sabato 30 marzo 2024

"Quando una donna diventa un lago", Marjorie Celona

 

Whale Bay (Stato di Washington), 1° gennaio 1986. E' dalla fine di novembre che il freddo non dà tregua. Secondo gli esperti non nevicava così tanto da più di ottant'anni. E nevica anche quel primo giorno dell'anno, ma questo non ha impedito a Leo Lucchi di portare i suoi due figli a Squire Point. Ha con sé il fucile ereditato dal padre e vuole insegnare ai bambini a sparare. Non sa mai cosa organizzare nell'unico giorno della settimana che può trascorrere con loro da quando lui ed Evelina si sono separati e quella gli è sembrata una buona idea.
Anche Vera Gusev ha raggiunto Squire Point per far correre Scout, il suo cane.
E' lei a chiamare la stazione di polizia per dire di aver trovato un bambino da solo nel bosco. Poi il centralinista sente un tonfo e un grido strozzato. Ma quando un'ora dopo arriva sul posto l'agente Lewis Côté non ci sono né la donna né il bambino: trova soltanto il cane vicino al lago ghiacciato.

Scritto nel 2020, "Quando una donna diventa un lago" (traduzione letterale del titolo originale) è il secondo romanzo della canadese Marjorie Celona, il primo ad essere stato tradotto in italiano. 

La struttura, pur non essendo una novità assoluta, è ugualmente molto originale. Il libro sembra un carciofo, dove ogni foglia è un capitolo. Ogni foglia (capitolo) si accavalla a quella sottostante. Staccandole (leggendoli) si arriva al cuore del carciofo, che è la soluzione del libro.

Ogni capitolo ha per soggetto uno dei sette personaggi e ognuno aggiunge un tassello, un dettaglio, una spiegazione, un pensiero o un'azione. Compresa Vera (e i suoi sono i capitoli di cui non avrei sentito la necessità).

Un gran bel thriller che solo nella parte centrale perde leggermente il ritmo (per poi riprendersi con gli interessi), ma che è qualcosa di più grazie alla grande introspezione di ciascun personaggio, 240 pagine di suspense, ma anche di drammi e disagi personali e familiari, di scelte, decisioni, reazioni, paure e speranze.

Non il solito thriller, può piacere anche ai non amanti del genere. Merita di essere letto.

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giovedì 28 marzo 2024

"Lady Chevy", John Woods

 

Barnesville (Ohio), 2015. Amy Wirkner ha 18 anni e pesa 120 chili. Lady Chevy è il soprannome che le hanno affibbiato per il suo culone obeso. Bullizzata fin dai tempi delle scuole elementari, non solo per il grasso, ma anche per la povertà della sua famiglia, Amy ha soltanto due amici, Sadie - che chiama sorella, ma che è l'opposto di lei - e Paul, di cui è segretamente innamorata. Amy ha anche un grande sogno: vincere una borsa di studio che le permetta di andarsene da quel posto per proseguire gli studi e diventare veterinaria.
Ma Paul, convincendola a fargli da autista e da palo, finirà col mettere a rischio quel futuro che è la sua sola ragione di vita, qualcosa che deve difendere. A tutti i costi.

Romanzi di esordio così belli e potenti sono una rarità ed è avvilente che questo non abbia beneficiato delle attenzioni che merita da parte di chi per mestiere o per passione dà consigli di lettura, diventando per noi italiani un libro di nicchia.
Soprattutto è un peccato che John Woods dopo questo, scritto nel 2020, non abbia ancora pubblicato altro.

Barnesville (chiamata "la Ville" dai suoi abitanti) è la sua città natale, un piccolo centro con meno di cinquemila abitanti della Ohio Valley, ai confini con la Virginia Occidentale, e - a giudicare da questo video scovato su YouTube - effettivamente non è un posto dove in molti sognerebbero di rimanere per tutta la vita.

Siamo sulle colline pedemontane degli Appalachi, ma questa volta dimentichiamoci dell'immersione nella natura fatta con Byll Bryson. Bisogna tornare sui monti di cui John Grisham e Joyce Carol Oates hanno già raccontato la devastazione operata dall'uomo.

I genitori di Amy hanno ceduto i diritti minerari della loro terra spinti dalle rassicurazioni e dal bisogno di soldi: ma 900$ al mese non potranno mai dare un senso alle deformità di Stonewall, il figlio minore.

"Sotto i nostri piedi la terra trema, iniezioni di fluido ad alta pressione, gemiti profondi nelle tenebre sotterranee. Le sostanze chimiche rompono le rocce scistose, filtrano nelle falde acquifere, contaminano il terreno ed estraggono i gas naturali che alimentano la nostra nazione. L’acqua è opaca, marrone, puzza di zolfo. A volte prende fuoco. A volte, quando facciamo la doccia, ci vengono degli sfoghi che restano sulla pelle per giorni. Abbiamo tutti la tosse, la gola irritata. Gli occhi che bruciano. Le emissioni di radon e metano velano di foschia le colline intorno alla città."

