lunedì 30 settembre 2019

"La ricetta della mamma", Giorgio Faletti


Lanfranco Giussani, manager e donnaiolo, parte per andare in crociera con la svedese di turno: una fortunata coincidenza che gli salverà la vita.
Perchè il suo appartamento, le cui finestre si affacciano proprio di fronte all’ingresso del tribunale, sono il punto perfetto da cui Mico Torre, cecchino prezzolato, potrà svolgere il suo lavoro.
Ma il "potrà" si trasforma in "potrebbe", perché se il debole di Giussani sono le donne, quello di Torre è un altro…

Il mese scorso ho trovato questo librino abbandonato su una delle panchine sotto casa, in ottime condizioni, eccetto un’orecchia all’interno. Bookcrossing o dimenticanza? Spero la prima, visto che me lo sono preso, e così facendo sono tornata a leggere Faletti, cosa che non pensavo di fare più dopo “Niente di vero tranne gli occhi” letto nel giugno scorso.

E’ stata una lettura rapidissima che tutto sommato sono contenta di aver fatto (una robina divertente fintamente noir), soprattutto perché a costo zero. La Nave di Teseo ha spalmato questo racconto in un librettino formato mignon, ha usato un font piuttosto grande e ha lasciato ampi margini sopra, sotto, a destra e a sinistra. Così facendo la storia, che comincia a pagina 9, arriva a pagina 43, proseguendo con la numerazione fino a pagina 54 grazie a un breve commento della vedova dell'autore e ai ringraziamenti.

Sono convinta che se lo ricopiassi in un normale foglio A4 sarebbe più corto di ciascuno dei 30 raccontini di Carofiglio raccolti in “Passeggeri notturni”.
 
Il prezzo di copertina del librino di Faletti è 6€, quello della raccolta di Carofiglio 12.50.
6 x 30 = 180
Ma nessuno spenderebbe mai 180€ per 30 raccontini venduti singolarmente. Ha senso spenderne 6 per uno unico? Ognuno i propri soldi li spende come vuole. E ognuno fa quello che vuole con i rinvenimenti postumi ereditati.

Però, però, però…

Questo racconto avrebbe avuto maggiore dignità se pubblicato all’interno di una rivista letteraria.

Reading Challenge 2019: collegamento a cascata con la traccia di settembre. Lo collego a "Passeggeri notturni" perchè hanno entrambi meno di cento pagine


domenica 29 settembre 2019

"Non sono un mostro", Carme Chaparro


Madrid, 16 giugno 2014. Nicolas ha quattro anni quando viene rapito all’interno di un grande centro commerciale. Nessuno sembra essersi accorto di nulla e anche le telecamere di videosorveglianza non riescono a localizzarlo. In Spagna si scatena il panico, soprattutto dopo che la stampa affibbia al rapitore il soprannome di Slenderman: le famiglie cominciano a disertare parchi gioco, piscine, ovviamente i centri commerciali, finché la notizia a poco a poco si sgonfia per mancanza di nuove informazioni.
Due anni dopo altri due bambini vengono rapiti a pochi giorni di distanza nello stesso centro commerciale. Anche Kike e Pablo hanno quattro anni ed entrambi somigliano moltissimo a Nicolas.
Le indagini vengono affidate all’ispettore capo Ana Arén, coinvolta in prima persona perché Pablo è il figlio di Inés Grau, giornalista televisiva e scrittrice, nonchè la sua migliore amica.

Opera prima di Carme Chaparro, giornalista di Canal Once, come una delle sue protagoniste. Ho letto in rete che il romanzo ha avuto un clamoroso successo, non soltanto fra gli spagnoli, ma a me non ha convinto del tutto.

Peccato, perché la trama è ben strutturata, il thriller è ben costruito, segue tutti i meccanismi corretti che portano ai giusti incastri. C’è una buona dose di suspense che coinvolge e sprona ad andare avanti e l’autrice è brava nel descrivere sentimenti devastanti come quelli di una madre in pena per il proprio figlio, ma ci sono anche tanti elementi non di mio gusto.

La protagonista: Ana, l’ennesima figura di donna resa dura e impermeabile da un triste episodio del suo passato, ma che all’interno racchiude moltissime fragilità. Una tipologia di personaggio che mi ha proprio stancata.

