martedì 30 giugno 2020

"Il bordo vertiginoso delle cose", Gianrico Carofiglio


Firenze, un maggio dei nostri giorni. Non manca molto al 48° compleanno di Enrico Vallesi, una fascia di età in cui sarebbe meglio evitare di fare un bilancio fra le cose fatte e non fatte perché il tempo che si ha davanti diminuisce giorno per giorno, spesso al pari dell’energia necessaria per cercare di cambiare qualcosa. L’impresa diventa più drammatica quando si ha la sensazione di essere rimasti fermi, di aver perso grandi occasioni. Come succede a Enrico, che dopo la pubblicazione del suo primo romanzo non ha saputo bissarne il successo. Sono passati dieci anni, dieci anni trascorsi nella vana ricerca di una nuova ispirazione, un’attesa resa più logorante dopo che il suo editore lo ha declassato al ruolo di editor e occasionalmente di ghostwriter.
Ma una mattina, mentre sta bevendo il caffè al bar leggendo un quotidiano, qualcosa cambia: un trafiletto di cronaca nera dov’è riportata la notizia di una rapina cruenta. C’è stata una sparatoria e uno dei banditi è stato ucciso. E’ successo a Bari, la città dove Enrico è nato e ha vissuto fino al diploma, per poi proseguire gli studi altrove, quasi scappando. E il nome del bandito morto lui lo conosce bene, così bene che due ore dopo è già su un treno diretto a sud…

Ormai è diventata mia abitudine leggere sempre due libri contemporaneamente, a volte tre, ed Emilia Marasco merita una riflessione. I suoi due titoli si sono “scontrati” rispettivamente con Veronesi e con Carofiglio: la bravura dei due ha inevitabilmente accentuato la semplicità (a tratti anche la mediocrità) dello stile di lei e della struttura dei suoi romanzi. Il mio giudizio non cambia, ma indubbiamente se appaiata ad autori al suo livello il confronto non sarebbe stato così schiacciante.

Di Carofiglio ho amato principalmente i titoli della serie di Guerrieri e di Fenoglio: belle le storie e meravigliosi i due protagonisti. Anche questa storia mi è piaciuta, diversa dalle altre (non è un giallo, niente indagini, niente processi, ecc), ma è molto profonda e decisamente più originale con i capitoli numerati ambientati nel passato che vedono Enrico studente del liceo classico a raccontare i fatti in prima persona e quelli intitolati “Enrico” narrati in seconda persona (stile originale e, secondo me, per niente facile) con lui adulto nel presente.

Ma questo non è quel tipo di protagonista che ammiri e a cui ti affezioni. Non ha niente da insegnare, non è un personaggio negativo, ma neppure uno che ti viene voglia di imitare.

A tratti ho pensato di leggere spunti autobiografici, in particolare con i capitoli scolastici. Mi domando se anche Carofiglio studente si sia infatuato di una giovane supplente di filosofia, ma queste parti per me sono state pesanti: non ho mai studiato filosofia, la mia ignoranza in materia è totale, il mio interesse nullo e ho avuto non poche difficoltà con le vere e proprie lezioni tenute dalla prof. Celeste.

Carofiglio ha un po' esagerato, diciamo che in questo caso non mi sentirei di dare torto a chi lo accusa di tracotanza..

Reading Challenge 2020: questo testo risponde alla traccia normale di giugno "un libro con meno di 400 pagine"

lunedì 29 giugno 2020

"Volevamo essere Jo", Emilia Marasco


Genova, 25 dicembre 1976. Giovanna, Lara e Carla hanno 12 anni e sono inseparabili: stessa scuola, stesso palazzo e quell’anno condividono anche i festeggiamenti del Natale a casa della prima. Il trio è in realtà un quartetto perché con loro - un po’ per scelta, un po’ per obbligo - c’è sempre Silvia, la sorellina di Giovanna.
Dopo pranzo compaiono quattro pacchetti identici con dentro lo stesso libro: una copia per ciascuna di “Piccole donne”, regalo delle mamme, sicure che la storia saprà conquistare le bambine come aveva fatto con loro a quell’età.
Genova, una trentina d’anni dopo, autunno. Solo le sorelle Masini vivono ancora in città: Carla si era trasferita nell’entroterra alla fine delle medie, mentre è stato il lavoro di giornalista a portare Lara a Roma.
Sarà Jo March a fornire l’occasione per ritrovarsi dopo tutti quegli anni, il personaggio che si erano tanto contese da bambine perché loro erano sì in quattro come le piccole donne del libro, ma tutte volevano essere Jo…

Libro diviso equamente in due parti, la prima racconta in terza persona i fatti degli anni ‘70, mentre nella seconda è Giovanna a diventare protagonista e voce narrante.

