venerdì 26 aprile 2024

"L'amore dura tre anni", Frédéric Beigbeder

 

Parigi, inizio 1994. Il protagonista - che in principio Beigbeder chiama Marc Marronnier - ha appena compiuto trent'anni e sta festeggiando il divorzio da Anne. Ma già all'ottavo capitolo (sono tantissimi e tutti brevissimi, quindi l'ottavo arriva ad appena il 10% del libro, che ha soltanto 144 pagine) l'autore getta la maschera e svela di essere lui il protagonista e che quindi il suo è un romanzo autobiografico come i primi due che ha pubblicato:

"La tentazione di rinviarvi ai due volumi precedenti è forte, ma non sarebbe molto gentile da parte mia, visto che quei capolavori romantici sono stati accantonati dopo un breve successo di stima"
I suddetti capolavori sono "Memorie di un giovane disturbato" (scritto nel 1990) e "Vacances dans le corna" (1994, non tradotto in italiano). Prima di iniziare a leggere questo (1997) non sapevo che fossero una trilogia della sua vita e dopo averlo finito non ho nessun desiderio di recuperare altro di Beigbeder.
Il libro stilisticamente non ha difetti, il problema non é come scrive, ma cosa scrive e, trattandosi di un autobiografico, come ragiona.
Si va ben oltre alla figura di un personaggio detestabile: la letteratura ne è piena e guai se non ci fossero. Ma qui il protagonista è dichiaratamente l'autore e parliamo di un uomo che è stato fra i pochi a difendere Gabriel Matzneff, pedofilo dichiarato.
Un uomo con un ego smisurato (va da sé che per scrivere solo di se stessi bisogna attribuirsi una certa importanza...) che, prima di mettersi a scrivere libri, si era fatto un nome organizzando feste nella Parigi bene e sballata degli anni Novanta.

Insomma, non propriamente un luminare, ma evidentemente convinto di avere molto da insegnare al mondo.

Questo librino lo apre con un'affermazione netta:

"L'amore è una battaglia persa in partenza"
Quindi, snocciolando motivazioni legate alla statistica, alla biochimica e (soprattutto) al suo caso personale, sancisce che l'amore dura tre anni, così divisi: nel primo anno impera la passione, nel secondo la tenerezza, nel terzo la noia. Che chiude la storia. Così è successo con il suo matrimonio e ritenere che questa sia una legge universale è un'altra manifestazione dell'ego sopracitato.
Ben più saggio l'amico che, sentendosi chiedere se secondo lui l'amore dura tre anni, prima sbotta in un "Tre anni? Così tanto? Che orrore! Tre giorni basta e avanza!", ma poi dà una bella risposta:

"L'amore dura il tempo che deve durare. Ma per farlo durare credo che occorra imparare a non annoiarsi. La passione eterna non esiste: cerchiamo almeno una noia piacevole"
Il libro inizia quindi con il divorzio di Beigbeder dopo tre anni di matrimonio e succede non perché sia scaduto il tempo fatidico, ma quando la moglie scopre di essere tradita. Tradimento che l'autore giustifica con queste parole:
"O si vive con qualcuno, o lo si desidera. Non si può desiderare quello che si ha, è contro natura. Ecco perché i bei matrimoni vengono mandati in rovina dalla prima che passa."
E vale la pena citare anche questa perla:
"Tradire la propria moglie non è una cosa così terribile, se lei non viene mai a saperlo"
La "prima che passa" per Beigbeder si chiama Alice: sposata a sua volta, gli fa perdere la testa e da lì inanella una serie di affermazioni che, se non sono smielate ("L'amore più forte è quello non corrisposto"), sono sessiste ("Una donna per sbocciare ha bisogno che un uomo la ammiri"), non risparmiando al lettore il dettagliato elenco dei requisiti che la sua donna ideale deve avere e che (non stupiamoci) sono esclusivamente fisici (solita storia: gli uomini ci vorrebbero tutte come Belen, quando ben pochi di loro sono come Rocco). Dopo aver mal digerito la scoperta della nuova relazione della ex moglie ("Mi ero immaginato che sarebbe rimasta vedova sconsolata, inconsolabile") e un miserabile tentativo di riconciliazione, fatto quando l'amante cerca di ricucire il rapporto con il marito partendo per una vacanza, quel che rimane è scoprire - grazie a un salto temporale - se Beigbeder aveva ragione: l'amore dura davvero solo tre anni? Io che, fra alti e bassi e con qualche tira e molla, mi annoio piacevolmente con lo stesso uomo dal 1990, avrei qualcosa da ridire, ma in definitiva interessa davvero a qualcuno quanto durano gli amori altrui?

Reading Challenge 2024. traccia gioco di società di aprile, Uno: libri con la copertina rossa, gialla, verde o azzurra

mercoledì 24 aprile 2024

"L'orizzonte della notte", Gianrico Carofiglio

 

Bari, 24 ottobre 2019. Elvira Castell, imprenditrice 44enne, rischia una condanna all'ergastolo per omicidio premeditato: il 12 aprile di quello stesso anno ha ucciso l'ex compagno della sorella gemella, morta suicida due settimane prima. Omicidio premeditato, come sostiene il PM Consoli, o legittima difesa, come invece sostiene l'avvocato difensore Guerrieri?
Mentre aspetta da solo in aula che la Corte rientri dopo il dibattimento in Camera di Consiglio, sarà proprio Guerrieri a ripercorrere i fatti che hanno portato lui e la sua assistita a quel momento.

A febbraio - a cinque anni di distanza dal 
precedente titolo della serie più famosa di Carofiglio - è finalmente uscita la settima puntata. Nelle vicende è trascorso un anno in più, dal 2013 (anno di ambientazione de "La misura del tempo") ritroviamo Guerrieri nel 2019: 57 anni, un concentrato di solitudine e malinconia che fanno di questo romanzo quello più introspettivo dell'autore, senza tralasciare l'amore per Bari e le accuse a quella parte del sistema che non sempre funziona come dovrebbe.

"A volte, anche i non colpevoli confessano, purché cessi la pressione insopportabile dell’interrogatorio. Non mi riferisco alla violenza fisica: capita anche quella, ma non è indispensabile per produrre false confessioni. Essere interrogati in un ufficio di polizia da donne e uomini che sono convinti della vostra responsabilità può essere insostenibile anche se non vi mettono un dito addosso, a meno che non siate dei criminali di professione abituati a questo genere di esperienze o degli psicopatici, che per definizione non sono capaci di provare emozioni. Molto più spesso di quanto si possa pensare, persone innocenti, magari fragili, arrivano ad attribuirsi reati gravissimi che non hanno mai commesso. Ci sono aneddoti a bizzeffe. Ho letto su una rivista che, dal 1976 a oggi, negli Stati Uniti si contano decine e decine di casi di rei confessi poi scagionati dal test del Dna. Il problema, dunque, è che le pressioni anche solo psicologiche sui sospettati o sui testimoni reticenti non sono solo illegali, generano anche risultati inattendibili, dunque sono pericolose per l’accertamento della verità."

La parte gialla - pur essendo completa seguendo le varie fasi del processo, dall'istruttoria alla sentenza - diventa quasi marginale perché intervallata con le sedute fatte da Guerrieri con il suo analista, incontri che danno ampio spazio a ricordi, riflessioni e altro. Ricco di divagazioni letterarie e filosofiche (anche psicologiche, queste forse un po' eccessive), penso possa deludere chi compra un giallo e si trova a leggere qualcosa che va ben oltre.
Io me lo sono pienamente goduto, amo Carofiglio, come parla, come scrive e come ragiona. Non mi annoia neppure quando scrive di pugilato.

Reading Challenge 2024, traccia annuale marzo, Festival di Sanremo: abbino il libro a "La notte" (2012)

sabato 20 aprile 2024

"Quando nessuno guarda", Alyssa Cole

 

Brooklyn (New York), un anno non specificato compreso fra il 2012 e il 2017. Sideny Green è tornata a vivere nella casa dove è nata e cresciuta dopo una parentesi a Seattle, breve come il matrimonio che l'ha resa più insicura e paranoica di quanto non sia mai stata. Ma la rabbia che prova mentre ascolta le descrizioni fatte dalla guida del tour turistico organizzato dal Comune nel suo quartiere non è frutto della paranoia: quella donna sta davvero parlando solo dei bianchi ricchi che hanno vissuto lì più di cento anni prima, nostalgici della schiavitù che volevano riprodurre una piantagione per farne un parco a tema per il loro divertimento!
Nasce così il suo progetto, quello di creare un tour capace di celebrare la storia nera della comunità, la vera storia di Brooklyn.
Ma proprio mentre comincia a parlare con i vicini più anziani per documentarsi si rende conto che a Gifford Place sta succedendo qualcosa di strano. Persone che conosce da sempre se ne vanno senza avvisare né salutare. Hanno davvero ceduto alla tentazione dei soldi offerti per le loro case dalla VerenTech o quello che sembra strano in realtà è qualcosa di peggio?

