciona. Helen è la leader, quella che decide tutto quello che possono decidere di fare da sole due bambine di 6 anni, quindi principalmente a cosa giocare.
E in un giorno d'estate, mentre sono al parco, a Helen viene l'idea di invertirsi i ruoli: si cambiano i vestiti, Helen si disfa la treccia e si fa i codini ed Ellie fa il contrario. Tornando a casa la vicina di casa le confonde, perchè è proprio grazie alla pettinatura che sono sempre state distinguibili, ma poi anche la mamma cade nel tranello. E le due bambine si divertono, sono riuscite a fregare tutti...
Al momento di andare a dormire, quando Helen va verso il suo lettino perchè il gioco non ha più senso adesso che sono sole, Ellie fa i capricci, vuole continuare. Helen la accontenta, pensando che la notte  rimetterà le cose a posto. Ma non sarà così.

Ancora un romanzo che non mi trova d'accordo con la categoria di genere in cui è stato classificato: è la storia di Helen e il desiderio di scoprire cosa sia successo nelle varie tappe della sua vita non ha nulla a che vedere con la suspense tipica dei thriller.

Non sono comunque rimasta delusa, anzi, il libro è bello e funziona molto meglio in chiave drammatica. Tutto ruota attorno allo scambio di persona e l'anello debole della vicenda è proprio l'inverosimiglianza di come due piccole bambine possano venire davvero confuse dalla madre, dagli insegnanti, anche dalle amichette. Soprattutto di come quella affetta da un ritardo mentale riesca ad essere credibile nei panni dell'altra, sveglia più della media. Sarebbe bastato non esagerare con il divario di Q.I per rendere la storia più godibile.

Ma facendo uno sforzo per sorvolare su questo improbabile "dettaglio", è impossibile non lasciarsi intenerire dai disagi patiti da Helen, riflettendo su quanto male possa causare una famiglia disfunzionale. 

Un'opera prima che non sembra tale, Ann Morgan scrive bene alternando i capitoli del presente, scritti in terza persona, a quelli del passato, scritti in seconda persona: è la prima volta che trovo l'uso di questo tempo in un romanzo e mi è piaciuto moltissimo, mi ha fatto sentire molto più coinvolta nella storia e non credo sia facilissimo scrivere in questo modo senza cadere in un noioso elenco di azioni ripetute. Davvero brava (anche la traduttrice, Rachele Salerno).

Reading Challenge 2019: collegamento a cascata con la traccia di giugno. Lo collego a "Il diario di Eva" perchè entrambi entrambi gli autori sono anglofoni


mercoledì 26 giugno 2019

"Il diario di Eva", Mark Twain


Paradiso terrestre. Eva, fatta e finita, ha un giorno di vita quando inizia a tenere un diario dove racconta le sue giornate piene solo di cose belle in quell'Eden dove tutti i colori sono magnifici (anche il marrone) e tutti gli animali sono docili (anche il brontosauro è un cucciolone). Ogni cosa per Eva è una scoperta, dalla luna alle stelle, dal fuoco ad Adamo...

A prima vista quest'opera non dimostra affatto i suoi 114 anni. A ridosso della creazione le opinioni che questa Eva, tenera e buffa, ha di Adamo sembrano quelle che la maggior parte delle donne ha oggi degli uomini, sempre così sbadati, distratti, poco portati per il dialogo e poco interessati a ciò che li circonda. O semplicemente interessati a cose diverse da quelle che interessano a noi.

Insomma, Venere vs Marte.

Sicuramente quelle che oggi ci appaiono come generalizzazioni banali e anacronistiche, nel 1905 erano la base per una divisione di ruoli (emotivi e sentimentali, materiali e pratici) imprescindibile.

E qui il racconto da divertente diventa maschilista, con una Eva succube la quale dice che Adamo è buono, ma che lo amerebbe lo stesso anche se la picchiasse e la maltrattasse o, ancora,  che lui è forte e lei è debole e che lui le è indispensabile più di quanto non sia lei per lui.
Affermazioni che nell'epoca di Twain avranno rappresentato una bellissima dichiarazione d'amore, ma che oggi possono anche arrivare a condannare a morte una Eva che ci crede sopportando, subendo e sottomettendosi a un Adamo non buono come il primo.

Reading Challenge 2019: collegamento a cascata con la traccia di giugno. Lo collego a "L'ombra del sicomoro" perchè entrambi gli autori sono statunitensi


venerdì 21 giugno 2019

"L'incolore Tazaki Tsukuru e i suoi anni di pellegrinaggio", Haruki Murakami



Tokyo, giorni nostri. Tazaki Tsukuru ha 36 anni e, grazie alla laurea in ingegneria civile, fa il lavoro che ha sempre sognato: progetta stazioni ferroviarie, onorando anche il significato del suo cognome, Tsukuru, costruire.
Un uomo banale, controllato, triste. Una tristezza che si porta avanti da 16 anni, da quando cioè durante le vacanze del secondo anno di università tornando a Nagoya, sua città natale, si era trovato davanti a un muro eretto fra lui e i suoi quattro migliori amici (due ragazze e due ragazzi) con i quali aveva vissuto quasi in simbiosi nei quattro anni precedenti. Non sapeva perchè, per lui non era successo nulla, invece uno degli amici parlando a nome di tutti gli altri lo aveva liquidato al telefono dicendogli soltanto di non cercarli mai più.
Ed è quello che lui aveva fatto, cadendo per i sei mesi successivi in una profonda depressione, finendo poi col riprendersi fisicamente, ma non riuscendo mai a superare quell'inspiegabile rifiuto.
Sarà Sara, la donna che frequenta da poco nel presente, a spingerlo a cercare i vecchi amici per avere finalmente delle risposte da loro.

Leggere Murakami per me significa sempre uscire dalla mia comfort zone e anche questa volta, come con "Norwegian wood . Tokyo blues", è stata un'esperienza piacevole (non come con "Sonno"). Ho trovato alcune similitudini fra i due romanzi: due protagonisti prossimi ai 40, ma ancorati ai ricordi di ciò che avvenne quando erano giovani studenti, prima del trasferimento a Tokyo di entrambi.

Tazaki ha una scarsa opinione di sé stesso, si considera una persona insignificante, priva di attrattive... incolore. E secondo me ha perfettamente ragione. I personaggi di Murakami, che scrive così bene da rendere piacevole ogni cosa che racconta, mi confondono perchè, avendo una conoscenza superficiale del Giappone, probabilmente basata su molti luoghi comuni, non riesco a capire se siano loro (i suoi personaggi) ad avere un temperamento debole oppure se tutta questa calma, questa mancanza di slanci, ecc, siano tipici dell'indole nipponica.

Propendo per la seconda spiegazione, soprattutto dopo aver letto che il modo in cui Tazaki si fa da parte senza pretendere una lecita spiegazione dagli amici sia un atteggiamento del tutto logico per un giapponese, preferibile al rischio di apparire scortese nell'insistere. Logico per loro, del tutto illogico, se non demenziale, per me (oso dire per noi).

Una narrazione lenta come il suo protagonista, una trama scarna, ma comunque una storia che cattura e qui torna in ballo la bravura dell'autore. Molto bella anche la metafora dei colori.
 
Reading Challenge 2019: questo testo risponde alla Traccia casata di giugno "un libro il cui titolo contenga tutte le vocali"