Come per “Famiglia: femminile plurale” il libro avrebbe potuto essere ambientato ovunque: non c’è alcuna connessione con Genova e con i suoi abitanti nel modo di scrivere dell’autrice e i riferimenti espliciti si riducono alla citazione del quotidiano locale e allo scatenarsi di una delle tante nostre alluvioni, scenario evitabile perché inutile ai fini della storia, ma che una volta inserito avrebbe meritato di essere trattato con più sentimento.

"Si muore di pioggia”: no, Maresco, a Genova si muore per il cemento!

Curioso che l’autrice nei ringraziamenti, che lei ha chiamato “backstage”, citi salita Santa Brigida e il paesino di Apricale: non capisco perché non dare i legittimi nomi ai luoghi descritti nel romanzo, probabilmente dettagli irrilevanti per chi non è del posto, ma una bella marcatura del territorio per chi lo è. A mio avviso una stupidaggine: quando sei un autore minore e scegli di ambientare i tuoi romanzi nella tua città dovresti puntare molto su questo per creare un legame con quelli che saranno sicuramente i tuoi primi lettori, un dettaglio che i Fratelli Frilli, e non solo loro, hanno sempre sfruttato molto bene…

Ma non è per questo elemento che ho trovato il libro deludente. Peccato perché l’idea di base - la trasposizione con le quattro protagoniste del libro della Alcott e la “lotta” per aggiudicarsi il ruolo di Jo nei giochi delle quattro bambine - era carina, ma viene sviluppata poco e male, perdendosi in infinite, inutili e insopportabili ripetizioni.

E non aiutano nemmeno i personaggi, che sono troppi e nessuno coinvolgente, avrei preferito un approfondimento delle personalità delle quattro bambine/donne e per tutte non avrebbe guastato una maggior simpatia.

Però la vera carenza del romanzo la si ha in quello che credo dovesse essere il centro della storia, cioè quell’emancipazione della donna che è invece la grande assente nel percorso delle quattro.
 
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mercoledì 24 giugno 2020

"Il colibrì", Sandro Veronesi


Firenze, autunno 1974. Marco Carrera ha 15 anni ed è basso, 156 cm appena contro la media di 170 dei maschi a quell’età (e in quell’epoca). E’ per questa caratteristica che Letizia, sua madre, gli appiopperà il nomignolo di “colibrì”, perché lei non se ne preoccupa. Probo, suo padre, invece sì, a tal punto che per la prima volta arriverà a imporre il suo volere su quello della moglie dando il consenso per far somministrare al figlio una cura sperimentale…

La cosa brutta dei libri belli è finirli. Filippo, un altro caro amico di gioventù, mi aveva consigliato di leggere “Il colibrì” mesi fa e mi sono decisa a farlo adesso perché se la prossima settimana dovesse vincere il Premio Strega poi lo leggerebbero tutti e a me passerebbe la voglia.

Ho fatto benissimo: meritava di essere letto come merita di vincere il premio. La seconda affermazione è azzardata: dei sei titoli in finale, oltre a questo, ho letto soltanto “La misura del tempo” di Gianrico Carofiglio, altro libro che ho amato tanto, ma fra i due se fossi io a dover scegliere premierei senza dubbio Veronesi.
In parte perché non condivido la scelta di candidare un libro che non solo fa parte di una serie, ma che è anche il sesto e (per ora) ultimo capitolo di essa e quindi, pur raccontando una storia autoconclusiva, andrebbe letto in coda agli altri.
Ma farei vincere Veronesi perché “Il colibrì” è davvero stupendo.