Libro molto, molto particolare. Scritto nel 2020, traduzione del titolo fedele all'originale, è il primo thriller di Alyssa Cole (e l'unico suo libro tradotto in italiano), newyorkese classe 1982, già autrice di romanzi rosa e fantasy, più due graphic novel e un altro thriller successivo a questo.

Thriller è la classificazione ufficiale, come risulta dal sito dell'autrice (e, per quanto riguarda la suspence che crea, nulla da ridire), mentre da noi è stato infilato fra gli horror, cosa che mi ha lasciata molto perplessa fino alle ultime cinquanta pagine (su 448 totali) o giù di lì.
Cinquanta pagine che rovinano irreparabilmente la storia trasformandola in una gigantesca boiata degna di un pessimo B movie splatter della peggior tradizione americana.

La Cole avrebbe dovuto avere il coraggio di scrivere un romanzo serio sugli argomenti seri che ha scelto di trattare, uno dei quali, quello portante, è la gentrificazione: fa senz'altro riflettere su come le azioni che mirano a migliorare aree fatiscenti finiscano per avere effetti negativi sulle persone che abitano nelle zone interessate. Perché non sono mai loro i beneficiari di quelle migliorie, ma chi - potendoselo permettere - finisce letteralmente per sostituirli. Ma loro dove vanno a finire? 

"Cicli: distruggere e costruire"

E' brava la Cole a usare l'espediente del tour della Brooklyn nera che la sua protagonista vuole organizzare per raccontare una bella fetta di storia dell'America, ad esempio spiegando cosa fu il Panico del 1837 (che scoppiò dieci anni dopo l'abolizione della schiavitù a New York) e come influì sugli abitanti di Brooklyn o descrivendo la pratica discriminatoria della redlining.

Il quartiere di Gifford Place è immaginario, ma è ispirato a quello reale di Weeksville, che venne fondato da quei neri che durante il Panico del 1837 riuscirono ad acquistare una proprietà indispensabile per ottenere il diritto al voto. Parla delle leggi contro i neri, come quella settecentesca che non permetteva di lasciare in eredità le loro proprietà.
Anche quello che avviene nel finale - la boiata - è tale per come i fatti vengono sviluppati (frettolosamente) e raccontati (con i due protagonisti che fanno battute sulla PlayStation mentre sta succedendo di tutto e stanno rischiando la vita), ma in realtà descrive qualcosa che negli Stati Uniti è successo veramente, l'esperimento di Tuskegee (non cliccate sul link se non volete spoiler).

Per tutto quello che racconta è riduttiva la classificazione nei thriller (anche se ha vinto l'Edgar Allan Poe Award del 2021 nella categoria libri brossurati). Senza quel finale sarebbe un bel libro storico, dove trovano spazio anche i nativi americani che quattrocento anni fa abitavano la zona dove poi sarebbe sorta New York, fino "all’improvviso arrivo di uomini che avevano deciso che la terra apparteneva a loro."
Dove oggi sorge Brooklyn quindicimila persone vennero uccise nell'arco di due mesi.

E' un libro sul razzismo e sull'odio: il coprotagonista è Theo, un giovane millenial (bianco) che si trasferisce a Gifford Place con la sua ragazza (bianca) dopo l'acquisto di una casa in arenaria. I capitoli si alternano fra lui e Sidney, entrambi narratori inaffidabili, e il suo non essere nero fornisce alla Cole assist perfetti non solo per raccontare quanto vissuto dai neri in passato, ma anche per far capire cosa significhi essere vittima di razzismo a chi non lo è mai stato grazie al diverso colore della pelle.
"Non voglio certo entrare in una stazione di polizia per denunciare l’esistenza di un movimento organizzato che mira a uccidere i neri e a rubarci la nostra terra. Anche se in questo paese succede ormai da generazioni e quindi non dovrebbe risultare poi così difficile crederci."
L'abuso di potere e la violenza della polizia sono un altro tema forte. Quando Thom chiede a Sidney se è il caso di chiamare la polizia per denunciare l'atteggiamento sospetto di una persona, la risposta che riceve è quella che una persona bianca non avrebbe mai bisogno di dare:
"Certo, così un altro bianco terrificante può suonare alla mia porta, ma stavolta uno che può sicuramente uccidermi a cuor leggero, invece che solo probabilmente."
E con Theo anche il lettore capisce quanto sia difficile (e ingiusto) essere giudicati a priori per il colore della propria pelle.
"Quando penso a una comunità nera la prima cosa che mi viene in mente – anche se preferirei altrimenti – è il crimine. Droga. Gang. Sussidi. Sono le uniche cose di cui abbiano parlato i notiziari sin da quando ero bambino. Non di persone anziane che bevono tè, non di complessi sistemi finanziari indipendenti che è stato necessario creare perché il razzismo significa essere lasciati a marcire."
Un libro contro i poteri forti che trasmette la sofferenza delle persone emarginate, un enorme senso di impotenza e tanta la rabbia. Avrebbe davvero meritato una conclusione diversa.

Reading Challenge 2024, traccia di aprile: libri che nel titolo hanno almeno una parola in comune (guarda, in comune con "Qualcuno ti guarda")

mercoledì 17 aprile 2024

"Qualcuno ti guarda", Rachel Abbott

 

Manchester, 6 novembre di un anno non precisato. E' quasi notte quando Liv Hunt, giovane neomamma, chiama la polizia per denunciare la scomparsa del suo compagno: Dan l'ha chiamata dicendole che stava tornando a casa, ma non é mai arrivato né mai arriverà.
Autunno di sette anni dopo. Liv non usa più il diminutivo del suo nome né il cognome da nubile ed è come Olivia Brookes che chiama la polizia per denunciare la scomparsa del marito e dei tre figli: Robert e i bambini sono andati a mangiare la pizza, ma è già passata mezzanotte e non sono ancora tornati. Arrivano il giorno dopo, con Robert stupefatto per la denuncia perché a suo dire Olivia sapeva che sarebbero stati via per il week-end.
Giugno di due anni dopo. Questa volta è Robert a chiamare la polizia per denunciare la scomparsa della moglie e dei tre figli. E' tornato da un viaggio di lavoro e non li ha trovati a casa. Eppure non manca nulla: la borsa di Olivia è al solito posto con dentro chiavi, documenti e cellulare, la sua macchina è nel garage, i vestiti ci sono tutti. L'unica cosa che manca sono le fotografie, sono sparite dai muri, dalle mensole, dai cellulari e dai computer.
Il caso viene affidato all'ispettore capo Tom Douglas, che aveva già risposto alla chiamata di nove anni prima e che ricorda benissimo la disperazione di quella ragazza per la sparizione del suo compagno. Scoprire che si era poi sposata con un altro dopo appena sei mesi é la prima cosa che non gli torna dell'intera faccenda.

Rachell Abbott, pseudonimo dell'inglese Sheila Rodgers (1952), ha scritto una quindicina di thriller di cui solo quattro sono stati tradotti in italiano. Questo (titolo originale "Sleep Tight") è il terzo che ha scritto e il primo a essere stato tradotto.

Gli altri li ho già comprati, per cui li leggerò, anche se questo ha non poche criticità. Si apre con un prologo inquietante a cui viene data una spiegazione non troppo rilevante nel corso della lettura, ma se il suo scopo era quello di coinvolgere fin dalla prima pagina lo centra in pieno.
Ma è tutta la prima metà del libro a essere davvero bella, per poi perdersi in qualche personaggio caricaturale, in troppe ripetizioni e in tutta una serie di forzature (una veramente eccessiva, mancava poco che spuntassero i vampiri!) indispensabili per far quadrare una storia che avrebbe funzionato lo stesso se fosse stata meno contorta.

Manchester è solo un nome, il libro potrebbe essere ambientato ovunque, ma nella narrazione vengono coinvolte anche delle isole britanniche davvero belle. 

L'isolotto gallese di South Stack, con il suo bellissimo faro:


E la piccola isola di Alderney, sulla Manica, con il suo mare caraibico:

Reading Challenge 2024, traccia di aprile: libri che nel titolo hanno almeno una parola in comune (guarda, in comune con "Quando nessuno guarda")


lunedì 15 aprile 2024

"Titanic, un viaggio che non dimenticherete", Massimo Polidoro

 

Oceano Atlantico, lunedì 15 aprile 1912. Sono le 2.20 del mattino quando l'inaffondabile Titanic cola a picco, due ore e quaranta minuti dopo essere entrato in collisione con un iceberg.

Anche oggi è lunedì 15 aprile: quest'anno i giorni della settimana coincidono con quelli di centododici anni fa, cosa che ha reso la mia lettura ancor più particolare.