Ma il vero macro argomento del libro (che è ridicolo classificare nel genere giallo come hanno fatto: caso mai un noir, ma soprattutto un grande romanzo americano) sono il razzismo e la pretesa superiorità di certi bianchi. In questo caso bianchi americani, quel tipo di bifolchi che il 6 gennaio 2021 tutto il mondo ha visto assalire la Casa Bianca.

"Lo sai come siamo fatti qui. Tutti fucili e religione"

Americani per i quali farsi giustizia da soli è un dovere e un diritto perché "solo la violenza può salvarci, può salvare la razza bianca" e che considerano "il multiculturalismo il genocidio dei bianchi".

Il nonno materno di Amy era un Gran Dragone del Ku Klux Klan. La madre conserva con orgoglio la sua cintura di pelle nera con trentatré buchi, uno per ogni omicidio. Lo zio ha tatuato sul braccio il simbolo delle SS e una bandiera con la svastica in giardino.
E' lo stesso zio che le ha insegnato a sparare per uccidere e che le ha regalato un fucile.

E poi c'è l'agente di polizia Brett Hastings, una sorta di giustiziere della notte che considera le idee di uguaglianza, di bene e male delle idiozie.
Lui e Amy si alternano nei capitoli del libro: 24 (più epilogo) dove è lei la voce narrante, altrettanti (ma non numerati e intitolati con una semplice H) dove è lui il protagonista raccontato in terza persona.

Woods non ha risparmiato nessuna accusa a quell'America non patinata che ha ben poco da insegnare al resto del mondo: guerre, droga, reperibilità delle armi, stragi nelle scuole, mercificazione degli adolescenti, pedofilia, debito pubblico.
Situazioni magari appena accennate, ma presenti, dove c'è spazio anche per un'affermazione di peso in un'America rurale carnivora: "Le proteine vegetali sono fantastiche".

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lunedì 25 marzo 2024

"Mi è passato il mal di schiena", David Foenkinos

 

"Si sa sempre quando una storia comincia. Io ho capito subito che stava accadendo qualcosa, anche se, naturalmente, non potevo immaginare gli sconvolgimenti che ne sarebbero seguiti. In principio ho provato un dolore vago, giusto un pungolo nervoso nella parte bassa della schiena. Non mi era mai successo, non sono stato a preoccuparmi."

La voce narrante è un architetto quarantenne di cui non ci viene mai detto il nome. Sposato da vent'anni con Elise, due figli giovani, ma già indipendenti, vive un'esistenza regolare e apparentemente priva di problemi. Il dolore alla schiena lo coglie mentre è nella cucina della sua villetta, in una zona residenziale alla periferia di Parigi. 
E' una domenica pomeriggio (di un anno non precisato) e lui ed Elise hanno appena finito di pranzare con la coppia di amici che frequentano da sempre, quando parte la fitta.

Leggere all'inizio del libro che la cosa non lo preoccupa non suscita particolari reazioni, ma già dopo una quindicina di pagine ci si rende conto che il nostro narratore è un concentrato di ipocondria e di insicurezza. A mezz'ora dalla fitta ha già congedato gli amici e si è messo a letto e nelle tre mattinate successive colleziona una serie di lastre e due risonanze magnetiche: giusto perché non si era preoccupato ^^

David Foenkinos, autore parigino classe 1974, lo avevo scoperto per caso due anni fa, quando per la Challenge mi serviva un libro con la parola mistero nel titolo. Avevo quindi letto "Il mistero di Henri Pick" e, piacendomi, avevo inserito gli altri suoi titoli in wish list (dei suoi ventun romanzi soltanto otto sono stati tradotti in italiano).

Scritto nel 2013, "Je vais mieuz" (titolo originale), si divide in cinque parti più l'epilogo. Alla fine di ogni capitolo fa il punto della situazione misurando l'intensità del dolore in una scala da 0 a 10 e descrivendo il suo stato d'animo: a pagina 16 si dice preoccupato, venti pagine dopo è già disperato.

All'inizio pensavo che l'autore mirasse a far divertire basando la storia sullo stereotipo dell'uomo lagnoso che con 37 di febbre pensa già a cosa far scrivere sulla propria lapide, ma dopo aver finito il libro non ne sono più tanto convinta perché il romanzo è sì leggero e scanzonato, ma credo/temo che le esagerazioni di Foenkinos non siano delle forzature volute. Del resto, è un uomo e chissà se anche per lui è normale convincersi di avere qualcosa di grave sulla base di un semplice mal di schiena, come fa il suo protagonista...

Quel che è certo è che al povero architetto succede di tutto, un crollo verticale che dopo la salute travolge anche la sua vita lavorativa e affettiva, portando la commiserazione a livelli insopportabili.

"Quando si soffre bisogna organizzare qualcosa di ancor più sgradevole, perché solo il male può distrarre dal male"

Rende bene l'idea il padre quando lo descrive come un uomo che "ha il dramma dipinto in faccia, sempre l'aria da vittima, uno che vuole sempre essere compatito".