Troppa tecnologia: argomento su cui sono profondamente ignorante, ma credo che l’autrice abbia esagerato, in particolare riguardo all’utilizzo del NeuroQWERTY, un reale progetto che mira alla diagnosi precoce delle malattie neurodegenerative attraverso l’analisi dei mutamenti nel modo in cui si digita sulla tastiera.

Lo stile: frasi corte, spesso cortissime, secche, perentorie. Ma, al di là del mio amore per i periodi lunghi, è proprio un livello di scrittura mediocre, pesantemente infarcito da pseudo ostentazioni di cultura messe lì, credo, con l’intento di rendere certe descrizioni interessanti, ma risultando solo inutili ai fini della narrazione e fuori contesto.

Faccio un esempio. Ana è in treno: “Teneva la testa appoggiata al finestrino, aveva gli occhi chiusi e sentiva il calore del sole...”. Io avrei aggiunto semplicemente “...sul viso”. Invece no: “...sentiva il calore del sole, riusciva persino a percepire i nuclei d’idrogeno che si trasformavano maestosamente in atomi di elio e viaggiavano per raggiungere la sua pelle a centoquarantanove milioni di chilometri alla velocità della luce filtrando – otto minuti e diciannove secondi dopo – attraverso il finestrino del treno in corsa”. Credo di aver reso l'idea.

Troppe ripetizioni: tante frasi identiche ripetute in paragrafi vicini (e una frase come “Ho bisogno di un filo da cui iniziare a tirare” in un libro la puoi usare una volta, non tre!), ma anche situazioni, azioni, pensieri, ecc, raccontati più volte, spesso usando gli stessi termini, una cosa che penalizza moltissimo la qualità di un testo.

Un thriller che avrebbe meritato uno scrittore più bravo.

Reading Challenge 2019: collegamento con la traccia musicale di settembre per la parola "sono" nel titolo


Ciao Gippi



Sarai sempre la star <3


sabato 28 settembre 2019

"Passeggeri notturni", Gianrico Carofiglio


E’ possibile in un librino di 98 pagine raccontare trenta brevissime storie di appena tre pagine ciascuna, attingendo da aneddoti e da fatti reali, facendo riferimento a vicende personali e non, spaziando fra bullismo, Costituzione Italiana, malnutrizione, seconda Guerra Mondiale, lotta all’evasione, leggende metropolitane, memoria olfattiva, imbarazzanti viaggi in treno, altrettanto imbarazzanti verbali processuali, sedicenti giornalisti, politici che usufruiscono della scorta pur sapendo di non averne bisogno, il trucco del poliziotto buono e del poliziotto cattivo, l‘importanza delle parole, quella delle apparenze, la pericolosità di certi avverbi, i limiti del ragionamento logico, ecc, ecc, facendo divertire il lettore, facendolo commuovere, facendolo indignare, facendolo vergognare, facendolo sempre riflettere, con intelligenza, vivacità e simpatia?
 
Per Gianrico Carofiglio è possibile, eccome.

Reading Challenge 2019: collegamento a cascata con la traccia di settembre. Lo collego a "Il passato è una terra straniera" perchè in entrambe le copertine c'è un disegno


venerdì 27 settembre 2019

"Il passato è una terra straniera", Gianrico Carofiglio


Bari, dicembre 1988. Giorgio Cipriani ha 22 anni e sta per laurearsi in giurisprudenza a tempo di record. E’ durante le vacanze di Natale di quell’anno, quando interviene in una rissa, che la sua conoscenza superficiale con un altro ragazzo si trasforma in un rapporto molto particolare.
Francesco ha due anni in più ed è studente fuori corso di filosofia. Un ragazzo bellissimo, dotato di un fascino magnetico. Ed è un baro di professione.
Stravolgerà la vita di Giorgio, tanto tranquilla da essere noiosa, trascinandolo nei nove mesi successivi sulla sua cattiva strada.
Mesi in cui un altro Giorgio, Chiti, tenente dei carabinieri, trasferitosi da poco a Bari dal nord Italia, sarà impegnato nella ricerca di uno stupratore seriale.
 