Questo di Polidoro è uno dei tantissimi libri (grosso modo un migliaio) scritti sulla tragedia del Titanic e uno dei tanti scritti nel 2012 in occasione del centenario.
Per me si tratta del terzo che leggo dopo "Titanic, la vera storia" (di Walter Lord, letto nel 2018) e "Le luci del Titanic" (di Hugh Brewster, letto nel 2022), ed è il secondo di Polidoro dopo "Enigmi e misteri della storia" che mi aveva delusa perché trattava tanti argomenti senza approfondirne nessuno.
Ed è proprio lo stesso difetto di questo: non lo giudico deludente grazie all'interesse che ho per l'argomento ed è perfetto per chi cerca una lettura scorrevole capace di offrire un quadro generale, ma - per quello che riguarda la costruzione della nave, i giorni di navigazione che precedettero il disastro, l'affondamento e le indagini successive - non c'è paragone con il testo di Brewster.

Né lui né Lord, però, avevano ricordato William Thomas Stead, uno degli artefici del “giornalismo moderno” (cioè quello che ormai è in via di estinzione). Da giornalaia ho trovato interessante dare un nome a chi introdusse i titoli in grande e i sottotitoli, oltre a imporre che gli editoriali - fino a quel momento anonimi - venissero firmati, a lanciare l'uso di illustrazioni, caricature e cartine geografiche per alleggerire le pagine di solo testo, a dare spazio alla critica letteraria e teatrale e a lanciare le interviste. Praticamente è stato lui a creare i quotidiani per come li conosciamo.
Ma, soprattutto, fu autore di campagne di denuncia, ad esempio quella contro la prostituzione infantile che gli costò tre mesi di carcere, ma che portò alla creazione di una legge più severa contro gli abusi su donne e minori.
In un racconto pubblicato nel 1886 descrisse l'impatto fra una nave e un battello a vapore con un conseguente elevato numero di vittime. In calce Stead scrisse:
"Questo è esattamente quello che potrebbe succedere, e succederà, se i transatlantici verranno spediti in mare a corto di scialuppe."
Fu una delle 1.852 vittime del Titanic. Testimoni raccontarono che cedette il suo giubbotto di salvataggio a un altro passeggero. Finito in mare fu visto aggrapparsi a una zattera per poi sparire per sempre.

Quello che rispetto alle opere di Lord e di Brewster ha in più il libro di Polidoro (e per questo sono contenta di averlo letto) è il duplice approccio: ai fatti del 1912 affianca quelli riguardanti la ricerca del relitto, il suo ritrovamento e le successive missioni attorno a esso.

Come succede in tanti thriller, l'autore alterna i diversi piani temporali e la parte migliore è quella più recente, anche perché non sono ancora riuscita a mettere le mani su "Il ritrovamento del Titanic" dove Robert Ballard racconta l'individuazione del relitto e la successiva esplorazione. Libro fuori catalogo che spero sempre di scovare usato da qualche parte. Credo che invece Polidoro lo abbia letto e che si sia ispirato a ciò che descrive per trasmettere a sua volta l'esperienza vissuta dall'oceanografico.

"Gli era sempre parso incredibile che l’umanità sapesse così tanto sulla superficie della Luna o di Marte e quasi niente sugli abissi del mare. E dire che l’acqua che ricopre il globo terrestre rappresenta il 71 per cento di tutta la sua superficie: quindi dovrebbe essere logico impegnarsi a indagare questa enormità di spazio per lo più inesplorata e sconosciuta.
Invece la gente osannava gli astronauti che volavano sempre più lontano verso il cielo e ignorava gli oceanografi che preferivano rivolgere la loro attenzione a ciò che stava in basso. Gli venne anche il dubbio che fosse una questione di retaggi culturali: tendiamo forse ad andare verso l’alto perché i nostri antenati credevano che là fosse il Paradiso, mentre in basso c’era solo l’Inferno?"
E la parte più emozionante del libro di Polidoro è proprio quella in cui descrive lo stato d'animo di Ballard quando il relitto finalmente apparve sui monitor di ricerca.

"Era l’1.05 del mattino del 1 settembre 1985 e un mistero durato settantatré anni cominciava a svelare i suoi segreti: il Titanic non era più una nave dispersa."

Reading Challenge 2024, traccia stagionale crucipuzzle, primavera: buio nel testo

sabato 13 aprile 2024

"Se muoio prima di svegliarmi", Emily Koch

 

Bristol, sabato 8 settembre di un anno non precisato. Alex, ventisettenne cronista del Bristol Post, come tante altre volte dedica quel giorno libero alla sua grande passione: l'arrampicata. Non sa che sarà l'ultima. Un volo di diciotto metri e l'assenza del casco protettivo lo riducono a un vegetale. O almeno è quello che sostengono i medici perché i macchinari non rilevano alcuna attività cerebrale.
In realtà il cervello di Alex è perfettamente cosciente, ma è imprigionato in un corpo immobile. Per due anni ha ascoltato e capito tutto quello che è stato detto nella sua stanza, con muscoli, nervi e pelle sensibili. Soffre per i crampi e avverte il contatto quando viene toccato, ma per quanto si sforzi non riesce a muovere nulla per far capire di esserci ancora.
Una non vita da cui per molto tempo ha sperato di essere salvato morendo. Ma proprio quando la compagna, la sorella e il padre sembrano essersi convinti che lasciarlo andare sia un atto d'amore, la polizia riapre il caso perché pare che non si sia trattato di un incidente. Forse c'era qualcuno in cima alla parete, qualcuno che lo ha fatto precipitare nel vuoto.

Opera prima (scritto nel 2019) dell'inglese Emily Koch e al momento l'unico dei suoi libri ad essere stato tradotto in italiano. Su Amazon UK vedo altri due thriller e non mi dispiacerebbe leggerli, anche se questo non mi ha convinta del tutto.

Lo avevo comprato ad agosto dell'anno scorso al Libraccio di Savona, attratta dal font meraviglioso (un applauso a La nave di Teseo perché rispetta i suoi lettori orbi) e soprattutto dalla trama, ma la lettura non è stata coinvolgente come l'avevo immaginata, al punto che dal 26 marzo - giorno in cui l'ho iniziato - sono stati ben sette i giorni in cui non l'ho neppure preso in mano, cosa che non mi succede mai, pur leggendo due o tre libri contemporaneamente riesco sempre a dedicare a ciascuno di essi un po' del mio tempo ogni giorno.

Le primissime pagine catturano, ma ben presto il libro rivela una leggerezza che non mi aspettavo di trovare in un thriller, meno che mai in uno dove la voce narrante vive una situazione tragica e opprimente come quella di Alex.
Ma, nonostante il tono scanzonato che la Koch ha scelto di dare al suo protagonista, dopo l'avvio il romanzo diventa noioso perché ripetitivo. 
Con lentezza, attraverso i ricordi di Alex, viene ricostruito il suo passato e, con estrema lentezza, i fatti relativi alla sua caduta. Che chiaramente non è stata accidentale, altrimenti il libro non sarebbe un thriller.
Solo l'ultima parte si legge speditamente, non tanto per sapere chi ha ridotto Alex all'immobilità, ma per scoprire se morirà prima di svegliarsi.

Reading Challenge 2024, traccia di aprile: libri con un adesivo sulla copertina

giovedì 11 aprile 2024

"Il cartomante di via Venti", Maria Masella

 

Genova, inizio autunno 2023. Orlando Zagheri, romano, da tre anni residente a Genova, viene trovato morto nel suo appartamento con la gola malamente tagliata. L'uomo lavorava per un'emittente locale, CittàTV, dove vestendo i panni del Mago Zagor conduceva la sua rubrica fissa, "Il cartomante di via Venti", predicendo il futuro ai fessi telespettatori che chiamavano in trasmissione afflitti da pene d'amore o con problemi di salute o di denaro.
E' stata Valeria Signorelli - telefonista nella stessa televisione - a ritrovare il corpo dell'uomo con cui da circa un anno aveva una relazione saltuaria.
Dopo due giorni anche lei viene uccisa e dopo tre al commissario Mariani viene tolto il caso.
Indubbiamente non lo ha gestito con l'abituale professionalità, distratto dal nuovo tracollo del suo matrimonio con Francesca, ma per fortuna né la moglie né i suoi uomini più fidati credono alle voci che lo vedrebbero fra i sospettati. Inizia quindi un'investigazione privata finalizzata a trovare l'assassino, ma anche a capire chi nelle alte sfere vuole impedirgli di scoprire il colpevole.

Dopo aver finito "La segreta causa" mi sarebbe dispiaciuto separarmi dai personaggi della Masella, anche se Mariani non mi ispira particolari simpatie, meno che mai la moglie Francesca, che ormai finisce sempre per avere un (improbabile) ruolo attivo nelle indagini del marito. Ma questi gialli sono brevi e mi coinvolgono abbastanza da farmi pensare che non mi dispiacerebbe farli scorrere a mo' di maratona, cosa che di solito non amo fare neppure con le serie TV.

Sicuramente, come già detto, gioca un ruolo fondamentale l'ambientazione e la Masella mi fa sentire a casa, più di ogni altro autore genovese che leggo. Dai tanti riferimenti comincio a pensare che sia di Sampierdarena, come me. Questa volta c'è piazza Settembrini, tanto cara a mio nonno, con un piccolo cameo per i Fratelli Frilli (gli editori dell'autrice) che un tempo avevano una libreria in quella piazza, come ricorda Mariani.
E viene citata anche la scuola media in piazza del Monastero, cioè le Novaro, frequentata da me e da mia sorella (e da tre personaggi femminili del libro).