Un uomo che, quando si convince che il dolore alla schiena sia il risultato di "rancori tenuti dentro", per sciogliere le tensioni risolvendo i contrasti non risolti del passato arriva a contattare l'ex compagna di terza elementare che lo aveva ferito non invitandolo al suo compleanno!!

Fra una situazione e l'altra, tutte più o meno paradossali, il libro fa però riflettere su
 come diamo la salute per scontata finché non la perdiamo, ma anche sui rapporti fra le persone, su com'è facile illudersi che noia e abitudine siano un tranquillo ménage matrimoniale o su come certe amicizie siano tali solo in determinate condizioni, momenti e luoghi.

E se al protagonista alla fine il mal di schiena passa (la traduzione italiana del titolo ci spoilera allegramente il finale), a me è venuto leggendolo: una contrattura alla zona lombare causata tre giorni fa da un banale incidente domestico.
Forse mi converrebbe cambiare il prossimo libro che ho in scaletta: "Se muoio prima di svegliarmi"...

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venerdì 22 marzo 2024

"Ogni tuo passo", Alice Feeney

 

Londra, 2017. Fingere e scappare sono le due cose che sa fare meglio: è questo che Aimee Sinclair pensa di se stessa. E della capacità di impersonare ruoli diversi ne ha fatto la sua professione: ha 36 anni e da diciotto recita. Una lunga gavetta fatta di piccoli ruoli, ma adesso sta girando un film per il grande schermo, "A volte uccido", ed è la protagonista. Nessuno sa quanto sia adatto a lei quel titolo...
Però non ha nulla a che fare con la scomparsa di suo marito Ben: è vero che la sera prima hanno litigato e lei ha lasciato il ristorante dopo avergli dato uno schiaffo, ma quando al mattino si è svegliata nella loro casa di Notting Hill lui non c'era e lei davvero non sa dove sia finito, com'è sicura di non essere stata lei a chiudere il loro conto corrente dopo averlo svuotato, né è stata lei a fare il pieno all'auto. La donna che è stata ripresa dalle telecamere della banca e del distributore le assomiglia, ma non è lei. E, no, è sicura di non essere di nuovo vittima di un'amnesia selettiva come le era successo da bambina. Lo sa perché trent'anni prima aveva solo finto di non ricordare, ma questo all'ispettrice Alex Croft non può proprio dirlo.

Scritto nel 2019, titolo originale "I know who you are" (ben più calzante rispetto alla traduzione italiana), è il secondo romanzo pubblicato dall'inglese Alice Feeney.
Due anni fa avevo letto il primo, "Ogni piccola bugia", che avevo definito uno dei migliori thriller letti negli ultimi anni, cosa che non posso dire anche di questo.

Non è una stroncatura, anzi, la sufficienza c'è tutta e anche qualcosa di più, ma è inevitabile fare un confronto fra i due e la storia raccontata in "Ogni piccola bugia" è migliore: nella trama, nella costruzione, nei personaggi.

Quello che la Feeney ha (purtroppo) mantenuto e addirittura incrementato è l'abuso di frasi a effetto, soprattutto nella prima metà del libro, dove quasi ogni paragrafo si chiude con affermazioni come "Ormai abbiamo sempre gli occhi incollati agli schermi e non guardiamo più le stelle" o "Anche le tende sono nere e nascondono il mondo che c’è fuori, che a sua volta non vede noi"!

Anche in questo romanzo la voce narrante è quella della protagonista e di nuovo i capitoli si alternano fra il presente (Londra) e un passato (Galway, Irlanda) risalente a trent'anni prima (1987 vs 2017).
Una protagonista assoluta che è forse il punto debole del libro, con una timidezza e un'insicurezza che mal si associano a una persona che vive sotto alle luci dei riflettori.

Anche la tempistica difetta. Quando Aimee si racconta lo fa come se avesse alle spalle molti anni di matrimonio: 
"Avrei dovuto lasciarlo tanto tempo fa" oppure "Ripenso a Ben. Sapeva quanto adorassi le scarpe e me ne comprava un paio di marca a ogni compleanno e a ogni Natale".
Ma, insomma, si sono conosciuti e sposati meno di due anni prima, non è che lui abbia fatto in tempo a riempirle la scarpiera, eh...

Il libro avrebbe meritato maggiore attenzione nella rifinitura, ma ha il pregio di essere incalzante (grazie anche ai capitoli brevi) e di chiudersi con un gran bell'epilogo (da non confondersi con il finale, macchiettistico).