Pubblicato nel 2004 e vincitore del premio Bancarella 2005, è il primo romanzo di Carofiglio estraneo alla serie dell’avvocato Guerrieri che leggo e mi è piaciuto tanto quanto gli altri.

Amo il suo stile scorrevole, garbato e colto, che non cade mai in sgradevoli esagerazioni. Amo la grande introspezione psicologica dei suoi personaggi. Amo l’eleganza con cui invita a serie riflessioni. Questa volta su come sia facile farsi convincere a fare qualcosa che non avremmo mai pensato di fare quando si è influenzabili.

Un noir stupendo che mi invoglia a dare più spazio nelle mie letture a questo genere.

Reading Challenge 2019: collegamento a cascata con la traccia di settembre. Lo collego a "Storia del nuovo cognome" perchè gli autori sono entrambi italiani

giovedì 26 settembre 2019

"Storia del nuovo cognome", Elena Ferrante


Secondo volume della tetralogia di Elena Ferrante, che ho apprezzato tanto quanto il primo.
 
Elena Greco riprende a raccontare la sua storia e quella di Lila abbracciando qui tutto il periodo della giovinezza, a partire dal 1960 quando lei e l’amica, entrambe 16enni, crescono seguendo percorsi molto diversi, fino ad arrivare - con in mezzo anche una separazione geografica – alla primavera del 1967.

E’ sempre difficile per me parlare dei libri che sono il seguito di altri, ogni riferimento ai tanti episodi personali descritti (amori, occupazioni, famiglie, ecc) sarebbe uno spoiler de “L’amica geniale”.

Ciò che non è spoiler, ma storia, sono i vari riferimenti al clima sociale e politico italiano di quegli anni, quando gli onesti cominciavano a puntare il dito contro evasione fiscale, abusivismo edilizio, assenteismo dal lavoro, piaghe che ci rovinano ancora oggi.
Erano anche gli anni degli scontri fra la polizia e gli immigrati meridionali al nord, che sembra non ricordare più nessuno perché adesso gli immigrati di cui ci insegnano ad avere paura sono altri.

Lo sguardo si allarga oltre confine, dalle marce per la pace nel mondo e Martin Luther King alla Guerra dei sei giorni e al colpo di stato fascista in Grecia del ‘67.

E, anche questa volta, le vicende delle due protagoniste rendono inevitabili le riflessioni e il confronto fra quanto sia cambiata la vita in pochi decenni. Nessuna 17enne di oggi penserebbe di una coetanea già moglie e madre “beata lei che ha già tutto ciò che conta nella vita”; nessun giovane (per lo meno alla nostra latitudine) possiede un solo paio di scarpe; nessun ragazzino lavora d’estate dando ai genitori tutto il suo stipendio…

L’unico retaggio che purtroppo ancora sopravvive in certi uomini è la convinzione di avere pieno diritto e potere sulle donne e la cronaca recente ci ha sbattuto in faccia a livello giornalistico (non solo Bruno Vespa, ma anche alcuni scribacchini di certa carta stampata) che l’inconcepibile giustificazione del “troppo amore” non alberga solo negli ignoranti di fatto, ma anche in persone che pur avendo un titolo di studio, sono privi di intelligenza (e di umanità).

Reading Challenge 2019: collegamento a cascata con la traccia di settembre. Lo collego a "Romanzo rosa" perchè entrambi scritti da una donna


mercoledì 25 settembre 2019

"Romanzo rosa", Stefania Bertola


Torino, 2011. Torna la bibliotecaria di San Mauro Torinese, Olimpia Ceschino, già protagonista di uno dei racconti della raccolta “Il primo miracolo di George Harrison”. Da “La traversata di Torino” sono passati cinque anni, adesso Olimpia ne ha 58, ma – proprio lei che ha chiuso con l’amore da quasi 40 e che ama i libri gialli – si iscrive al corso “Come scrivere un romanzo rosa in una settimana”, tenuto niente meno che da Leonora Forneris che, sotto imprescindibile pseudonimo anglofono, ha scritto la bellezza di 45 Melody!
Olimpia ci metterà tanto impegno (il corso è anche a pagamento!) e altrettanto entusiasmo, e grazie alle imposizioni dell’autorevole insegnante e al reciproco sostegno degli altri 14 partecipanti (fra i quali ben tre uomini!) proverà a portare a termine il suo banale e prevedibile (primo?) Melody.