Torno all’azzardo (perchè non li ho letti certo tutti) dicendomi d’accordo con “La Lettura” che lo aveva definito il miglior libro del 2019, mentre posso dare tranquillamente ragione a Marco Missiroli (“Di questo libro si dirà che è un capolavoro”) e a Vincenzo Mollica (“Uno dei romanzi più belli degli ultimi dieci anni”).

Il libro racconta la vita di Marco Carrera, fiorentino classe 1959, un’esistenza che avrebbe potuto essere barbosamente borghese se non fosse stata costellata da eventi particolari e per lo più tragici.
Veronesi scrive così bene da non risultare mai pesante nonostante l’alto tasso di drammaticità. Riesce anche a far divertire, cosa non facile, ma soprattutto commuove fino a far soffrire chi ha vissuto quelle tragiche esperienze che sa descrivere in modo tristemente perfetto.
Ed è immensamente bravo a narrare l’intera vita del suo protagonista con continui salti temporali che danno una grande vivacità alla storia senza mai far perdere il filo.

Lo stile mi ha ricordato spesso quello di Carofiglio, nelle citazioni (toccanti le due di altrettanti brani di De Andrè) e  soprattutto nei dialoghi e nei brevi capitoli epistolari. Carofiglio però è più bravo di Veronesi nel trattare la denuncia sociale: il primo dà a certi temi un ruolo da protagonista integrandoli nei suoi personaggi e negli eventi, mentre Veronesi ha concentrato tutto quello che voleva dire in un unico capitolo che, così isolato nel contesto, mi è sembrato un po’ una forzatura, ma che resta comunque un meraviglioso discorso di accusa contro la prassi sempre più comune di pensare che in nome della propria libertà si abbia diritto di fare tutto, anche ciò che è illecito, che danneggia altri o che disprezza le altrui (lecite) scelte.

Una presunzione di libertà che ha solo un nome e non è egoismo, bensì ignoranza. Proprio nell’era in cui non si hanno più scusanti per esserlo.

"I lupi non uccidono i cervi sfortunati. Uccidono quelli deboli”

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domenica 21 giugno 2020

"Famiglia: femminile plurale", Emilia Marasco


Genova, 2008. Per Nina non è un anno qualunque perché alla fine, il 28 dicembre, compirà quei 50 anni che per lei rappresentano “l’inizio della discesa”. Con tre amiche è proprietaria di una galleria d’arte nel centro storico della città. Ha alle spalle due divorzi: da Bernard, il primo marito, ha avuto Marco quando aveva appena vent’anni; da Fabio, il secondo, una coppia di gemelli, Viola e Simone. E infine è arrivato Giacomo, il terzo e attuale marito, che a 42 anni le ha regalato Lorenzo, il piccolo della famiglia. Una grande famiglia. Una famiglia allargata di cui Nina rappresenta il centro.

Un breve romanzo con una struttura particolare: i capitoli sono dodici, a partire da gennaio uno per ogni mese del 2008 fino ad arrivare al fatidico giorno del compleanno di Nina che è la voce narrante della storia e che racconta il suo presente e il suo passato, ma sempre in relazione agli altri personaggi, che sono tanti, non solo quelli che ha sposato e che ha generato: si aggiungono i genitori, la sorella, le colleghe, le relazioni precedenti o successive a lei dei suoi mariti e gli altri figli di questi.

All’inizio del libro c’è uno schemino, Nina al centro e varie frecce a formare una sorta di albero genealogico. Mi sono preoccupata un po’ vedendolo, ma il libro è semplice, non certo di quelli che necessitano appunti e la Marasco scrive bene, non crea confusione.

Una lettura leggera e piacevole in cui non mi sono ritrovata come avrei potuto avendo compiuto i 50 sette mesi fa, ma era prevedibile, la mia è una famiglia ridotta all’osso e la certezza di non avere davanti un numero di anni pari a quelli vissuti la ho da un pezzo.