Curioso come sia in questo come nei libri precedenti diversi quotidiani, locali e nazionali, siano stati citati con l'inserimento di personaggi fra le loro fila, mentre CittàTV non esiste. Immagino che Telecittà, che si trova realmente all'indirizzo della fasulla CittàTV, non abbia dato il permesso alla citazione.

Per l'ormai abituale tuffo nel passato, qui abbiamo l'uso dell'elenco del telefono e un foulard sulla testa di una trentenne, obsoleto oggi come nel 2003.

Ma la cosa veramente assurda è la "lista di focaccia" comprata da Mariani! Se proprio non voleva usare il nostro slerfa (ma non vedo perché visto che nel libro trova spazio una gritta, nome genovese del granchio), avrebbe per lo meno potuto dire striscia!

Ci sono anche un paio di errori fastidiosi: Mariani che non ricorda se la figlia ha 6 o 7 anni, dice che deve sempre fare il conto (e già questo la Masella poteva evitarlo) e poi si convince che ne abbia 6, mentre ne "Il dubbio" (ambientato nel febbraio dello stesso anno) c'era scritto che ne aveva 7. E poi, in riferimento a "La segreta causa", scrive "Da luglio, da quel terribile caso di Lavagna" quando in realtà la storia iniziava e finiva ad agosto.

L'editing questa volta non è stato accurato (
"Ho tante strade aperte da percorrere, ma queste maledette ferie imposte mi impediscono di percorrerle. Riprendo l’auto posteggiata più di tre ore fa poco lontano dall’ufficio di Francesca e ripercorro la strada verso Levante.") e c'è una sfacciatissima (ed esagerata) pubblicità a Tonitto, ma la Masella si fa ampiamente perdonare con un pungente riferimento ai fatti del G8 ("A Genova, dal 2001, i giornalisti hanno un rapporto schizoide con la polizia: alternano periodi in cui siamo Barbablù, forse alcuni di noi lo sono, ad altri in cui siamo Biancaneve, nessuno di noi lo è.") e con un bellissimo "FORZA SAMP" che Mariani vede scritto su un muro di piazza Settembrini ♥

Reading Challenge 2024, traccia stagionale crucipuzzle, primavera: delitto nel testo

lunedì 8 aprile 2024

"La segreta causa", Maria Masella

 

Genova, agosto 2003. Mentre moglie e figlia sono in vacanza a Finale Ligure e la madre, come ogni anno, è ospite nella casa di Lavagna della sua amica Enrica, il commissario Mariani è bloccato a Genova dal lavoro. La situazione non del tutto risolta con Francesca lo porta ad andare più spesso a Levante che a Ponente e anche l'ultimo week-end lo ha trascorso con le due signore. E' martedì quando viene a sapere dalla madre che il cadavere di Luisa Lercari è stato ritrovato in un box nei pressi del porticciolo turistico di Lavagna: 45 anni, nata a Sampierdarena, ma residente a Nervi, la Lercari era un'insegnante, ma anche una prolifica scrittrice di gialli a diffusione locale. E il sabato precedente Mariani aveva accompagnato madre e amica proprio alla presentazione dell'ultimo libro dell'autrice, dormendo per quasi tutto il tempo.
Il caso viene seguito dal tenente dei carabinieri di Lavagna Alfonso Graglia che, una volta informato della presenza del "collega" alla presentazione, non esita a chiedere la sua collaborazione, dimostrandosi poi però inspiegabilmente reticente.
Del resto Mariani non mira a essere coinvolto nella vicenda, soprattutto quando, di lì a poco, si trova a dover investigare sull'omicidio di Luigi Maccari, il giornalista de "Il lavoro" (la sezione genovese de "La Repubblica") che proprio pochi giorni prima di essere ucciso aveva intervistato la madre del commissario e la sua amica per un articolo sulla Lercari.

E questa sembrerebbe una clamorosa coincidenza, cosa che invece non è perché si capisce presto che i due casi sono collegati fra loro.

Scritto nel 2005 e terzo capitolo della serie del commissario Antonio Mariani, al momento è il migliore dei quattro che ho letto (quattro perché oltre ai primi due ho già letto anche il prequel, uscito in seguito), un giallo in piena regola, ben costruito e incalzante.

Un po' datato nello stile e nel tratteggio dei personaggi, ma sono caratteristiche dell'autrice e non mi dispiacciono (e poi mi fa sempre il regalo di trovare citato il mio quartiere di nascita, Sampierdarena), senza contare la penalizzazione a cui sottopongo i suoi libri leggendoli con vent'anni di ritardo perché se adesso fa sorridere sentir parlare di palmare e di floppy disk, nel 2003 (anno di ambientazione) e nel 2005 (anno in cui è stato scritto) li usavamo tutti prima di sostituirli con cellulari e chiavette USB.

Reading Challenge 2024, traccia di aprile: libri di autori con nome e cognome che iniziano con la stessa lettera

venerdì 5 aprile 2024

"The Hole", Hye-Young Pyun

 

"Erano diventati l'uno per l'altra l'unica famiglia"
Seul (Corea del Sud), giorni nostri. L'uno é Oghi, 47 anni, docente universitario, che un giorno riapre gli occhi ritrovandosi in un letto di ospedale a causa di un terribile incidente automobilistico in cui la moglie ha perso la vita, mentre lui - sfigurato e paralizzato - è in grado di muovere soltanto gli occhi e le palpebre. L'altra è la suocera, vedova da tre anni e adesso privata anche dell'unica figlia. Una donna educata e dignitosa di origini giapponesi che nell'arco dei quindici anni di matrimonio Oghi aveva frequentato e conosciuto poco.
Otto mesi dopo l'incidente Oghi viene dimesso e, non avendo altri familiari, sarà la suocera ad assumere il ruolo di amministratrice di sostegno. Un nobile gesto, ma soltanto all'apparenza: inchiodato nel suo letto, senza poter né parlare né muoversi, Oghi si trova ad affrontare giornate interminabili, isolato dal resto del mondo da quella suocera che lo trascura e che sembra essere ossessionata dal giardino che la figlia aveva reso lussureggiante. Ma se la figlia seminava e piantava, adesso la madre estirpa e scava, con rabbia crescente.

Scritto nel 2016 e vincitore dello Shirley Jackson Award l'anno successivo, "The Hole" è arrivato da noi soltanto a settembre della scorso anno ed è finito subito nella mia wish list dopo aver letto che era stato selezionato da “Time” tra i migliori dieci thriller dell’anno.

"The Hole è un romanzo che appassiona e dà i brividi"

Posso dirmi d'accordo, anche se non ha soddisfatto pienamente le alte aspettative che avevo. E' una lettura che se da un lato invoglia a procedere per scoprire cosa succederà, dall'altro frena per la pesantezza del contesto. Mi ha trasmesso la stessa angoscia provata moltissimi anni fa con "Misery non deve morire", il romanzo di Stephen King che ho preferito fra i pochi suoi che ho letto. L'unica analogia è la reclusione forzata dentro a una stanza: è impossibile fare altri paragoni fra le storie che raccontano, fra i due protagonisti, fra le due carceriere o altro, ma il senso di oppressione che mi hanno fatto provare è lo stesso e se quello che succede a Paul Sheldon vince sul piano della paura, le vicende di Oghi sbaragliano in afflizione.

Sostantivo che mal si associa al genere thriller, ma qui c'è più psicologia che suspense, con un finale accattivante parzialmente rovinato dalle ultimissime considerazioni, troppo filosofeggianti per quello che piace a me, ma che non mi hanno tolto il desiderio di leggere altro della Pyun, se mai la tradurranno ancora.

Reading Challenge 2024, traccia vagabonda aprile: Corea del Sud

mercoledì 3 aprile 2024

"Omicidio a Mizumoto Park", Tetsuya Honda

 

Tokyo, martedì 12 agosto di un anno non precisato. Per Reiko Himekawa stanno per scoccare i 30 anni ed è ancora single: una situazione inconcepibile per la madre, la sorella e la zia, al punto che la madre stessa si prodiga per organizzarle uscite serali con aspiranti mariti, appuntamenti che Reiko manda all'aria o diserta direttamente.
Il lavoro le offre una valida scusante: da due anni è a capo di una squadra di quattro uomini in quanto ispettrice dell'Unità 10 della sezione Omicidi di Tokyo. Un record per una persona così giovane e, soprattutto, per una donna.
Quel martedì la telefonata in arrivo dalla centrale non interrompe una cena galante, bensì un pranzo con il patologo dell'Istituto di medicina legale, una piacevole abitudine mensile che i due sfruttano per chiacchierare del loro argomento preferito: le morti bizzarre.
E il cadavere che Reiko si trova davanti quando arriva a Mizumoto Park di sicuro non è ordinario: l'uomo ha la gola tagliata, il ventre squarciato e un'infinità (94) di altre ferite superficiali sul dorso. Inoltre lo hanno avvolto in sacco di plastica azzurro. Tanta premura per nasconderlo per poi abbandonarlo in riva al laghetto del parco in un punto visibile per chiunque: per Reiko tutto ciò non ha senso, ma presto - grazie a una delle sue incredibili intuizioni - diventerà chiaro che non si tratta di un caso isolato.