La letteratura è un’altra cosa, non parliamo poi della Letteratura!! Ma questo romanzetto è assolutamente geniale!

La Bertola alterna i capitoli che hanno come titolo il giorno della settimana a quelli numerati tradizionalmente, inframezzando gli uni e gli altri con le sezioni di “appunti”.
Il reale viene raccontato nei primi seguendo i giorni del corso, da lunedì 24 a lunedì 31 ottobre: è qui che ritroviamo Olimpia e che conosciamo gli altri partecipanti e l’insegnante. Gli appunti sono le dispense che Leonora fornisce ai suoi corsisti, non consigli, ma proprio gli elementi obbligatori per scrivere una storia Melody degna di questo nome. E i capitoli numerati sono quelli del Melody che Olimpia giorno per giorno scrive per poi inviarli a Leonora che, il mattino successivo, davanti a tutta la classe esaminerà evidenziando i pochi punti forti e i tanti punti deboli di ciascuna storia.

Così la Bertola in 201 pagine non solo descrive i 17 personaggi fra alunni e insegnante (spesso solo un abbozzo, ma dotando tutti di una situazione familiare e lavorativa, di un carattere, di un’indole, di alcune passioni, ecc…), ma imbastisce anche le trame dei vari Melody in fase di creazione, una più esilarante dell’altra, raggiungendo il massimo dello spasso con il personaggio di Leonora e le sue imposizioni.

Che i Melody siano gli Harmony è palese e la Bertola è impietosa sia verso questi librini che verso chi li legge, ma lo è in modo meravigliosamente ironico: più volte sono scoppiata a ridere di cuore!
Ho avuto un unico sussulto nell’immaginare il sapore della marmellata di arance amare e di pesto!!

Reading Challenge 2019: collegamento a cascata con la traccia di settembre. Lo collego a "Il bambino" di Fiona Barton perchè il cognome di entrambe le autrici inizia per B



domenica 22 settembre 2019

"Il bambino", Fiona Barton


Londra, 20 marzo 2012. La capitale britannica è in grande fermento: mancano tre mesi al Giubileo di diamante della regina e quattro mesi all’inizio delle Olimpiadi, due eventi che aumentano in maniera esponenziale il rischio di attentati terroristici.
Ma sarà un piccolo trafiletto pubblicato su un quotidiano della sera ad attirare l’attenzione di Kate, giornalista del “Daily Post”: al 63 di Howard Street, nel quartiere di Woolwich dove sono in corso grossi lavori di riqualifica, gli operai hanno rinvenuto dei resti umani nel giardino di una delle case in demolizione. Ossicini minuscoli, sicuramente appartenenti a un neonato. La sepoltura risale a molti anni prima, cosa che rende improbabile riuscire a capire da chi e perché, ma Kate fiuta una possibile grande storia.
Altre due donne hanno letto la notizia e per loro è stata una deflagrazione: per Angela, che non è mai riuscita a superare il dramma che ha colpito la sua famiglia 42 anni prima, e per Emma, che da 27 vive nel terrore che il suo segreto venga scoperto.

Tanto non mi è piaciuto “Il bambino” di Sebastian Fitzek, quanto questo di Fiona Barton mi ha appassionata, al pari del suo primo romanzo, “La vedova”.

Sono passati due anni dal caso di Bella Elliott e ritroviamo sia la giornalista Kate Waters che l’investigatore Bob Sparkes. Lui qui ha un ruolo marginale, mentre lei è quasi la protagonista (risultando decisamente più piacevole rispetto al libro precedente) di questa storia tutta al femminile. I tanti capitoli, brevi e calzanti, alternano la sua voce, quella di Emma (l’unica a parlare in prima persona) e quella di Angela, ma anche quella di Judith, la madre di Emma.

Decisamente un cold case (e a me piacciono moltissimo) dove la Barton è bravissima a saltare fra i vari personaggi e fra i tre piani temporali senza mai disperdere l’attenzione di chi legge, senza fare confusione e riuscendo a far crescere la suspense nonostante già al 29% del libro si intuisca quello che è successo. Questa cosa, che normalmente andrebbe considerata come un grandissimo difetto per un thriller, in questo caso non disturba, proprio per la capacità dell’autrice di rendere appassionanti le vicende che racconta.