A deludermi è stato piuttosto il ruolo marginale e sottotono in cui viene relegata la mia città. Per come inizia la sinossi (“Genova. Le creuze che dal porto s'inerpicano sulla collina, una casa luminosa da cui si vede il mare e una grande famiglia…”) me l’aspettavo protagonista o quanto meno incisiva, come è sempre stata in tutti i libri ambientati qui che ho letto. Invece c’è un’unica parola dialettale, vengono citate solo un paio di piazze, un bar, una drogheria, le saponette Valobra, qualche spiaggia, il Secolo e le trenette al pesto: tolto questo la storia potrebbe essere ambientata ovunque.

Ma soprattutto mi è mancato non trovare quella mentalità e quell’atteggiamento che noi genovesi riconosciamo immediatamente l’un l’altro, quell’attaccamento e quel senso di appartenenza alla città che mi aveva fatto sentire un vivo legame con Bistolfi, Cutrona, la Morbelli, ecc, ma che qui proprio non c’è stato.

Forse è stato intenzionale da parte dell’autrice perché la sua Nina a Genova c’è solo nata, da madre pugliese e padre piemontese, e le fa dire: “non so dove sia la mia radice, sono figlia di emigranti che non hanno posato il cuore dove hanno trovato lavoro, che hanno vissuto in un luogo pensando che quello era il destino che si accetta, ma non si sceglie”. O forse anche lei qui c’è solo nata e la pensa davvero così. Mi piacerebbe saperlo e forse lo scoprirò leggendo a ruota un altro suo romanzo, sperando di non infastidirmi di nuovo per lo sputo nel piatto dove si mangia.
 
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venerdì 19 giugno 2020

"Una strada oscura", Linda Castillo

 
Contea di Geauga, notte fra il 10 e l’11 maggio 2014. Naomi King ha 29 anni quando viene uccisa nel suo letto. Il marito Joseph viene processato e condannato all’ergastolo: l’uomo, pur essendo Amish, ha un temperamento violento e ha già scontato due piccole condanne per maltrattamenti domestici e possesso di droga.
I cinque figli della coppia vengono affidati agli zii materni, che vivono a Painters Mill ed è lì che Joseph va dopo essere evaso di prigione. Sarà il comandante Kate Burkholder a entrare nella fattoria per cercare di farlo ragionare. Troverà un uomo disperato, riconoscendo solo a tratti quel ragazzo con cui è cresciuta e di cui era segretamente innamorata. Un uomo che cercherà in tutti i modi di convincerla di una cosa: non è stato lui a uccidere sua moglie due anni prima.

Ancora un cold case per la tredicesima puntata della serie. Un giallo ben costruito che si evolve e si risolve con indagini “vecchio stile”: ogni tassello è costituito dalle testimonianze che Kate raccoglie, direttamente o indirettamente.

Sentimentalmente piacevoli i capitoli con i ricordi di Kate bambina e ragazzina Amish.

L’unico appunto va al finale “comodo”: la Castillo si è semplificata il lavoro facendo succedere un qualcosa che porta in fretta all’epilogo della vicenda. Avrei preferito che la risoluzione avvenisse in modo diverso, ma è stata ugualmente un’altra lettura piacevole.

Reading Challenge 2020: questo testo risponde alla traccia normale di giugno "un libro con meno di 400 pagine"

sabato 13 giugno 2020

"Le ragazze non devono parlare", Mary Higgins Clark


New York, giorni nostri. Michael Carter è uno dei tanti avvocati alle dipendenze di REL News, una delle maggiori reti televisive del Paese, con quindici filiali nel mondo e ormai prossima a essere quotata in Borsa. Quando una giovane dipendente lo sceglie per denunciare di essere stata molestata sessualmente dal volto di punta dell’emittente, con tanto di prove registrate, Carter capisce che il colosso ha un problema enorme da affrontare, un problema che per lui può rappresentare la grande occasione per farsi notare dai vertici e dare una svolta alla sua vita.
Due anni dopo anche Gina Kane, affermata giornalista d’inchiesta, intuisce che potrebbe esserci qualcosa di veramente grosso dietro l’e-mail in cui chi ha scritto sostiene di aver avuto una "terribile esperienza" con uno dei suoi superiori a REL News. Deve assolutamente riuscire a risalire al mittente, il lui o la lei che ha firmato il messaggio come Cryan…