Sottotitolo "la prima indagine della detective Himekawa della polizia di Tokyo", "Omicidio a Mizumoto Park" è il primo di una serie di otto romanzi scritti fra il 2006 e il 2017 da Tetsuya Honda, autore giapponese mio coetaneo (1969), molto famoso in patria grazie a questa e ad altre serie.

Soltanto l'anno scorso hanno tradotto in italiano questo primo titolo e a febbraio il secondo della serie, e immagino che andranno avanti, probabilmente anch'io, per lo meno col secondo perché lo avevo già comprato prima di leggere questo, ma adesso che l'ho fatto mi chiedo: c'è davvero bisogno di tradurre in altre lingue storie così banali? Non sarebbe meglio se l'editoria si impegnasse a tradurre autori di livello, posto che ogni nazione sforna già di suo grandi quantità di letture commerciali?
Si potrebbe obiettare che nel mondo c'è spazio per tutto/i (cosa per altro non vera, siamo troppi), ma questo non vale certo per le librerie di casa.
Allora si potrebbe dire che basta scegliere quando si compra: e qui taccio perché potrei solo dare ragione a chi dovesse dirlo.

Quello di Honda è stilisticamente un librino da poco, fra "una ragazza criminalmente sexy" e un ispettore della Omicidi, quello dell'Unità 5, che ad ogni apparizione non manca di apostrofare una donna, spesso Reiko stessa, con tutta una serie di epiteti quali stupida (undici volte), imbecille (quattro), cretina (tre) e una volta scemetta (agli uomini riserva l'appellativo di idioti, quattro volte). L'autore mette in bocca a Katsumata anche un imbarazzante "Quasi mi scordavo, sei in arresto", ma l'uso di un italianissimo "Dio li fa..." mi porta a chiedermi quanta libertà si sia presa la traduttrice.

Peccato perché la storia gialla che il libro racconta non è neppure da buttare: chiaramente il primo non sarà l'unico cadavere di una vicenda che sviluppandosi riuscirà a essere contemporaneamente sia macabra che triste.
Un vero e proprio poliziesco che vede all'opera altre due Unità oltre a quella di Reiko (a cui ovviamente non manca un'esperienza tragica legata al suo passato, come succede a tante - troppe - protagoniste di serie gialle) e dove, più che mai, ho avuto problemi con la memorizzazione dei personaggi, che non sono pochi e che hanno tutti nomi talmente pieni di K, U e H da renderli troppo simili per i miei occhi italiani.

Ma la lettura è stata indubbiamente penalizzata dal confronto con i noir di Matsumoto: gli unici altri gialli giapponesi che ho letto sono i suoi e sono proprio due mondi opposti nella costruzione, nel ritmo, nello sviluppo. Nella serietà.
Perché - e qui arriva il secondo paragone - lo stile e la protagonista di Honda sono del tutto analoghi ai romanzetti di Alessia Gazzola: non potevamo farci bastare Alice Allevi e cercare di portare in Italia altri personaggi giapponesi del calibro di Torigai Jutaro?

Reading Challenge 2024, traccia vagabonda aprile: Giappone

lunedì 1 aprile 2024

Reading Challenge: le tracce di aprile

    


TRACCE MENSILI

Libere:
  • libri che nel titolo hanno almeno una parola in comune
    Qualcuno ti guarda, Rachel Abbott (3 punti)
    Quando nessuno guarda, Alyssa Cole (4 punti)
  • libri di autori con nome e cognome che iniziano con la stessa lettera
    La segreta causa, Maria Masella (2 punti)
  • libri con un adesivo sulla copertina
    Se muoio prima di svegliarmi, Emily Koch (3 punti)

Traccia gioco di società: Uno, libri con la copertina rossa, gialla, verde o azzurra
  • L'amore dura tre anni, Frédéric Beigbeder (1 punto)

Traccia vagabonda:
  • Giappone: Omicidio a Mizumoto Park, Tetsuya Honda (3 punti)
  • Corea del Sud: The Hole, Hye-Young Pyun (1  punto)


I miei punti di aprile: 17



sabato 30 marzo 2024

"Quando una donna diventa un lago", Marjorie Celona

 

Whale Bay (Stato di Washington), 1° gennaio 1986. E' dalla fine di novembre che il freddo non dà tregua. Secondo gli esperti non nevicava così tanto da più di ottant'anni. E nevica anche quel primo giorno dell'anno, ma questo non ha impedito a Leo Lucchi di portare i suoi due figli a Squire Point. Ha con sé il fucile ereditato dal padre e vuole insegnare ai bambini a sparare. Non sa mai cosa organizzare nell'unico giorno della settimana che può trascorrere con loro da quando lui ed Evelina si sono separati e quella gli è sembrata una buona idea.
Anche Vera Gusev ha raggiunto Squire Point per far correre Scout, il suo cane.
E' lei a chiamare la stazione di polizia per dire di aver trovato un bambino da solo nel bosco. Poi il centralinista sente un tonfo e un grido strozzato. Ma quando un'ora dopo arriva sul posto l'agente Lewis Côté non ci sono né la donna né il bambino: trova soltanto il cane vicino al lago ghiacciato.

Scritto nel 2020, "Quando una donna diventa un lago" (traduzione letterale del titolo originale) è il secondo romanzo della canadese Marjorie Celona, il primo ad essere stato tradotto in italiano. 

La struttura, pur non essendo una novità assoluta, è ugualmente molto originale. Il libro sembra un carciofo, dove ogni foglia è un capitolo. Ogni foglia (capitolo) si accavalla a quella sottostante. Staccandole (leggendoli) si arriva al cuore del carciofo, che è la soluzione del libro.

Ogni capitolo ha per soggetto uno dei sette personaggi e ognuno aggiunge un tassello, un dettaglio, una spiegazione, un pensiero o un'azione. Compresa Vera (e i suoi sono i capitoli di cui non avrei sentito la necessità).

Un gran bel thriller che solo nella parte centrale perde leggermente il ritmo (per poi riprendersi con gli interessi), ma che è qualcosa di più grazie alla grande introspezione di ciascun personaggio, 240 pagine di suspense, ma anche di drammi e disagi personali e familiari, di scelte, decisioni, reazioni, paure e speranze.

Non il solito thriller, può piacere anche ai non amanti del genere. Merita di essere letto.

Reading Challenge 2024, traccia di marzo: libri a sorte fra quelli che aspettano di essere letti

giovedì 28 marzo 2024

"Lady Chevy", John Woods

 

Barnesville (Ohio), 2015. Amy Wirkner ha 18 anni e pesa 120 chili. Lady Chevy è il soprannome che le hanno affibbiato per il suo culone obeso. Bullizzata fin dai tempi delle scuole elementari, non solo per il grasso, ma anche per la povertà della sua famiglia, Amy ha soltanto due amici, Sadie - che chiama sorella, ma che è l'opposto di lei - e Paul, di cui è segretamente innamorata. Amy ha anche un grande sogno: vincere una borsa di studio che le permetta di andarsene da quel posto per proseguire gli studi e diventare veterinaria.
Ma Paul, convincendola a fargli da autista e da palo, finirà col mettere a rischio quel futuro che è la sua sola ragione di vita, qualcosa che deve difendere. A tutti i costi.

Romanzi di esordio così belli e potenti sono una rarità ed è avvilente che questo non abbia beneficiato delle attenzioni che merita da parte di chi per mestiere o per passione dà consigli di lettura, diventando per noi italiani un libro di nicchia.
Soprattutto è un peccato che John Woods dopo questo, scritto nel 2020, non abbia ancora pubblicato altro.

Barnesville (chiamata "la Ville" dai suoi abitanti) è la sua città natale, un piccolo centro con meno di cinquemila abitanti della Ohio Valley, ai confini con la Virginia Occidentale, e - a giudicare da questo video scovato su YouTube - effettivamente non è un posto dove in molti sognerebbero di rimanere per tutta la vita.

Siamo sulle colline pedemontane degli Appalachi, ma questa volta dimentichiamoci dell'immersione nella natura fatta con Byll Bryson. Bisogna tornare sui monti di cui John Grisham e Joyce Carol Oates hanno già raccontato la devastazione operata dall'uomo.

I genitori di Amy hanno ceduto i diritti minerari della loro terra spinti dalle rassicurazioni e dal bisogno di soldi: ma 900$ al mese non potranno mai dare un senso alle deformità di Stonewall, il figlio minore.

