giovedì 30 dicembre 2021

"Lo strano caso di Maria Scartoccio. Ovvero, un brutto fatto di cronaca a Sestri Ponente", Renzo Bistolfi



Sestri Ponente (Genova), novembre 1956. Su un cavedio formato da tre palazzi all'incrocio fra via D'Andrade e via Garibaldi (l'odierna via Sestri) si affacciano le cucine dei vari appartamenti. Al primo piano ci sono la Landa, vedova Scatizzi - con quella schiena dritta del figlio Ermete - e la Brigida, vedova Durante, con la sua dentiera troppo grande che la atteggia in un sorriso perenne così atipico per una genovese; al secondo piano due zitelle, la Delaidìn - che ha sconfitto la sua invalidità imparando a muoversi per casa usando le braccia - e la Scartoccio - che ha sempre una cattiva parola per tutti; e al terzo ci sono la Rosa - vedova Calcagno, che con la figlia Pinuccia ha messo su un laboratorio di sartoria in casa - e la Filomena Della Casa, detta Nenna e anche Tre Culi, che un marito non lo ha mai avuto, ma di figli sì, almeno cinque.
Nel cortile in fondo al cavedio ci sono i tavolini dell'osteria di Pietro - detto Piero - e in faccia al palazzo di via D'Andrade c'è la friggitoria di Battista, il farinotto, che fa la farinata più buona di tutta Sestri.
Ed è lui la mattina del 6 novembre a chiamare carabinieri e Croce Verde perchè sta succedendo qualcosa di strano in casa della Scartoccio: dai due finestroni esce del vapore e viene giù acqua calda!
Non che sia preoccupato per quell'arpia, la padrona di tutti i muri che il 5 del mese passa da ogni "scito" e da ogni bottega a riscuotere la pigione, offendendo e minacciando tutti, ma dove non arriva la preoccupazione ci pensano la curiosità e la speranza: vuoi vedere che se la sono tolta dai piedi?

Renzo Bistolfi (che ambienta le sue storie nel quartiere confinante con il mio) è uno di quegli autori di cui vorrei leggere almeno un romanzo all'anno e con lui ho centrato l'obiettivo proprio per un pelo (con altri è andata peggio), cosa che mi ha permesso di chiudere in bellezza le mie letture del 2021.

Il giallo è un gialletto, ma intricato il giusto e ben sviluppato, con le indagini dei carabinieri che passano in secondo piano rispetto a quelle (divertenti) del vicinato, vicinato che nel suo insieme è il protagonista di tutto ciò che accade.

I romanzi di Bistolfi sono per me un tuffo nei ricordi: nel '56 mancava ancora parecchio alla mia nascita, ma il gergo e i ragionamenti dei suoi personaggi sono comunque quelli in mezzo a cui sono cresciuta.

Quel modo di esprimersi per paragoni, che ha fatto la fortuna di molti comici genovesi (Villaggio, Grillo, Crozza...), era (vorrei poter dire è, ma purtroppo è una delle abitudini che le nuove leve stanno perdendo) il nostro normale modo di comunicare, usato non per fare ridere, ma per rendere l'idea.

"Le confidenze voi ve le tenete come il colino si tiene l'acqua dei corzétti"

Nelle note dell'autore Bistolfi racconta che il cavedio descritto nel libro è quello dove affacciava la cucina dell'appartamento di sua nonna e condivide con il lettore i ricordi di quando andava a trovarla ritrovandosi catapultato in quel microcosmo dove la vicinanza delle finestre portava a una forzata conoscenza e alla condivisione della quotidianità, nel male... e nel bene, "perchè oggi, spesso, ciò che chiamiamo discrezione è solo indifferenza, che ci consente di ignorare i guai altrui".

Perchè si sa, "un buon vicino vale più di cento parenti".

Erano così tanti anni che non sentivo che due ragazzi "si parlano" da aver dimenticato che un tempo si diceva così per indicare una coppia non ancora ufficialmente fidanzata!
Le letture di Bistolfi sono piacevoli e leggere, ma chi non è genovese si perde tutto il gusto a noi danno espressioni come "tempo mollo" o "ohi me mi"...