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mercoledì 20 marzo 2024

"Madre d'ossa", Ilaria Tuti


Lago di Cornino (provincia di Udine), fine ottobre 2019. E' l'una del mattino quando Rachis Evaldi, vent'anni ancora da compiere, posta un video su TikTok: gli bastano appena 58 secondi per dire addio al mondo e alla vita.
E' l'alba quando Massimo Marini arriva sul luogo indicato dal ragazzo nel video: si è tagliato le vene con un antico pugnale, non ha avuto paura di andare fino in fondo, come succede a tanti.
Ma la vera sorpresa per l'ispettore è vedere il morto fra le braccia del commissario Battaglia.
La presenza di Teresa è inspiegabile: è passato meno di un mese dalla chiusura del caso precedente, un caso che ha scavato profondamente nel passato della donna che da allora è in congedo straordinario, non può essere  stata chiamata per questo suicidio. E, soprattutto, come ha fatto ad arrivare sul lago, con l'Alzheimer che mina sempre più la sua lucidità?
Infatti non riconosce né Marini, né Parri, né Lona. E quando le tolgono il ragazzo dalle braccia e la mettono a sedere su una roccia, lei si mette a giocare con i sassi, facendo una spirale, come se fosse una bambina. Come se ormai fosse persa per sempre.

Pubblicato a giugno dello scorso anno, "Madre d'ossa" è la sesta puntata della serie che ha come protagonista Teresa Battaglia ed è il seguito di "Ninfa dormiente": incredibile che questo non sia stato scritto né in copertina né nella sinossi. Andava fatto. I libri sono stati scritti a quattro anni di distanza (2019 vs 2023), ma i fatti che raccontano avvengono nel 2019 (aprile vs ottobre e novembre). In mezzo ci sono altri due romanzi (ambientati nell'intervallo di tempo fra i due), ma "Ninfa dormiente" e "Madre d'ossa" sono molto più che semplici storie collegate: una parte di quello che succede nel primo è autoconclusiva, ma l'altra parte prosegue nel secondo. Non si tratta solo di qualche rimando. Leggere "Madre d'ossa" senza aver letto "Ninfa dormiente" significa non capire un buon 80% del libro e non si può dare per scontato che tutti conoscano l'opera omnia di Ilaria Tuti.

Non solo. I due libri andrebbero letti in rapida successione: sono solita farmi dei riassunti, più o meno corposi, dei thriller seriali, ma nonostante quei preziosissimi appunti essendo passati quasi cinque anni dalla lettura di "Ninfa dormienteho avuto qualche problema nel dare un senso a quello che leggevo in "Madre d'ossa" (appunti, tra l'altro, che avrebbero giovato anche all'autrice per non scordare che in "Ninfa dormiente" aveva anticipato che Marini sarebbe diventato padre di una bambina che avrebbe chiamato Aniza, bambina che nasce durante i fatti di "Madre d'ossa" con il nome di Zoe!).

E se "Ninfa dormiente" non mi era piaciuto, questo se possibile mi è piaciuto ancora meno ed ecco un altro motivo per cui andava evidenziato il collegamento: per evitare una seconda lettura spiacevole a quelli che - come me - pensavano di aver comprato un giallo e si sono trovati in mano una specie di fantasy incentrato sull'esoterismo.
La frase migliore del romanzo è quella in cui Marini definisce "stronzate" tutte queste pratiche, fra riti, sacrifici, sciamane e altro.

La cosa più bella, invece, è senz'altro il lago di Cornino, nella riserva naturale omonima che si trova in provincia di Udine, a Forgaria nel Friuli, il posto scelto da Rachis per suicidarsi, quindi la scena di apertura del romanzo.


Leggendo i libri della Tuti si ha spesso l'impressione di avere in mano una guida del Friuli Venezia Giulia, ma cercare i posti citati su Google immagini vale (quasi) sempre la pena (e poi apprezzo sempre molto il suo attaccamento al territorio).

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venerdì 15 marzo 2024

"I ricchi", Joyce Carol Oates

 

Fernwood (Stati Uniti), gennaio 1960. Un auto parcheggia davanti a una villa. E' una Cadillac gialla, lussuosa e chiassosa come i suoi proprietari, gli Everett, che stanno per visitare... la nona? L'undicesima? Forse la quattordicesima casa in appena due giorni. Richard, 10 anni, ha perso il conto.
La madre - la bellissima Natashya, che vorrebbe essere chiamata Nadia dal figlio, nome che lui da piccolo non riusciva a pronunciare trasformandolo definitivamente nel più semplice Nada - ha trent'anni, è una scrittrice di nicchia e ha respinto tutte le precedenti proposte dell'agente immobiliare.
Il padre, Elwood, è un dirigente d'azienda ricco di famiglia, quel genere di ricchezza che dà l'illusione di comprare anche i sentimenti della propria moglie.
Ma non la sua fedeltà.

Scritto nel 1968, è il terzo romanzo dell'autrice e il secondo (di quattro) di quella che viene definita "la grande epopea americana", di cui l'anno scorso avevo letto il primo titolo, "Il giardino delle delizie".

"I ricchi" mi respingeva a causa della donna impellicciata in copertina. Per altro avrebbero potuto fare lo sforzo di cercare l'immagine di una donna dai "capelli molto scuri, quasi neri" come quelli di Natashya...