"Sotto i nostri piedi la terra trema, iniezioni di fluido ad alta pressione, gemiti profondi nelle tenebre sotterranee. Le sostanze chimiche rompono le rocce scistose, filtrano nelle falde acquifere, contaminano il terreno ed estraggono i gas naturali che alimentano la nostra nazione. L’acqua è opaca, marrone, puzza di zolfo. A volte prende fuoco. A volte, quando facciamo la doccia, ci vengono degli sfoghi che restano sulla pelle per giorni. Abbiamo tutti la tosse, la gola irritata. Gli occhi che bruciano. Le emissioni di radon e metano velano di foschia le colline intorno alla città."

Ma il vero macro argomento del libro (che è ridicolo classificare nel genere giallo come hanno fatto: caso mai un noir, ma soprattutto un grande romanzo americano) sono il razzismo e la pretesa superiorità di certi bianchi. In questo caso bianchi americani, quel tipo di bifolchi che il 6 gennaio 2021 tutto il mondo ha visto assalire la Casa Bianca.

"Lo sai come siamo fatti qui. Tutti fucili e religione"

Americani per i quali farsi giustizia da soli è un dovere e un diritto perché "solo la violenza può salvarci, può salvare la razza bianca" e che considerano "il multiculturalismo il genocidio dei bianchi".

Il nonno materno di Amy era un Gran Dragone del Ku Klux Klan. La madre conserva con orgoglio la sua cintura di pelle nera con trentatré buchi, uno per ogni omicidio. Lo zio ha tatuato sul braccio il simbolo delle SS e una bandiera con la svastica in giardino.
E' lo stesso zio che le ha insegnato a sparare per uccidere e che le ha regalato un fucile.

E poi c'è l'agente di polizia Brett Hastings, una sorta di giustiziere della notte che considera le idee di uguaglianza, di bene e male delle idiozie.
Lui e Amy si alternano nei capitoli del libro: 24 (più epilogo) dove è lei la voce narrante, altrettanti (ma non numerati e intitolati con una semplice H) dove è lui il protagonista raccontato in terza persona.

Woods non ha risparmiato nessuna accusa a quell'America non patinata che ha ben poco da insegnare al resto del mondo: guerre, droga, reperibilità delle armi, stragi nelle scuole, mercificazione degli adolescenti, pedofilia, debito pubblico.
Situazioni magari appena accennate, ma presenti, dove c'è spazio anche per un'affermazione di peso in un'America rurale carnivora: "Le proteine vegetali sono fantastiche".

Reading Challenge 2024, traccia stagionale crucipuzzle, primavera: villaggio nel testo

lunedì 25 marzo 2024

"Mi è passato il mal di schiena", David Foenkinos

 

"Si sa sempre quando una storia comincia. Io ho capito subito che stava accadendo qualcosa, anche se, naturalmente, non potevo immaginare gli sconvolgimenti che ne sarebbero seguiti. In principio ho provato un dolore vago, giusto un pungolo nervoso nella parte bassa della schiena. Non mi era mai successo, non sono stato a preoccuparmi."

La voce narrante è un architetto quarantenne di cui non ci viene mai detto il nome. Sposato da vent'anni con Elise, due figli giovani, ma già indipendenti, vive un'esistenza regolare e apparentemente priva di problemi. Il dolore alla schiena lo coglie mentre è nella cucina della sua villetta, in una zona residenziale alla periferia di Parigi. 
E' una domenica pomeriggio (di un anno non precisato) e lui ed Elise hanno appena finito di pranzare con la coppia di amici che frequentano da sempre, quando parte la fitta.

Leggere all'inizio del libro che la cosa non lo preoccupa non suscita particolari reazioni, ma già dopo una quindicina di pagine ci si rende conto che il nostro narratore è un concentrato di ipocondria e di insicurezza. A mezz'ora dalla fitta ha già congedato gli amici e si è messo a letto e nelle tre mattinate successive colleziona una serie di lastre e due risonanze magnetiche: giusto perché non si era preoccupato ^^

David Foenkinos, autore parigino classe 1974, lo avevo scoperto per caso due anni fa, quando per la Challenge mi serviva un libro con la parola mistero nel titolo. Avevo quindi letto "Il mistero di Henri Pick" e, piacendomi, avevo inserito gli altri suoi titoli in wish list (dei suoi ventun romanzi soltanto otto sono stati tradotti in italiano).

Scritto nel 2013, "Je vais mieuz" (titolo originale), si divide in cinque parti più l'epilogo. Alla fine di ogni capitolo fa il punto della situazione misurando l'intensità del dolore in una scala da 0 a 10 e descrivendo il suo stato d'animo: a pagina 16 si dice preoccupato, venti pagine dopo è già disperato.

All'inizio pensavo che l'autore mirasse a far divertire basando la storia sullo stereotipo dell'uomo lagnoso che con 37 di febbre pensa già a cosa far scrivere sulla propria lapide, ma dopo aver finito il libro non ne sono più tanto convinta perché il romanzo è sì leggero e scanzonato, ma credo/temo che le esagerazioni di Foenkinos non siano delle forzature volute. Del resto, è un uomo e chissà se anche per lui è normale convincersi di avere qualcosa di grave sulla base di un semplice mal di schiena, come fa il suo protagonista...

Quel che è certo è che al povero architetto succede di tutto, un crollo verticale che dopo la salute travolge anche la sua vita lavorativa e affettiva, portando la commiserazione a livelli insopportabili.

"Quando si soffre bisogna organizzare qualcosa di ancor più sgradevole, perché solo il male può distrarre dal male"

Rende bene l'idea il padre quando lo descrive come un uomo che "ha il dramma dipinto in faccia, sempre l'aria da vittima, uno che vuole sempre essere compatito".

Un uomo che, quando si convince che il dolore alla schiena sia il risultato di "rancori tenuti dentro", per sciogliere le tensioni risolvendo i contrasti non risolti del passato arriva a contattare l'ex compagna di terza elementare che lo aveva ferito non invitandolo al suo compleanno!!

Fra una situazione e l'altra, tutte più o meno paradossali, il libro fa però riflettere su
 come diamo la salute per scontata finché non la perdiamo, ma anche sui rapporti fra le persone, su com'è facile illudersi che noia e abitudine siano un tranquillo ménage matrimoniale o su come certe amicizie siano tali solo in determinate condizioni, momenti e luoghi.

E se al protagonista alla fine il mal di schiena passa (la traduzione italiana del titolo ci spoilera allegramente il finale), a me è venuto leggendolo: una contrattura alla zona lombare causata tre giorni fa da un banale incidente domestico.
Forse mi converrebbe cambiare il prossimo libro che ho in scaletta: "Se muoio prima di svegliarmi"...

Reading Challenge 2024, traccia gioco di società marzo, L'allegro chirurgo: libri dove il protagonista è un medico o una persona malata


venerdì 22 marzo 2024

"Ogni tuo passo", Alice Feeney

 

Londra, 2017. Fingere e scappare sono le due cose che sa fare meglio: è questo che Aimee Sinclair pensa di se stessa. E della capacità di impersonare ruoli diversi ne ha fatto la sua professione: ha 36 anni e da diciotto recita. Una lunga gavetta fatta di piccoli ruoli, ma adesso sta girando un film per il grande schermo, "A volte uccido", ed è la protagonista. Nessuno sa quanto sia adatto a lei quel titolo...
Però non ha nulla a che fare con la scomparsa di suo marito Ben: è vero che la sera prima hanno litigato e lei ha lasciato il ristorante dopo avergli dato uno schiaffo, ma quando al mattino si è svegliata nella loro casa di Notting Hill lui non c'era e lei davvero non sa dove sia finito, com'è sicura di non essere stata lei a chiudere il loro conto corrente dopo averlo svuotato, né è stata lei a fare il pieno all'auto. La donna che è stata ripresa dalle telecamere della banca e del distributore le assomiglia, ma non è lei. E, no, è sicura di non essere di nuovo vittima di un'amnesia selettiva come le era successo da bambina. Lo sa perché trent'anni prima aveva solo finto di non ricordare, ma questo all'ispettrice Alex Croft non può proprio dirlo.

Scritto nel 2019, titolo originale "I know who you are" (ben più calzante rispetto alla traduzione italiana), è il secondo romanzo pubblicato dall'inglese Alice Feeney.
Due anni fa avevo letto il primo, "Ogni piccola bugia", che avevo definito uno dei migliori thriller letti negli ultimi anni, cosa che non posso dire anche di questo.

Non è una stroncatura, anzi, la sufficienza c'è tutta e anche qualcosa di più, ma è inevitabile fare un confronto fra i due e la storia raccontata in "Ogni piccola bugia" è migliore: nella trama, nella costruzione, nei personaggi.

Quello che la Feeney ha (purtroppo) mantenuto e addirittura incrementato è l'abuso di frasi a effetto, soprattutto nella prima metà del libro, dove quasi ogni paragrafo si chiude con affermazioni come "Ormai abbiamo sempre gli occhi incollati agli schermi e non guardiamo più le stelle" o "Anche le tende sono nere e nascondono il mondo che c’è fuori, che a sua volta non vede noi"!