Il libro si chiude in un finale più adatto a una commedia anni '50 che non a un giallo, ma a Bistolfi vorrei tanto chiedere una cosa: che fine fa il cagnetto di Maria Scartoccio???

Reading Challenge 2021: questo testo risponde all'undicesima traccia annuale, "tre libri scritti da autori che non hanno rivelato la loro data di nascita"
 


 

lunedì 27 dicembre 2021

"Fiore di roccia", Ilaria Tuti



24 maggio 1915: l'Italia entra in Guerra a fianco dell'Intesa.

Già dal mese successivo gli Alpini dislocati sulle Alpi Carniche chiedono aiuto alle donne di Timau (ultimo paese prima del confine) e delle zone limitrofe: calzando gli scarpetz e conoscendo quelle montagne come nessuna pratica militare può insegnare, possono risalire per trasportare a spalla nelle loro gerle le medicine, il cibo e le munizioni necessarie a chi combatte al fronte.
Nessuno può obbligarle a mettere a repentaglio le loro vite nel mirino dei cecchini austriaci, ma accettano diventando eroine di guerra presto dimenticate.

Con questo romanzo scritto lo scorso anno e vincitore, poco più di dieci giorni fa, della 37ma edizione del Premio Letterario Nazionale di Rapallo per la Donna Scrittrice, Ilaria Tuti ha riportato alla memoria le donne della sua terra, le Portatrici carniche che lo Stato non ha ripagato come avrebbe dovuto per il sacrificio che ha loro chiesto.

La storia è molto romanzata, nelle note finali l'autrice riconosce di aver condensato in pochi mesi fatti storici in realtà accaduti nell'arco di due anni (questo avrei preferito leggerlo prima di affrontare il romanzo perchè, non sapendo che la cosa era voluta, nel corso della lettura mi sono innervosita non poco scambiando per errori quelle che in realtà erano "licenze poetiche" consapevoli) e che la protagonista - la ventenne Agata Primus - è un personaggio di fantasia ispirato a Maria Plozner Mentil, simbolo delle Portatrici.

Un saggio con questo tema lo avrebbe letto solo un numero limitato di persone interessate all'argomento, appassionati di storia, ma anche di guerra, strategie militari, ecc...

La firma di Ilaria Tuti, invece, ha fatto qualcosa di bellissimo, portatadolo nelle librerie dei consumatori di narrativa e facendo sicuramente scoprire a molti come gli episodi storici possano essere anche più appaganti, e sicuramente più interessanti, della fiction.

La Tuti sa scrivere e questo libro è straziante per quello che racconta. Credo si sia lasciata prendere un po' troppo dal personaggio di Agata, dubito fortemente che un civile (per di più donna) potesse (e possa) rivolgersi come fa lei a un militare (per di più capitano), ma sa descrivere la fame e il freddo patiti da civili e militari, la paura e gli orrori della guerra con una capacità descrittiva che arriva a far sentire in colpa chi legge perchè vive in un luogo e in un tempo di pace.

Le pagine più commoventi sono proprio quelle delle note da cui emerge il profondo attaccamento dell'autrice alle sue radici, ma tutto il romanzo prende il cuore perchè sono cose accadute davvero, a prescindere dai nomi.

"Chi può fare questo a un uomo?"

"Chi? Un altro uomo
"

Merita una visita (approfondita) il sito del Museo della Grande Guerra di Timau, citato anch'esso nelle note.

Reading Challenge 2021: questo testo risponde alla traccia cascata di dicembre (un libro con della neve in copertina)

 

venerdì 24 dicembre 2021

"Sex in the city... e adesso?", Candace Bushnell



The Village, Hamptons, 2018. E' l'anno in cui Candace Bushnell ne compirà 60 e lei (come me) odia i compleanni delle decine! Perchè quando cambia il primo numero dell'età è impossibile non cedere alla tentazione di fare un bilancio della propria vita. E, per quanto questa possa essere serena e appagante, man mano che le decine avanzano tutto il bello che abbiamo viene offuscato da una certezza assoluta: siamo sempre più vecchi.
Se poi stai arrivando al traguardo dei sessant'anni da single perchè non hai ancora trovato (o perchè hai perso) l'uomo giusto che cosa puoi fare? La Bushnell ha scritto questo libro.