Reading Challenge 2019: collegamento a cascata con la traccia di settembre. Lo collego a "Il bambino" di Sebastian Fitzek perchè hanno lo stesso titolo


lunedì 16 settembre 2019

"L'amica geniale", Elena Ferrante


Torino, 2010. Il telefono squilla a casa della 66enne Elena Greco. La chiamata arriva da Napoli, sua città natia. All'altro capo del filo c'è Rino, il figlio quarantenne di Raffaella, da sempre la sua migliore amica.
L'uomo le chiede se ha notizie di sua madre che sembra essere scomparsa. No, non la sente da diversi anni. Ma - mentre l'uomo è agitato e continua a chiamare Elena in cerca di aiuto - lei non si scompone e si limita a suggerirgli di controllare se in casa manca qualcosa: manca tutto, vestiti, accessori, ecc... La madre ha anche tagliato la sua immagine dalle foto che la ritraevano!
Elena non si preoccupa, ma sente tornare quella rabbia che nel corso della vita ha provato tante volte verso la sua amica. Un'amica tanto diversa da lei, nell'aspetto, nel carattere, nelle scelte.
E così, mentre capisce che l'altra ha messo in pratica quel desiderio di volatilizzarsi che l'ha sempre accompagnata, cancellando così anche tutta la loro storia, Elena quella storia non vuole dimenticarla.
Allora accende il computer e comincia a scriverla...

Primo volume della tetralogia di Elena Ferrante: nonostante siano passati otto anni dalla pubblicazione, nonostante il grandissimo successo della saga, nonostante la serie TV e nonostante il gran parlare che si è fatto sia dei libri che della serie, sono riuscita a evitare clamorosi spoiler proprio perchè avevo intenzione di leggere i libri e  grazie alla traccia casata della Reading Challenge il fatidico "prima o poi" è finalmente arrivato.

Questa prima parte mi ha conquistata, una storia bellissima scritta benissimo che merita tutto il successo avuto, non solo in Italia.

Quello che ho raccontato rappresenta soltanto il prologo. Da lì la vicenda fa un grosso balzo indietro, al 1950, portandoci nella periferia est di Napoli, in un cortile del rione Luzzatti, quartiere Gianturco. E' lì che nasce l'amicizia fra Lenù (Elena), la figlia dell'usciere comunale, e Lila (Raffaella), la figlia dello scarparo.
Hanno sei anni e il libro racconta le loro vite nei dieci successivi, quindi infanzia e adolescenza, concludendosi (senza concludersi: forse è presto dirlo dopo averne letto soltanto uno, ma credo si tratti di un unico libro diviso in quattro volumi) con un matrimonio (la copertina fa spoiler da sè).

Ci descrive un rapporto d'amicizia particolare, fatto di complicità e di affetto, sì, ma anche di competizione e di idealizzazione, quanto meno da parte di Elena, la voce narrante, nei confronti dell'amica.

Ma trovo riduttivo definire questo libro come la storia di due amiche. La vera protagonista è l'Italia del dopoguerra e degli anni '50.

La Ferrante, senza neppure uscire da un unico rione, è bravissima a raccontare attraverso i tanti personaggi la società di allora, quando le donne - remissive, indegne anche di studiare - cercavano nell'uomo - l'unico forte di diritto - quella protezione di cui era obbligatorio avere bisogno. Quando la violenza in famiglia da parte di padri, fratelli o mariti veniva considerata normale. E quando era normale sottomettersi al mafioso, al potente (questo non credo che sia cambiato).

Ma anche una società spensierata, seppur nella miseria, con una fiducia nel futuro che noi non siamo più in grado di provare, in parte con ragione, in parte perchè siamo diventati via via sempre più incontentabili.