La mia amata Mary Higgins Clark è mancata il 31 gennaio scorso: data l’età (era nata nel 1927) non è certo stata una sorpresa e tutto sommato non lo è stata nemmeno l’uscita di un suo romanzo postumo. Vista la sua prolificità era prevedibile che avesse ancora un romanzo (o più?) ancora chiuso nel cassetto, ma sinceramente da diversi anni ho il dubbio che le opere non siano state scritte completamente di suo pugno: Piero Angela è un chiaro esempio di come il cervello possa invecchiare molto più lentamente dell’età anagrafica, però i titoli pubblicati a quattro mani con Alafair Burke, il fatto che abbia una figlia scrittrice e il ringraziamento al figlio Dave “che ha lavorato con me parola per parola fino alla fine”, non mi fanno sentire troppo malpensante, soprattutto perché non ci vedo nulla di male nell’appoggiare una persona anziana e se qualcuno l’ha davvero aiutata nel mettere nero su bianco le sue idee regalandomi il piacere di leggerle, posso solo esserne felice.

Questa volta l’impressione di interventi esterni è stata abbastanza netta. Lo stile è lo stesso di sempre: coinvolgimento immediato già dal prologo, tantissimi capitoli brevi (110 per 368 pagine) che accelerano il ritmo e spingono a leggerne ancora uno, e poi un altro e un altro ancora, protagonisti più che benestanti con ambientazioni e linguaggio raffinati, ma di un genere che può apprezzare una anziana, ricca signora, ecc, ecc...
Però c’è qualcosa di diverso: intanto le descrizioni dei protagonisti e dei vari personaggi sono scarne e limitate alla prima apparizione, mentre in tutti i libri precedenti era anche irritante il modo in cui venivano descritti nel dettaglio abbigliamento, accessori e acconciatura dei singoli a ogni cambio di scenario. Poi manca quella che era una caratteristica tipica dell’autrice che in ogni libro portava i protagonisti a rendersi conto che gli stava sfuggendo qualcosa di importante senza riuscire a focalizzare cosa, un mezzuccio ripetitivo, però capace di creare sempre suspense.
E soprattutto ho trovato questa storia più dinamica sia nella costruzione temporale che nella quantità di elementi, e forse anche più moderna, sensazione che però potrebbe dipendere dal tema di grande attualità che è MeToo.

Ma forse queste considerazioni sono in realtà solo la speranza che ci sia davvero qualcuno in grado di scrivere altri romanzi postumi di Mary Higgins Clark per poter continuare a leggerla ancora.
 
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giovedì 11 giugno 2020

"Solo per pochi", Linda Castillo


Painters Mill (Ohio), venerdì 13 (mese e anno non pervenuti). C’è fermento fra i giovani Amish: quella sera ci sarà la grande festa alla fattoria Davenport. Musica e alcool garantiti, ma la diciottenne Alma Fisher ha ben altre aspettative: è convinta che quella sera Aden Keim le chiederà di sposarlo. E’ sicuramente per questo che le ha dato appuntamento nel fienile, per essere solo con lei quando le farà la proposta…

Un altro racconto (che al momento è anche l’ultimo pubblicato) per la dodicesima puntata della saga, di nuovo 4.99€ per 41 pagine appena, una scelta editoriale a dir poco discutibile.

Prezzo a parte, il racconto è carino, la Castillo avrebbe potuto ampliarlo e svilupparlo facendone uscire un romanzo vero e proprio: le sue storie non sono mai intricate, fa lavorare Kate Burkholder su pochissimi indizi, arriva alle abituali 300 pagine raccontando (ripetendosi un po' troppo) anche la vita personale della sua protagonista e grazie alle descrizioni, sia del territorio che della vita degli Amish. Da qui il senso di rilassatezza che sempre mi trasmette.