Libro che mi sono precipitata a leggere quando ho saputo che su Sky stava per iniziare il sequel di "Sex and the city", serie TV che ho amato alla follia, di cui avevo collezionato tutti i DVD e che non mi dispiacerebbe affatto rivedere di nuovo.

Fretta sprecata la mia perchè appena ho iniziato la lettura mi sono resa conto che il libro non aveva come protagoniste Carrie, Samantha, Miranda e Charlotte, bensì l'autrice, ed era ovvio che fosse così perchè lo era anche nel primo libro (che per altro non ho letto, come non ho letto il prequel
"Il diario di Carrie", anche di questo ho solo visto la serie TV).

Per i pochissimi che non lo sapessero, nel 1994 il "New York Observer" affida a Candace Bushnell una rubrica fissa dove la futura scrittrice racconta della sua vita newyorkese, rubrica che viene chiamata "Sex and the city". Il successo è così grande che due anni più tardi la Bushnell scrive il libro omonimo. Nel 1995 era uscito "Il diario di Bridget Jones" e i due romanzi danno vita a un nuovo genere, i chick lit (che non disdegno affatto).

Nel 1998 HBO lancia la prima (e l'unica a ispirarsi fedelmente alla rubrica del periodico) delle sei stagioni della serie TV, dove Candice Bushnell viene sostituita dal suo alter ego, Carrie Bradshaw.

Dell'autrice avevo letto altri due romanzi, "Bionde a pezzi" e "Lipstick Jungle" e non li ricordo come dei capolavori, ci sono chick lit decisamente migliori.

"Sex in the city... e adesso?", scritto nel 2019, non può rientrare nella categoria per via dell'età dei vari personaggi, ma lo stile di scrittura resta quello, cosa che rende ancora più deprimenti gli argomenti che tratta.

Inizia con una botta di tristezza definendo di mezza età le persone attorno ai 50, cosa tecnicamente vera, anche se io (cinquantaduenne) di mezza età ancora non mi ci sento!

E poi comincia a raccontare la sua vita, dalla morte del suo cane al marito che dopo tre mesi le chiede il divorzio con il conseguente trasferimento nel Village dove ritrova cinque vecchie amiche, Sassy, Marilyn, Queenie, Kitty e Tidla Tia. Ma, pur parlando parecchio delle amiche, non c'è nulla del cameratismo delle quattro della serie TV e non perchè queste hanno vent'anni in più, anzi. Non è un romanzo corale, solo una serie di episodi raccontati dall'autrice.

Dal momento in cui le viene commissionato un pezzo di analisi di Tinder entrano in ballo gli uomini, o meglio, i discorsi sugli uomini, sul loro egocentrismo, sul loro narcisismo, sul loro infantilismo. Fa un'analisi degli uomini liberi over 50 (o più): c'è il figo sulla piazza, l'anziano ancora in gioco, il marito-bambino e poi il MNB (mio nuovo boyfriend) che a volte può diventare il MNM (mio nuovo marito).

Gli acronimi (che tendo a detestare) non risparmiano neppure le donne e per noi la Bushnell crea l'FME: la follia di mezza età. E lì si va su milf, coguar, catnip, cubbing, ecc, ecc... ma quello che racconta, probabilmente per la forzatura nel voler essere divertente, a me ha alternativamente immalinconita o annoiata, tanto che un pomeriggio mi sono risvegliata di botto quando il Kindle mi è caduto dalle mani: in questo periodo sono particolarmente stanca, ok, ma io non dormo mai di pomeriggio, mai mai, neppure quando ci provo!

Reading Challenge 2021: questo testo risponde alla traccia compleanno di dicembre (l'autrice è nata il 1° dicembre 1958)
 

martedì 21 dicembre 2021

"Il quaderno dell'amore perduto", Valérie Perrin


Milly (Borgogna), 2013. Justine Neige ha 21 anni e da tre lavora come aiuto infermiera alla casa di riposo "Le ortensie". A differenza dei suoi coetanei, lei non sogna di andarsene da questo piccolo villaggio di appena 349 abitanti e, soprattutto, a differenza della maggior parte di loro, lei ama le persone anziane.
Una l'ha conquistata in modo particolare, l'ospite della camera 19: Hélène Hel, classe 1917, una donnina dagli occhi azzurri convinta che ogni persona abbia il proprio uccello che la accompagna nel corso di tutta la vita vegliando su di lei e il suo è un gabbiano.
La sua di vita è stata lunga, ha 96 anni e tante cose da raccontare a questa bizzarra ragazza a cui a un certo punto non basta più solo ascoltarla: allora compra un quaderno azzurro e inizia a scrivere la storia di Hélène.