Se questo è un dettaglio per odiosi precisini come me, ben peggiore è l'aver scritto nella sinossi "l'America che (la Oates) ha già raccontato in Una famiglia americana", come se quel romanzo fosse precedente a questo, mentre è vero il contrario. Non solo: va considerato anche che fra le due opere passano ben 28 anni e che il primo è stato scritto da una autrice trentenne semi esordiente, il secondo da una quasi sessantenne che aveva già pubblicato ventiquattro romanzi e innumerevoli altri titoli fra saggi, racconti, poesie e opere teatrali, con premi e onorificenze varie.
Non si può definire "I ricchi" un'opera acerba, perché anche qui la scrittura della Oates raggiunge un livello a cui la maggior parte dei suoi colleghi non arriva neppure a fine carriera, ma qualche differenza c'è.

"Ero un assassino bambino"

La voce narrante è quella del piccolo Richard, ormai cresciuto, ed è così che inizia il romanzo, un monologo in cui si rivolge spesso ai lettori.

"Leggere della mia sofferenza farà bene alle vostre anime. Vorrete sapere quando ebbe luogo il mio crimine, e dove."

Una promessa che crea grandi aspettative, ma che nel corso della lettura viene quasi dimenticata mentre ci si abbandona ai ricordi e alle ricostruzioni di Richard, di quando era piccolo fino ai suoi undici anni, cresciuto patendo la carenza di considerazione da parte di un padre che sembra essere interessato solo a ciò che può comprare ("I suoi vestiti erano costosi perché non aveva idea che fossero disponibili vestiti più economici") e di una madre che prende le distanze da lui ("Ma, mamma" dissi. "Per favore, non chiamarmi così" disse lei), in quel sobborgo dove tutto è ricco, i vicini, gli amici, la scuola.

"Fu una lunga, meravigliosa passeggiata. Ah, la primavera a Fernwood! Tutto, tutto è meraviglioso a Fernwood! Raccontarvi dei pendii erbosi, delle file di sempreverdi (piantati in piena crescita), del verde di giardini e cortili, dei vialetti ovali; raccontarvi dei sontuosi piaceri delle loro case squadrate, degli stagni per i pesci, delle cameriere di colore visibili attraverso le finestre, occupate a lavare vetri già perfettamente puliti; raccontarvi di queste cose sarebbe come scrivere un altro Paradiso, ma, come ben sapete, noi scrittori siamo più preparati a parlare dell’Inferno e del Purgatorio. Di fronte alle rare meraviglie dell’America ricca uno scrittore può fare ben poco: le sue «critiche» sono solo frutto dell’invidia, lo sanno tutti."

Richard, un bambino invisibile per occhi ricchi e superficiali, genitori e non solo, persone per le quali il bisogno di apparire assume un'importanza spropositata, che scavalca tutto, anche il buon senso. E, aneddoto dopo aneddoto (dove c'è spazio per citare anche la mia Riviera Ligure), ci porta a dare un senso alla frase di apertura.

E lì il romanzo raggiunge il massimo livello della sua drammaticità e della sua beltà.

Reading Challenge 2024, traccia di marzo: libri con protagonista ricca/o

martedì 12 marzo 2024

"Amabili resti", Alice Sebold

 

Norristown (Pennsylvania), 6 dicembre 1973. Susie Salmon ha 14 anni e per tornare a casa da scuola ha scelto di tagliare per il campo di granoturco. E' lì che incrocia il signor Harvey, il vicino strambo che abita nella casa verde. Ed è per curiosità, ma anche per educazione, che accetta di entrare con lui nel nascondiglio che ha costruito nel campo: vuole proprio vedere come ha fatto a scavare una tana a dimensione umana senza far crollare la terra attorno. Non sa ancora che George Harvey è un serial killer e che lei sarà la sua prossima vittima.
Lo scoprirà quando, dopo la morte, salirà nel suo Cielo. Da lassù vedrà tutto quello che succede sulla Terra, alla sua famiglia, al suo cane, al ragazzino a cui aveva appena dato il suo primo bacio, ai suoi amici e al suo assassino.
E ci racconterà tutto.

Alice Sebold, nata in Winsconsin nel 1963, ha all'attivo soltanto tre romanzi. Nel 2019 avevo letto il primo, "Lucky", l'autobiografia in cui racconta lo stupro subito quando aveva 18 anni. Quindi avevo subito comprato, "Amabili resti", certa che lo avrei letto in tempi brevi, e invece sono trascorsi quasi cinque anni: è senza dubbio il libro che ho preso più spesso in considerazione collegandolo a una delle tracce della Challenge finendo ogni volta per preferirgli un altro titolo.

La storia che racconta è famosissima e, immaginandolo carico di una tristezza indicibile, l'ho evitato più o meno consapevolmente.
E triste lo è, ma in maniera diversa da quello che mi aspettavo. Susie racconta la sua uccisione con un certo distacco e il suo ritrovarsi in un'altra dimensione, potendo usufruire di una certa continuità, rende la morte un passaggio, non l'evento definitivo che invece è.