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mercoledì 10 giugno 2020

"Tra i malvagi", Linda Castillo


Roaring Springs (stato di New York), 21 gennaio 2016. Il corpo senza vita in cui dei cacciatori si imbattono questa volta non è quello di una creatura uccisa da loro: è il cadavere di Rachel Esh, una quindicenne un po’ troppo esuberante per essere una Amish, specialmente per la comunità a cui appartiene, che da tre anni viene guidata con il pugno di ferro dal vescovo Eli Schrock.
La polizia di Stato stava già indagando su alcuni episodi poco chiari, ma questa morte acuisce l’urgenza. Per questo Frank Betancourt, investigatore del BCI, chiede aiuto al capo della polizia di Painters Mill Kate Burkholder: essendo stata Amish, è l’unica che può infiltrarsi nella comunità e indagare sotto copertura per abbattere il muro di omertà e capire cosa stia succedendo...

L’undicesima puntata della saga, grazie al ruolo da infiltrata di Kate, è quella in cui si respira maggiormente l’atmosfera Amish: i fatti vengono vissuti in prima persona dalla protagonista nel presente e questo le dà modo di raccontare il quotidiano di queste comunità, uno stile di vita opposto al mio sotto a ogni aspetto e non solo per le implicazioni religiose, ma che comunque ha un suo fascino e suscita la mia curiosità di lettrice.

E’ anche il primo romanzo che definirei più thriller che giallo, quello che genera maggiore suspense e che avrei giudicato il migliore se non avesse un grave difetto: senza fare spoiler, posso dire che non viene svelato l’autore di un gesto determinante nel permettere alla Burkholder la soluzione del caso. Il non sapere chi sia stato non cambia la storia, ma non aver chiarito questo punto è un errore da principianti, cosa che la Castillo non è.

E’ comunque una piacevole lettura come le precedenti: come ho già scritto, non si tratta certo di capolavori, sono storie semplici, sia per lo stile che per le dinamiche, e per questo le ho sempre trovate molto rilassanti nonostante i temi trattati.

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domenica 7 giugno 2020

"Per una cipolla di Tropea", Alessandro Defilippi


Genova, luglio 1952. E’ notte quando un gozzo prende il largo lasciandosi alle spalle il cuore del centro storico dirigendosi verso levante. A bordo due uomini, uno rema, l’altro è morto. Il giorno dopo il gozzo viene portato in secca da un pescatore sulla spiaggia di Boccadasse. Il colonnello dei carabinieri Enrico Anglesio si troverà davanti un cadavere con scarpe di cuoio e una pistola dotata di silenziatore, accanto una bisaccia con dentro del pane e due cipolle di Tropea, introvabili a Genova e lui lo sa bene perché le cerca da giorni per fare la caponata, ma non le vende nessuno, neppure al mercato orientale e lì si trova sempre tutto! Ma forse in Sottoripa qualcuno le ha...

Racconto consigliato da alcune mie compagne di casata e che a mia volta consiglio a chi leggerà queste righe, suggerendo di fare in fretta perché attualmente è ancora scaricabile gratuitamente su Amazon e su IBS.
E non lo consiglio solo perché è in omaggio, ma perché vale la pena di leggerlo.
Un giallo vecchio stile, in linea con l’ambientazione anni ‘50. Un giallo intelligente con un bel protagonista, questo colonnello cinquantenne (da inquadrare come un attuale sessantenne, o più), ex partigiano, con quel tipo di valori che al giorno d’oggi gli varrebbero l’insopportabile, quanto ignorante, appellativo di buonista…

Non conoscevo questo scrittore, un medico e psicanalista torinese che – attraverso i ricordi del colonnello - mi ha fatto rivivere tappe importanti della lotta partigiana ligure, cose che mi raccontava mio nonno e che credo abbia vissuto anche qualcuno vicino all’autore: purtroppo tanti genovesi pensano che Giacomo Buranello, e io aggiungo un pensiero anche per Walter Fillak, siano solo il nome di due vie di Sampierdarena (il quartiere dove sono nata e cresciuta), mentre dal modo in cui ne parla Defelippi si avvertono la rabbia e l’orgoglio di chi era presente o è stato molto vicino a qualcuno che c’era.

In appena 82 pagine, oltre a raccontare un bel giallo, è riuscito a dipingere un quadro sentito e realistico della città, l’urbanistica del centro storico, gli odori, i rumori, i modi di interagire, descrivendo molto bene la Genova del dopoguerra, quando le ferite erano ancora aperte e tanti conti andavano ancora regolati.