Valérie Perrin ha pubblicato questo suo primo romanzo nel 2015, vale a dire tre anni prima di "Cambiare l'acqua ai fiori", che avevo letto l'anno scorso: è difficile per me stabilire quale mi sia piaciuto di più e dovendo per forza scegliere allora penalizzo questo perchè nel secondo l'autrice ha perfezionato la tecnica dei salti temporali, ma si tratta del voler cercare il pelo nell'uovo perchè le (non la: le) storie raccontate ne "Il quaderno dell'amore perduto" sono davvero belle.

Le vicende dei due romanzi sono completamente diverse, ma ci sono similitudini di altro genere, partendo dall'ambientazione. Ma la caratteristica più evidente che li accomuna è la tristezza: chi cerca letture di svago deve stare alla larga da questa autrice. La tragedia, più o meno grande, non risparmia quasi nessuno dei suoi personaggi e se questa volta non è riuscita a farmi versare neppure una lacrima, mi ha comunque trasmesso un certo grado di malinconia.

Ma non ho vissuto questa sensazione in maniera negativa: è un gran bel libro e parte della sua bellezza la deve proprio al fatto di essere triste.

Data la mia predilezione per la concretezza avrei forse evitato l'immagine del gabbiano "angelo custode", senza il libro sarebbe stato altrettanto bello, ma sono sicura che la maggior parte dei lettori abbia apprezzato questo particolare.

Bello il modo in cui la Perrin racconta gli anni della guerra e le sue atrocità: certo neppure lei è la Allende, la storia rimane lo scenario senza diventare la protagonista, però le sue parole mi sono piaciute.

Quello in cui è davvero bravissima è il modo che ha di piazzare i "colpi di scena", espressione che avevo già usato per "Cambiare l'acqua ai fiori" anche se si adatta poco a questo genere di narrazione, ma che rende l'idea perchè in entrambi i libri a un certo punto vengono svelati dei fatti che danno veramente un colpo forte a chi legge e quando i piani temporali da due diventano tre è davvero difficile staccarsi dalle pagine.

PS: avrebbero dovuto usare la traduzione del titolo originale, "Les oubliés du dimanche", "I dimenticati della domenica", assolutamente perfetto! Mi domando se gli editori italiani quando decidono di cambiare pecchino più di arroganza o di stupidità...

Reading Challenge 2021: questo testo risponde alla nona traccia annuale, "cinque libri svuota wish list"
 

domenica 19 dicembre 2021

Reading Challenge 2022

Mancano meno di due settimane all'inizio del nuovo anno... e della nuova Challenge! Quella a cui parteciperò sarà - ovviamente (mi piace troppo!) - quella organizzata da Claudia.

Una delle cose che amo della sua Challenge è che ogni anno si inventa qualcosa di nuovo, impossibile annoiarsi!
Nel 2022 non cambieranno solo le tipologie delle tracce, ma proprio il loro meccanismo rispetto agli ultimi tre anni. Cliccando qui o sul banner in alto potete leggere le spiegazioni sul suo blog ed eventualmente iscrivervi, magari nella mia casata, L'Ordine della Fenice (anno nuovo, casata nuova...):


Negli anni passati per ogni traccia si potevano leggere tutti i libri che si volevano, mentre il prossimo anno lo si potrà fare solo per la traccia bonus.
Per le altre si potrà leggere solo un libro per traccia e sarà difficilissimo scegliere quale, ma la ricerca è la parte più elettrizzante e il poter accedere alla seconda parte delle tracce solo dopo aver soddisfatto le prime cinque credo proprio che sarà un ottimo stimolo per uscire dalla propria comfort zone, che è sempre lo scopo principale delle sfide di lettura.