Anche in questo romanzo la voce narrante è quella della protagonista e di nuovo i capitoli si alternano fra il presente (Londra) e un passato (Galway, Irlanda) risalente a trent'anni prima (1987 vs 2017).
Una protagonista assoluta che è forse il punto debole del libro, con una timidezza e un'insicurezza che mal si associano a una persona che vive sotto alle luci dei riflettori.

Anche la tempistica difetta. Quando Aimee si racconta lo fa come se avesse alle spalle molti anni di matrimonio: 
"Avrei dovuto lasciarlo tanto tempo fa" oppure "Ripenso a Ben. Sapeva quanto adorassi le scarpe e me ne comprava un paio di marca a ogni compleanno e a ogni Natale".
Ma, insomma, si sono conosciuti e sposati meno di due anni prima, non è che lui abbia fatto in tempo a riempirle la scarpiera, eh...

Il libro avrebbe meritato maggiore attenzione nella rifinitura, ma ha il pregio di essere incalzante (grazie anche ai capitoli brevi) e di chiudersi con un gran bell'epilogo (da non confondersi con il finale, macchiettistico).

Reading Challenge 2024, traccia vagabonda marzo: Regno Unito

mercoledì 20 marzo 2024

"Madre d'ossa", Ilaria Tuti


Lago di Cornino (provincia di Udine), fine ottobre 2019. E' l'una del mattino quando Rachis Evaldi, vent'anni ancora da compiere, posta un video su TikTok: gli bastano appena 58 secondi per dire addio al mondo e alla vita.
E' l'alba quando Massimo Marini arriva sul luogo indicato dal ragazzo nel video: si è tagliato le vene con un antico pugnale, non ha avuto paura di andare fino in fondo, come succede a tanti.
Ma la vera sorpresa per l'ispettore è vedere il morto fra le braccia del commissario Battaglia.
La presenza di Teresa è inspiegabile: è passato meno di un mese dalla chiusura del caso precedente, un caso che ha scavato profondamente nel passato della donna che da allora è in congedo straordinario, non può essere  stata chiamata per questo suicidio. E, soprattutto, come ha fatto ad arrivare sul lago, con l'Alzheimer che mina sempre più la sua lucidità?
Infatti non riconosce né Marini, né Parri, né Lona. E quando le tolgono il ragazzo dalle braccia e la mettono a sedere su una roccia, lei si mette a giocare con i sassi, facendo una spirale, come se fosse una bambina. Come se ormai fosse persa per sempre.

Pubblicato a giugno dello scorso anno, "Madre d'ossa" è la sesta puntata della serie che ha come protagonista Teresa Battaglia ed è il seguito di "Ninfa dormiente": incredibile che questo non sia stato scritto né in copertina né nella sinossi. Andava fatto. I libri sono stati scritti a quattro anni di distanza (2019 vs 2023), ma i fatti che raccontano avvengono nel 2019 (aprile vs ottobre e novembre). In mezzo ci sono altri due romanzi (ambientati nell'intervallo di tempo fra i due), ma "Ninfa dormiente" e "Madre d'ossa" sono molto più che semplici storie collegate: una parte di quello che succede nel primo è autoconclusiva, ma l'altra parte prosegue nel secondo. Non si tratta solo di qualche rimando. Leggere "Madre d'ossa" senza aver letto "Ninfa dormiente" significa non capire un buon 80% del libro e non si può dare per scontato che tutti conoscano l'opera omnia di Ilaria Tuti.

Non solo. I due libri andrebbero letti in rapida successione: sono solita farmi dei riassunti, più o meno corposi, dei thriller seriali, ma nonostante quei preziosissimi appunti essendo passati quasi cinque anni dalla lettura di "Ninfa dormienteho avuto qualche problema nel dare un senso a quello che leggevo in "Madre d'ossa" (appunti, tra l'altro, che avrebbero giovato anche all'autrice per non scordare che in "Ninfa dormiente" aveva anticipato che Marini sarebbe diventato padre di una bambina che avrebbe chiamato Aniza, bambina che nasce durante i fatti di "Madre d'ossa" con il nome di Zoe!).

E se "Ninfa dormiente" non mi era piaciuto, questo se possibile mi è piaciuto ancora meno ed ecco un altro motivo per cui andava evidenziato il collegamento: per evitare una seconda lettura spiacevole a quelli che - come me - pensavano di aver comprato un giallo e si sono trovati in mano una specie di fantasy incentrato sull'esoterismo.
La frase migliore del romanzo è quella in cui Marini definisce "stronzate" tutte queste pratiche, fra riti, sacrifici, sciamane e altro.

La cosa più bella, invece, è senz'altro il lago di Cornino, nella riserva naturale omonima che si trova in provincia di Udine, a Forgaria nel Friuli, il posto scelto da Rachis per suicidarsi, quindi la scena di apertura del romanzo.


Leggendo i libri della Tuti si ha spesso l'impressione di avere in mano una guida del Friuli Venezia Giulia, ma cercare i posti citati su Google immagini vale (quasi) sempre la pena (e poi apprezzo sempre molto il suo attaccamento al territorio).

Reading Challenge 2024, traccia annuale marzo, Festival di Sanremo: abbino il libro a "Ieri ho incontrato mia madre" (1964)


venerdì 15 marzo 2024

"I ricchi", Joyce Carol Oates

 

Fernwood (Stati Uniti), gennaio 1960. Un auto parcheggia davanti a una villa. E' una Cadillac gialla, lussuosa e chiassosa come i suoi proprietari, gli Everett, che stanno per visitare... la nona? L'undicesima? Forse la quattordicesima casa in appena due giorni. Richard, 10 anni, ha perso il conto.
La madre - la bellissima Natashya, che vorrebbe essere chiamata Nadia dal figlio, nome che lui da piccolo non riusciva a pronunciare trasformandolo definitivamente nel più semplice Nada - ha trent'anni, è una scrittrice di nicchia e ha respinto tutte le precedenti proposte dell'agente immobiliare.
Il padre, Elwood, è un dirigente d'azienda ricco di famiglia, quel genere di ricchezza che dà l'illusione di comprare anche i sentimenti della propria moglie.
Ma non la sua fedeltà.

Scritto nel 1968, è il terzo romanzo dell'autrice e il secondo (di quattro) di quella che viene definita "la grande epopea americana", di cui l'anno scorso avevo letto il primo titolo, "Il giardino delle delizie".

"I ricchi" mi respingeva a causa della donna impellicciata in copertina. Per altro avrebbero potuto fare lo sforzo di cercare l'immagine di una donna dai "capelli molto scuri, quasi neri" come quelli di Natashya...

Se questo è un dettaglio per odiosi precisini come me, ben peggiore è l'aver scritto nella sinossi "l'America che (la Oates) ha già raccontato in Una famiglia americana", come se quel romanzo fosse precedente a questo, mentre è vero il contrario. Non solo: va considerato anche che fra le due opere passano ben 28 anni e che il primo è stato scritto da una autrice trentenne semi esordiente, il secondo da una quasi sessantenne che aveva già pubblicato ventiquattro romanzi e innumerevoli altri titoli fra saggi, racconti, poesie e opere teatrali, con premi e onorificenze varie.
Non si può definire "I ricchi" un'opera acerba, perché anche qui la scrittura della Oates raggiunge un livello a cui la maggior parte dei suoi colleghi non arriva neppure a fine carriera, ma qualche differenza c'è.

"Ero un assassino bambino"

La voce narrante è quella del piccolo Richard, ormai cresciuto, ed è così che inizia il romanzo, un monologo in cui si rivolge spesso ai lettori.

"Leggere della mia sofferenza farà bene alle vostre anime. Vorrete sapere quando ebbe luogo il mio crimine, e dove."

Una promessa che crea grandi aspettative, ma che nel corso della lettura viene quasi dimenticata mentre ci si abbandona ai ricordi e alle ricostruzioni di Richard, di quando era piccolo fino ai suoi undici anni, cresciuto patendo la carenza di considerazione da parte di un padre che sembra essere interessato solo a ciò che può comprare ("I suoi vestiti erano costosi perché non aveva idea che fossero disponibili vestiti più economici") e di una madre che prende le distanze da lui ("Ma, mamma" dissi. "Per favore, non chiamarmi così" disse lei), in quel sobborgo dove tutto è ricco, i vicini, gli amici, la scuola.

"Fu una lunga, meravigliosa passeggiata. Ah, la primavera a Fernwood! Tutto, tutto è meraviglioso a Fernwood! Raccontarvi dei pendii erbosi, delle file di sempreverdi (piantati in piena crescita), del verde di giardini e cortili, dei vialetti ovali; raccontarvi dei sontuosi piaceri delle loro case squadrate, degli stagni per i pesci, delle cameriere di colore visibili attraverso le finestre, occupate a lavare vetri già perfettamente puliti; raccontarvi di queste cose sarebbe come scrivere un altro Paradiso, ma, come ben sapete, noi scrittori siamo più preparati a parlare dell’Inferno e del Purgatorio. Di fronte alle rare meraviglie dell’America ricca uno scrittore può fare ben poco: le sue «critiche» sono solo frutto dell’invidia, lo sanno tutti."