"Ghost" è uno dei miei film preferiti e ho guardato tutte le stagioni di "Ghost Whisperer", ma - come mio marito si è visto "The Walking Dead" senza arrivare a credere all'esistenza degli zombie - la tematica dei fantasmi non ha mai fatto vacillare la mia convinzione che dopo la morte non ci sia assolutamente nulla.

Anche per questo trovo ridicola la frase con cui E/O ha chiuso la sinossi: "E Susie aiuterà tutti, i lettori per primi, a riconciliarsi con il dolore del mondo". Ma non scherziamo. Non riescono a essere convincenti credenze millenarie, figurarsi la favoletta inventata per un libro, dove ogni defunto fluttua in un suo personalissimo Cielo in cui basta desiderare una cosa per ottenerla, senza perdere di vista le persone amate o chiunque si voglia osservare.

Di religioso la Sebold si è limitata a piazzare una (evitabilissima) statua di San Francesco all'ingresso di questo aldilà, ma il suo Cielo ha troppi punti in comune con quel Paradiso a cui non credo.

Il meccanismo narrativo è comunque particolare e accattivante. Mi aspettavo, e avrei voluto, una maggiore rilevanza della vicenda criminale vera e propria, ma questo è un libro di narrativa, non un giallo, che punta sui legami ed è nella figura del padre che si concentra la grande sofferenza della storia, mentre il personaggio della madre di Susie ha molti punti in comune con quella dell'autrice, da lei descritta in "Lucky" e c'è ben poco di positivo nelle due donne.

In definitiva, dopo averlo tenuto a distanza per tanti anni, il libro ha deluso le mie aspettative perché non mi ha fatta stare male come temevo.
Ma soprattutto per le esagerazioni dei capitoli finali.


In "Ghost" la Goldberg riesce a far ridere espellendo dal suo corpo l'anima di un defunto durante l'affollata seduta spiritica ed è potente quando permette a Swayze di impossessarsi di lei per fargli riabbracciare la Moore, ma Susie che prende in prestito il corpo di Ruth è un eccesso che forse un animo romantico può apprezzare, mentre ai miei occhi rappresenta un finale macchiettistico per un libro che avrebbe meritato una conclusione più profonda e concreta.

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venerdì 8 marzo 2024

"La signora in tweed", Charles Exbrayat

 

Londra, anni Cinquanta. Imogene McCarthery - prossima ai cinquant'anni, un metro e settantotto centimetri di altezza, muscolosa come tanti uomini possono solo sognare di essere, soprannominata red bull dalle colleghe (non è chiaro se per la chioma rosso fuoco o se per il suo caratterino ancora più incandescente) - da vent'anni lavora come dattilografa negli uffici dell'Ammiragliato. Da altrettanti anni, proprio a causa del lavoro, ha dovuto lasciare le Highlands e trasferirsi a Londra, sopportando la convivenza con gli inglesi.
Cosa non facile "
dal momento che per miss McCarthery si iniziava a essere stranieri a partire da Glasgow".
Ma adesso deve tornare a casa, non per una vacanza, ma per lavoro: sir David Woolish, direttore dell'Ammiragliato, nonché capo dell'Intelligence Department, l'ha arruolata affidandole il delicato incarico di portare dei documenti segreti a un funzionario governativo momentaneamente alloggiato proprio a Callender, perla della contea di Perth e cittadina natia di Miss McCarthery, che parte immediatamente prendendo la sua missione molto (molto) sul serio, certa di sbaragliare il nemico come fece Robert Bruce con gli inglesi il 24 giugno 1314 a Bannockburn!

Curioso che un personaggio come Imogene McCarthery sia venuto in mente a un francese. Charles Exbrayat, nato e morto a Saint-Etienne (1906 - 1989), ha scritto moltissimi romanzi. Questo - il primo a essere stato tradotto in italiano - è anche il primo di sette della serie che ha come protagonista questa indomita scozzese: sebbene la storia sia ben lontana dal XIII secolo e non sfiori nessuna battaglia, è quasi impossibile leggerne le imprese senza pensare a William Wallace.

Se a distanza di quasi trent'anni dall'uscita "Braveheart" continua a essere il mio film preferito, "La signora in tweed" non si avvicina neppure alla lista dei libri più amati, ma è stata ugualmente una letturina piacevole e divertente, che mi lascia la speranza di veder tradotti anche i successivi sei titoli della serie.

Avevo letto di un paragone fra Exbrayat e Paul Gallico ed effettivamente delle similitudini nei loro lavori ci sono: due protagoniste atipiche che si mettono in moto per portare a compimento una missione, con tenacia e cipiglio. 
E' probabile che il francese per il suo libro (pubblicato nel 1959, quindi un anno dopo rispetto a "La signora Harris") abbia preso spunto dall'idea del collega americano, ma Imogene McCarthery e Ada Harris sono particolari in modo diverso, come sono diverse le avventure che si trovano a vivere.

"La signora in tweed" ha una partenza folgorante, un primo capitolo eccezionale e un secondo molto piacevole, dove vengono raccontati passato e presente della vita di Imogene e descritto il suo temperamento, reso particolare dal fervente amore per la Scozia, attaccamento tramandatole dal defunto padre, che genera durante le 192 pagine, ma soprattutto all'inizio, situazioni esilaranti, in particolare per gli 
attacchi ai Windsor, usurpatori dei Tudor.