Napoli non è Genova, ma si somigliano e Sampierdarena non è Gianturco, e non si somigliano, sicuramente non a quell'epoca, ma ho ritrovato nel libro i racconti di mia madre (classe 1939), i giochi, gli scherzi, le botte in cortile con gli altri bambini del rione, gli studi che quasi tutti abbandonavano presto per cominciare a lavorare, le gite al mare a Castello Raggio da ragazzini, il primo fidanzatino a 15 anni (anche l'ultimo, era mio padre)...
Con meno leggerezza, ma con più coinvolgimento, ho ritrovato anche i racconti di mio nonno: a Genova non c'era la camorra, ma anche qui c'erano quelli che si erano arricchiti sulla miseria degli altri al mercato nero durante la guerra. E lui se li ricordava tutti.

Reading Challenge 2019: questo testo risponde alla Traccia casata di settembre "un libro tratto dalla black list dei bambini sperduti"



sabato 14 settembre 2019

"Il bambino", Sebastian Fitzek


Berlino, giorni nostri. Il 45enne Robert Stern è un avvocato penalista di successo e la sua casa rispecchia la sua vita: una villa splendida all'esterno e desolatamente vuota dentro. Non ha mai superato la tragedia che lo ha colpito dieci anni prima: la morte di Felix, il figlio cercato a lungo e morto due giorni dopo la nascita. Un caso di "morte in culla". 
In seguito al lutto, il matrimonio non ha retto e, mentre l'ex moglie Sophie è riuscita a rifarsi una vita, si è risposata e ora è madre di due gemelline, Robert non ce l'ha fatta, arrivando a chiudere ogni nuova storia appena si accorgeva che quello stato di benessere stava attenuando il dolore del ricordo di Felix. 
E' quello che è successo anche con Carina tre anni prima, ma dopo la storiella di una decina di giorni hanno mantenuto i contatti, soprattutto per volontà della ragazza. E' per questo che il 28 ottobre Robert  accetta di incontrarla in un'area industriale dismessa. La sorpresa sarà vederla arrivare con Simon Sachs e soprattutto le parole di lui: quello è il posto dove 15 anni prima ha ucciso un uomo spaccandogli la testa con un'accetta, per questo adesso ha bisogno di un avvocato.
E all'interno della fabbrica in disuso trovano davvero dei resti umani compatibili con il racconto di Simon. Peccato che Simon abbia soltanto dieci anni, un tumore al cervello in fase terminale e dica di essersi ricordato di questo e di altri omicidi da lui commessi in una vita precedente dopo una seduta di regressione ipnotica con un illustre psichiatra...

Esattamente il 14 settembre di quattro anni fa finivo di leggere e recensivo sul blog il mio primo thriller psicologico,  "La terapia" di Sebastian Fitzek,  il primo romanzo scritto dall'autore. Mi era piaciuto tantissimo, cosa che non posso dire de "Il ladro di anime" letto l'anno scorso, che avevo apprezzato, ma non ai livelli del primo. E purtroppo  l'indice di gradimento con "Il bambino" è precipitato.

In generale ho trovato la storia mal strutturata, mal raccontata e mal risolta. Trattando di parapsicologia mi aspettavo qualcosa di inverosimile, ma ad esserlo sono soprattutto gli avvenimenti concreti.

La narrazione è ripetitiva e lo stile è mediocre (cosa che sinceramente non ricordo nei due libri precedenti).
Altro dettaglio fastidioso, che però potrebbe dipendere dalla traduzione (e che ho notato anche nei romanzi di Dorn), è l'utilizzo del lei a sproposito: è vero che i tedeschi danno del lei più comunemente di quanto ormai facciamo noi italiani, ma penso che neanche loro si rivolgano con tanto riguardo alla persona che li sta massacrando di botte!
Qua e là ho colto anche espressioni e dialoghi assurdi. Ad esempio, nel corso di una telefonata dove un criminale della peggior specie sta minacciando orribilmente la sua vittima, come si fa a mettere in bocca di quest'ultima uno sbarazzino: "Ehilà, è ancora lì?"?!?
Sono piccole cose, ma stonano e alla fine aggravano il giudizio negativo, per lo meno il mio.

Ma a darmi veramente fastidio sono state soprattutto alcune descrizioni un po' troppo esplicite a tema pedofilo, del tutto superflue ed evitabili perchè basta la parola per scatenare il disgusto.

Reading Challenge 2019: collegamento a cascata con la traccia di settembre. Lo collego a "Follia profonda" perchè entrambi gli autori sono tedeschi