 

giovedì 16 dicembre 2021

"Tre cadaveri", Raffaele Malavasi

Genova, inizio autunno 2016. C'è un serial killer in città? E' quello che l'ispettore capo Gabriele Manzi si trova a pensare alla vista del primo cadavere. Perchè chi ha ucciso quella donna ci ha perso del tempo, non si è limitato a spararle o ad accoltellarla: ha cercato il posto adatto, si è procurato il necessario e ha preparato la scena. Poi l'ha portata lì e ha messo in pratica la sua macabra rappresentazione. I vari CSI hanno insegnato a tutti che chi agisce in questo modo segue una sua logica malata e che si ferma solo quando viene catturato.
La sezione omicidi della Squadra Mobile di Genova non ha più quello che fra i suoi elementi assomigliava di più ai famosi profiler dell'FBI, ma Manzi sa che vale la pena cercare di convincere Goffredo "Red" Spada a collaborare ancora con loro, almeno per questa volta.

Mi ero ripromessa di stare alla larga dai libri che la Newton Compton etichetta in copertina come "un grande thriller" (praticamente tutti) e se non fosse stato per la segnalazione di una compagna di casata mi sarei persa anche questo che bello lo è davvero.

Opera prima scritta da Raffaele Malavasi - mio concittadino e palesemente tifoso blucerchiato come me - nel 2018, meriterebbe una serie TV tutta sua, più di "Petra" e di "Blanca", tratte da romanzi che non hanno nulla a che fare con Genova.

Malavasi non si sposta mai dalla nostra città e sicuramente conoscere e riconoscere ogni singolo luogo citato, ritrovare il nostro modo di parlare (alla fine c'è un brevissimo dizionario italiano-genovese per i foresti), di ragionare e di relazionarci con gli altri ("I genovesi, persone diffidenti, abituate a sospettare di tutto e di tutti, anche della propria madre. Cosa poteva aspettarsi da una città popolata da gente simile?"), oltre a buon 80% di cognomi genovesi (incredibilmente manca Parodi!), mi ha reso ancora più piacevole e intrigante la lettura, ma sarebbe stato un buon thriller anche se fosse stato ambientato in un'altra città (io però apprezzo sempre quegli autori che non snobbano le proprie origini).

La storia può essere giudicata da discretamente a molto originale (dipende da quanti thriller si sono letti nella vita...) ed è molto ben costruita. Le varie situazioni man mano che si procede con la lettura si spiegano e/o si incastrano tutte, qualcosa è intuibile (direi volutamente), ma si arriva a un finale convincente che ha nella sua completezza l'effetto sorpresa.

Lo stile è veloce, fluido, i tanti capitoli sono uno stimolo a procedere ed è particolare la scelta di collegarli fra loro usando la stessa parola o una simile per chiuderne uno e per iniziare quello successivo (da "...superarla del tutto." a "Tutto ciò che Manzi...", da "...davanti agli occhi." a "Dai un'occhiata qua...", ecc).

Mi ha fatto sorridere il personaggio davvero poco credibile della giornalista d'assalto de "Il Secolo XIX" (quotidiano storico di Genova che ormai non viene neppure più stampato qui, bensì a Torino), mentre mi ha intristita la piccola parte ambientata all'ospedale Galliera, quello dove è morta mia madre.

E una frase messa in bocca a un personaggio che fa l'architetto mi ha fatto venire la pelle d'oca, soprattutto per la sua tempistica:

"Se io progetto male un edificio o un ponte e quello crolla, vado in galera"

Il libro è stato pubblicato il 19 luglio 2018: 26 giorni dopo è crollato il ponte Morandi.

Reading Challenge 2021: questo testo risponde all'undicesima traccia annuale, "tre libri scritti da autori che non hanno rivelato la loro data di nascita"
 

martedì 14 dicembre 2021

"Mia madre mi odia", Leyla Ziliotto



Ho un unico, nitidissimo ricordo di Leyla neonata in braccio a suo padre. Era il 1995 o giù di lì e stavamo aspettando l'ascensore nell'atrio del palazzo dove ho abitato fino al '98 e dove aveva vissuto anche lui fino a quando si era sposato e trasferito nella parte bassa di Sampierdarena. Siamo quindi stati vicini di casa per molti anni, perdendoci completamente di vista quando - nel '98, appunto - mi sono a mia volta sposata e trasferita in un altro quartiere, Pegli.
Molti anni dopo era stata una sorpresa scoprire che quella neonata da adulta aveva sposato il giornalista sportivo più famoso delle emittenti televisive genovesi, quel Maurizio Michieli, sampdoriano come me, che ho letto l'anno scorso.