Chissà cosa direbbe Imogene sapendo che gli storici negli ultimi anni hanno stabilito una connessione fra i Windsor  e i Tudor: Elisabetta II, infatti, sarebbe stata una discendente di Margherita di Scozia, sorella di Enrico VIII e nonna di Maria Stuarda, regina di Scozia, davanti alla cui statua conservata nell'abbazia di Westminster Imogene si inginocchia chiedendo "
la pazienza e il coraggio necessari per vivere un giorno in più tra gli inglesi".

Dal terzo capitolo la storia ha perso parte della sua attrattiva, ma questo a causa della mia personale avversione verso spionaggio e inseguimenti: "La signora in tweed" è e resta un romanzo divertente, ma se Imogene parte dicendosi "pronta a morire per la Corona!", in realtà è lei quella che finisce per mietere cadaveri in un incessante susseguirsi di equivoci e situazioni strampalate.

Ed ecco la piccola Callander, meno di tremila abitanti, comunemente considerata la porta di accesso alle Highlands:


Reading Challenge 2024, traccia stagionale crucipuzzle, inverno: freddo nel testo

martedì 5 marzo 2024

"Omicidio fuori stagione", Arwin J. Seaman

 

Isola (immaginaria) di Liten (Svezia), 1° febbraio di un anno recente. Henning Olsson, ispettore della Scientifica di Malmö, non può tirarsi indietro, deve tornare a Liten: il cadavere di una ragazzina di 16 anni, Erika Lundström, è stato recuperato fra le acque ghiacciate del lago Okänd, con le mani e i piedi legati in modo tale da obbligare il corpo ad assumere una posizione a stella. Serve qualcuno capace di raccogliere le prove, per lo meno quelle che possono essere rimaste dopo che i membri del numeroso clan degli Andersson hanno tirato Erika fuori dal lago senza curarsi di comprometterle.
Così Henning sbarca a Liten dopo quattro anni, l'intervallo di tempo trascorso dalla fine della sua relazione con Annelie Lindahl, una rottura mai superata e causata proprio dall'isola e dalla decisione di Annelie di lasciare la polizia di Malmö per diventare un agente di Liten.

La fascetta gialla che abbraccia il libro recita "Il primo giallo nordico di un grande scrittore italiano in incognito".
Non sono in grado di fare confronti perché non amo particolarmente la letteratura scandinava, la trovo cupa e pesante, ma basandomi sui pochi libri letti (non solo gialli) direi che l'imitazione è riuscita, proprio grazie alle atmosfere tetre e ai personaggi chiusi e poco loquaci. L'ambientazione mi ha ricordato (non solo per via del lago) "La ragazza del lago" di Karin Fossum, ma anche "La ragazza nella nebbia" di Donato Carrisi.

Ci si potrebbe chiedere che bisogno ci fosse di far scrivere a un italiano un libro in stile nordeuropeo (se serviva gente cupa e diffidente sarebbe bastato ambientarlo qui in Liguria, almeno il clima sarebbe stato migliore ^^), ma la risposta è palese, una pura operazione di marketing che tutto sommato non fa male a nessuno e che deve aver venduto bene visto che a breve uscirà il secondo romanzo della serie, "Un giorno di calma apparente".

Una seconda puntata che leggerò molto volentieri: "Omicidio fuori stagione" non lo ricorderò come un libro particolarmente amato, ma - tolta la difficoltà che ho avuto nel ricordare i nomi dei personaggi e dei posti, più una brutta partenza a causa di un "carinissima" usato per definire l'isola di Liten (superlativo che già non sopporto in bocca alla mia amica Chiara, che da un pezzo ha superato i 12 anni, figurarsi trovarmelo dopo aver letto appena l'1,3% di un libro!!) - è stata una lettura coinvolgente con un finale inaspettato.

Quello che manca è una spiegazione del perché Annelie - brillante giovane agente - quattro anni prima abbia scelto di lasciare il lavoro in città per la piccola realtà dell'isola, precludendosi di fatto la possibilità di lavorare a casi interessanti e di far carriera. La storia avrebbe retto benissimo senza tutto il siparietto secondario della relazione naufragata fra lei e l'ispettore, ma immagino che questo progetto sia stato preventivamente ben studiato a tavolino e che la trama orizzontale - più ancora delle singole vicende gialle - sia già ben delineata nella mente dell'autore e del suo editore.

Certo aver scelto di ambientare una serie su un'isola così piccola è un bell'azzardo, non amo i luoghi stile Clerville di Diabolik, posti minuscoli in cui fanno inverosimilmente succedere di tutto, e a "Seaman" è stato sufficiente un libro per parlarci di ogni abitante di Liten!