Richard, un bambino invisibile per occhi ricchi e superficiali, genitori e non solo, persone per le quali il bisogno di apparire assume un'importanza spropositata, che scavalca tutto, anche il buon senso. E, aneddoto dopo aneddoto (dove c'è spazio per citare anche la mia Riviera Ligure), ci porta a dare un senso alla frase di apertura.

E lì il romanzo raggiunge il massimo livello della sua drammaticità e della sua beltà.

Reading Challenge 2024, traccia di marzo: libri con protagonista ricca/o

martedì 12 marzo 2024

"Amabili resti", Alice Sebold

 

Norristown (Pennsylvania), 6 dicembre 1973. Susie Salmon ha 14 anni e per tornare a casa da scuola ha scelto di tagliare per il campo di granoturco. E' lì che incrocia il signor Harvey, il vicino strambo che abita nella casa verde. Ed è per curiosità, ma anche per educazione, che accetta di entrare con lui nel nascondiglio che ha costruito nel campo: vuole proprio vedere come ha fatto a scavare una tana a dimensione umana senza far crollare la terra attorno. Non sa ancora che George Harvey è un serial killer e che lei sarà la sua prossima vittima.
Lo scoprirà quando, dopo la morte, salirà nel suo Cielo. Da lassù vedrà tutto quello che succede sulla Terra, alla sua famiglia, al suo cane, al ragazzino a cui aveva appena dato il suo primo bacio, ai suoi amici e al suo assassino.
E ci racconterà tutto.

Alice Sebold, nata in Winsconsin nel 1963, ha all'attivo soltanto tre romanzi. Nel 2019 avevo letto il primo, "Lucky", l'autobiografia in cui racconta lo stupro subito quando aveva 18 anni. Quindi avevo subito comprato, "Amabili resti", certa che lo avrei letto in tempi brevi, e invece sono trascorsi quasi cinque anni: è senza dubbio il libro che ho preso più spesso in considerazione collegandolo a una delle tracce della Challenge finendo ogni volta per preferirgli un altro titolo.

La storia che racconta è famosissima e, immaginandolo carico di una tristezza indicibile, l'ho evitato più o meno consapevolmente.
E triste lo è, ma in maniera diversa da quello che mi aspettavo. Susie racconta la sua uccisione con un certo distacco e il suo ritrovarsi in un'altra dimensione, potendo usufruire di una certa continuità, rende la morte un passaggio, non l'evento definitivo che invece è.

"Ghost" è uno dei miei film preferiti e ho guardato tutte le stagioni di "Ghost Whisperer", ma - come mio marito si è visto "The Walking Dead" senza arrivare a credere all'esistenza degli zombie - la tematica dei fantasmi non ha mai fatto vacillare la mia convinzione che dopo la morte non ci sia assolutamente nulla.

Anche per questo trovo ridicola la frase con cui E/O ha chiuso la sinossi: "E Susie aiuterà tutti, i lettori per primi, a riconciliarsi con il dolore del mondo". Ma non scherziamo. Non riescono a essere convincenti credenze millenarie, figurarsi la favoletta inventata per un libro, dove ogni defunto fluttua in un suo personalissimo Cielo in cui basta desiderare una cosa per ottenerla, senza perdere di vista le persone amate o chiunque si voglia osservare.

Di religioso la Sebold si è limitata a piazzare una (evitabilissima) statua di San Francesco all'ingresso di questo aldilà, ma il suo Cielo ha troppi punti in comune con quel Paradiso a cui non credo.

Il meccanismo narrativo è comunque particolare e accattivante. Mi aspettavo, e avrei voluto, una maggiore rilevanza della vicenda criminale vera e propria, ma questo è un libro di narrativa, non un giallo, che punta sui legami ed è nella figura del padre che si concentra la grande sofferenza della storia, mentre il personaggio della madre di Susie ha molti punti in comune con quella dell'autrice, da lei descritta in "Lucky" e c'è ben poco di positivo nelle due donne.

In definitiva, dopo averlo tenuto a distanza per tanti anni, il libro ha deluso le mie aspettative perché non mi ha fatta stare male come temevo.
Ma soprattutto per le esagerazioni dei capitoli finali.


In "Ghost" la Goldberg riesce a far ridere espellendo dal suo corpo l'anima di un defunto durante l'affollata seduta spiritica ed è potente quando permette a Swayze di impossessarsi di lei per fargli riabbracciare la Moore, ma Susie che prende in prestito il corpo di Ruth è un eccesso che forse un animo romantico può apprezzare, mentre ai miei occhi rappresenta un finale macchiettistico per un libro che avrebbe meritato una conclusione più profonda e concreta.

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venerdì 8 marzo 2024

"La signora in tweed", Charles Exbrayat

 

Londra, anni Cinquanta. Imogene McCarthery - prossima ai cinquant'anni, un metro e settantotto centimetri di altezza, muscolosa come tanti uomini possono solo sognare di essere, soprannominata red bull dalle colleghe (non è chiaro se per la chioma rosso fuoco o se per il suo caratterino ancora più incandescente) - da vent'anni lavora come dattilografa negli uffici dell'Ammiragliato. Da altrettanti anni, proprio a causa del lavoro, ha dovuto lasciare le Highlands e trasferirsi a Londra, sopportando la convivenza con gli inglesi.
Cosa non facile "
dal momento che per miss McCarthery si iniziava a essere stranieri a partire da Glasgow".
Ma adesso deve tornare a casa, non per una vacanza, ma per lavoro: sir David Woolish, direttore dell'Ammiragliato, nonché capo dell'Intelligence Department, l'ha arruolata affidandole il delicato incarico di portare dei documenti segreti a un funzionario governativo momentaneamente alloggiato proprio a Callender, perla della contea di Perth e cittadina natia di Miss McCarthery, che parte immediatamente prendendo la sua missione molto (molto) sul serio, certa di sbaragliare il nemico come fece Robert Bruce con gli inglesi il 24 giugno 1314 a Bannockburn!

Curioso che un personaggio come Imogene McCarthery sia venuto in mente a un francese. Charles Exbrayat, nato e morto a Saint-Etienne (1906 - 1989), ha scritto moltissimi romanzi. Questo - il primo a essere stato tradotto in italiano - è anche il primo di sette della serie che ha come protagonista questa indomita scozzese: sebbene la storia sia ben lontana dal XIII secolo e non sfiori nessuna battaglia, è quasi impossibile leggerne le imprese senza pensare a William Wallace.

Se a distanza di quasi trent'anni dall'uscita "Braveheart" continua a essere il mio film preferito, "La signora in tweed" non si avvicina neppure alla lista dei libri più amati, ma è stata ugualmente una letturina piacevole e divertente, che mi lascia la speranza di veder tradotti anche i successivi sei titoli della serie.

Avevo letto di un paragone fra Exbrayat e Paul Gallico ed effettivamente delle similitudini nei loro lavori ci sono: due protagoniste atipiche che si mettono in moto per portare a compimento una missione, con tenacia e cipiglio. 
E' probabile che il francese per il suo libro (pubblicato nel 1959, quindi un anno dopo rispetto a "La signora Harris") abbia preso spunto dall'idea del collega americano, ma Imogene McCarthery e Ada Harris sono particolari in modo diverso, come sono diverse le avventure che si trovano a vivere.

"La signora in tweed" ha una partenza folgorante, un primo capitolo eccezionale e un secondo molto piacevole, dove vengono raccontati passato e presente della vita di Imogene e descritto il suo temperamento, reso particolare dal fervente amore per la Scozia, attaccamento tramandatole dal defunto padre, che genera durante le 192 pagine, ma soprattutto all'inizio, situazioni esilaranti, in particolare per gli 
attacchi ai Windsor, usurpatori dei Tudor.

Chissà cosa direbbe Imogene sapendo che gli storici negli ultimi anni hanno stabilito una connessione fra i Windsor  e i Tudor: Elisabetta II, infatti, sarebbe stata una discendente di Margherita di Scozia, sorella di Enrico VIII e nonna di Maria Stuarda, regina di Scozia, davanti alla cui statua conservata nell'abbazia di Westminster Imogene si inginocchia chiedendo "
la pazienza e il coraggio necessari per vivere un giorno in più tra gli inglesi".

Dal terzo capitolo la storia ha perso parte della sua attrattiva, ma questo a causa della mia personale avversione verso spionaggio e inseguimenti: "La signora in tweed" è e resta un romanzo divertente, ma se Imogene parte dicendosi "pronta a morire per la Corona!", in realtà è lei quella che finisce per mietere cadaveri in un incessante susseguirsi di equivoci e situazioni strampalate.

Ed ecco la piccola Callander, meno di tremila abitanti, comunemente considerata la porta di accesso alle Highlands:


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