A Defilippi ho da fare solo una critica: fetta di focaccia proprio non si può sentire! La focaccia si mangia solo e unicamente a slerfe!! Ma se non siete genovesi chiedetene un pezzo, la slerfa è per noi ;-)

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venerdì 5 giugno 2020

"Inganno", Linda Castillo


Painters Mill (Ohio), autunno 1992. I Burkholder sono una placida famiglia Amish, Daniel Lapp è solo un ragazzo che lavora per loro alla fattoria e deve ancora succedere quello che di lì a poco sconvolgerà per sempre la loro tranquillità.
Kate ha 14 anni e comincia a mal sopportare le regole della comunità. Lei e Mattie, la sua migliore amica, stanno raccogliendo mele nel frutteto degli Zimmerman quando arriva un ragazzo “inglese”, Billy Marquardt. Kate non gli dà corda, Mattie invece flirta e lo segue all’interno del fienile per fumare con lui. Ma qualcosa va storto, dopo una quindicina di minuti il ragazzo esce palesemente arrabbiato, seguito da Mattie, che invece sembra tranquilla. E dopo poco dal fienile si alzano le fiamme di un incendio…

La decima puntata della serie è un altro breve racconto che costituisce la prima “indagine” del futuro commissario Burkholder: alla giovane Kate non basteranno le rassicurazioni dell’amica e vorrà andare a fondo per capire chi è stato il vero artefice di quel crimine doloso.

Una storiella velocissima e non particolarmente brillante, ma comunque piacevole da leggere sia per il ritratto che dà di Kate ragazzina, sia perché al suo fianco c’è la Mattie di “Il suo ultimo respiro”.

Questi racconti intervallati ai romanzi sono un’idea carina, piccoli camei che però sarebbe stato onesto inserire come appendice al romanzo precedente: vendere un eBook equivalente a 39 pagine appena a ben 4.99€ è una furbata poco corretta.

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mercoledì 3 giugno 2020

"Il giro di vite", Henry James


Essex (Inghilterra), XIX secolo. Un ricco signore londinese alla morte dei genitori diventa tutore dei due nipoti - Flora, 8 anni, e Miles, poco più grande – figli del fratello minore morto in guerra. L’uomo non ha alcun interesse a occuparsi dei bambini: li sistema a Bly, la vecchia e grande dimora che possiede nella contea dell’Essex, circondandoli di domestici e personale di servizio, fra i quali una giovane istitutrice ventenne a cui dà pieno potere decisionale e a cui ordina di non disturbarlo mai, qualunque cosa succeda.
La ragazza, intimorita da quel suo primo incarico e dalle grandi responsabilità che comporta, viene subito conquistata dalla beltà e dalla dolcezza dei due bambini, nonché dalla tranquillità del posto e dalla cordiale accoglienza della governante, la signora Grove.
Ma l’idillio avrà fine all’apparire di Peter Quint, il cameriere personale del padrone, e di miss Jessel, la precedente istitutrice… perchè sono entrambi morti.

Tipica atmosfera gotica per questo classico pubblicato per la prima volta nel 1898. Per caso, e per mia fortuna, credo di aver scelto una traduzione con una prosa non troppo antiquata e in generale nel libro – al di là dell’ambientazione e delle suddivisioni sociali – non ho trovato quel genere di affermazioni o situazioni che, a causa della mia incapacità nel contestualizzare, mi urtano sempre enormemente. Unica eccezione la frase “di età, sesso e intelligenza inferiori” riferita alla sorella nei confronti del fratello.

Una lettura che sarebbe stata più piacevole se mio marito all’inizio non mi avesse detto che il film “The Others” era stato tratto da questo breve romanzo: in realtà, come ho scoperto cercando informazioni dopo aver terminato la lettura, il film è solo uno dei tanti ispirati al racconto.
“The Others” è uno dei film più belli che abbia visto e l’imprecisione di mio marito ha creato in me un’altissima aspettativa, poi rimasta fortemente delusa.
Peccato, senza quel confronto avrei apprezzato di più la lettura. Adesso cercherò di recuperare la visione di “Presenze”, del 1992, che dovrebbe essere davvero fedele al libro di Henry James.

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