Isola immaginaria che hanno posto fra la Svezia e la Danimarca, collegandola a Malmö dal traghetto: particolare che mi ha fatto rivivere la traghettata andata e ritorno fatta quando nel settembre 1989 andai in treno fino a Bergen per vedere la mia Samp impegnata in Coppa delle Coppe, 2-0 per noi con gol di Vialli e Mancini.
Ricordi lontani, ma l'importante è averli vissuti.

Reading Challenge 2024, traccia stagionale crucipuzzle, inverno: stivali nel testo

domenica 3 marzo 2024

"Nella tana", Michaela Kastel

 

"Lo chiamiamo Varco del Sole, il buco nero tra le rupi nel quale ci getta papà quando non facciamo i bravi"

Sankt Nikola an der Donau (Alta Austria), autunno di un anno non precisato. La detective Sarah Wiesinger ha finalmente una traccia: un berretto rosso da bambina abbandonato lungo le rotaie che attraversano quel "buco sperduto", poco più di ottocento abitanti, circondato da boschi che sembrano non finire mai. Il test del DNA su un capello rimasto impigliato nella lana conferma che Lola - 12 anni, rapita dieci giorni prima - lo ha indossato. E' soltanto l'ultima bambina scomparsa nella zona, ma adesso è Sarah a occuparsi del caso e vuole trovarla a ogni costo, non sapendo che la piccola ha già sperimentato il Varco del Sole, una fossa profonda cinque metri che finisce in uno spazio freddo e buio. Il castigo che l'uomo usa per piegare i bambini alla sua volontà.
Pochi sono sopravvissuti, fra questi Ronja e Jannik, ma quanto c'è ancora di sano in loro dopo aver vissuto per più di dieci anni con quell'uomo?

Scritto nel 2018, titolo originale "So dunkel der Wald" (La foresta è così buia), "Nella tana" (vincitore del premio Viktor Crime Award nell'anno di pubblicazione) è il terzo romanzo dei dieci scritti da Michaela Kastel, viennese classe 1987, l'unico a essere stato tradotto in italiano.

Il posto che l'autrice definisce "buco sperduto" si trova a sessanta chilometri scarsi da Linz e sorge sulle sponde del Danubio (un fiume che sento un po' mio avendolo incrociato diverse volte negli anni delle mie vacanze tedesche) ed è questo:


Per quanto non baratterei mai il mio mare con i boschi, non mi sembra affatto male, ma di certo la storia che la Kastel vi ha ambientato priva di ogni beltà quelle distese di alberi trasformandole in trappole cupe e insormontabili.

"Sarah detesta i boschi. Sono sempre umidi e bui, e al loro interno spariscono troppi bambini"

Il romanzo, piuttosto breve (235 pagine), trasmette fin dal primo capitolo ansia, angoscia, oppressione.

"Qui la sofferenza altrui è l'unica gioia che ti rimane"

Nella maggior parte dei capitoli è Ronja la voce narrante, mentre quelli che riguardano Sarah sono scritti in terza persona. Una sproporzione che penalizza il libro perché nei boschi succedono cose brutte, ma anche ripetitive. Avrei preferito l'inverso, una maggiore attenzione, e quindi più capitoli, dedicati all'investigazione, ma allora sarebbe stato un altro libro, mentre è chiara la volontà della Kastel di dare voce alle vittime.
Vittime che sono tali da così tanto tempo da non riuscire a concepire un'esistenza diversa da quella cui sono abituati.

"Una libertà infinita in una gigantesca gabbia vuota"

Questa è la parte difficile della storia: riuscire ad accettare comportamenti e scelte che noi non prenderemmo mai in considerazione, fino a rendersi conto che questo è un thriller veramente psicologico, che mette in atto meccanismi della psiche difficili da capire e facili da condannare senza avere competenze specifiche in materia di abusi.

Ci sono poi alcune parti scritte in corsivo tratte dal diario di "qualcuno": di chi si tratta lo si capisce avanzando con la lettura e sono loro a fornire il colpo di scena principale del libro.

Reading Challenge 2024, traccia vagabonda marzo: Austria

venerdì 1 marzo 2024

Reading Challenge: le tracce di marzo

   

TRACCE MENSILI

Libere:
  • libri a sorte fra quelli che aspettano di essere letti
    Quando una donna diventa un lago, Marjorie Celona (2 punti)
  • libri LGBTQ+
  • libri con protagonista ricca/o
    I ricchi, Joyce Carol Oates (3 punti)

Traccia gioco di società: L'allegro chirurgo, libri dove il protagonista è un medico o una persona malata
  • Mi è passato il mal di schiena, David Foenkinos (3 punti + 1 punto foto)

Traccia vagabonda:
  • Austria: Nella tana, Michaela Kastel (2 punti)
  • Regno Unito: Ogni tuo passo, Alice Feeney (3 punti)

Traccia stagionale crucipuzzle, inverno:
  • Omicidio fuori stagione, Arwin J. Seaman (3 punti)
  • La signora in tweed, Charles Exbrayat (2 punti)
  • Amabili resti, Alice Sebold (3 punti)

I miei punti di marzo: 22