Il libro di Leyla lo avrei comprato a prescindere dall'argomento, ma il titolo ha indubbiamente accresciuto la mia curiosità. Amazon lo classifica come narrativa contemporanea e, infatti, la protagonista si chiama Sephora, non Leyla, così come sono diversi i nomi di tutti gli altri personaggi, ma è fortemente autobiografico, al punto che leggerlo mi ha creato molto disagio, mi sono sentita un'intrusa nella vita non tanto dell'autrice, che non ho mai conosciuto davvero, quanto del mio ex vicino di casa e dei genitori di lui. E non mi è piaciuto.

Come non mi è piaciuto il libro, il peggiore degli ormai più di cento letti quest'anno. Su Amazon ha 36 votazioni e cinque stelline piene, cosa a cui arrivano solo gli autori minori. Quelli grandi, anche quelli immensi, nel mucchio ricevono sempre qualche stroncatura dai lettori. Gli esordienti, invece, vengono incensati e non ci vuole molto a intuire che il merito va a recensioni amiche, che sono anche quelle che si distinguono per l'eccessivo entusiasmo.

Io l'ho trovato penosamente negativo. La storia di Sephora è quella di una figlia nata da una coppia mista che dichiara di essere odiata dalla propria madre. In poco più di cento pagine (per fortuna è un libro breve) descrive più volte le stesse situazioni con questa cattiva madre, priva di affetto verso figlia, figlio e marito, ma capace di abbindolare l'intero vicinato e i giudici (anzi, le giudici) che dalla separazione e fino all'età adulta dei due figli si trovano a dover decidere le sorti della famiglia nelle aule di tribunale.

Quanto ci sia di vero in questo non lo so, ma il libro - scritto in maniera confusa, paradossalmente antiquata, pesante, inutilmente volgare e con un uso assurdo e mal riuscito di sei o sette frasi tratte da celebri canzoni di Fabrizio De Andrè - trasuda odio in ogni paragrafo diventando subito fortemente disturbante.

Per quanto Sephora si indigni nel sentirsi considerare razzista e misogina, è questa l'immagine che dà di sè. Il messaggio che questo libro vuole trasmettere è che non tutte le madri del mondo sono amorevoli e che non tutte le donne sono vittime, ma se questo è vero, non si può ignorare che si tratta di una sparuta minoranza e che una donna arrivi ad attaccare le mogli e madri separate definendole "assatanate di stabilità economica gratuita" mi fa parecchio schifo.

Citando un manifesto contro la violenza sulle donne ne parla in questi termini: "Non era altro che l'ultima trovata nazifemminista allo scopo di screditare gli uomini da una parte e dall'altra aumentare il credito dell'ultra-iper-estra vittimizzato genere femminile"!

Il libro è pieno di deliri di questo tipo, un insulto verso le tante, troppe donne vittime di abusi e violenze. Ma questa ragazza ha mai sentito parlare dei femminicidi? Io non so quanto sia stata brutale sua madre e, avendolo conosciuto, non stento a credere che il padre sia la persona meravigliosa che descrive, così come i nonni paterni, ma arrivare ad accusare la società italiana del XXI secolo di disparità di trattamento fra uomo e donna a favore delle donne significa vivere fuori dal mondo.

"Che brutta razza, le donne"

No, Leyla, non è brutta la razza: sono brutte certe donne. Ed è brutto il tuo libro.

Reading Challenge 2021: questo testo risponde all'undicesima traccia annuale, "tre libri scritti da autori che non hanno rivelato la loro data di nascita



lunedì 13 dicembre 2021

"Ritratto in seppia", Isabel Allende


Santiago (Cile), 1910. Aurora del Valle ha trent'anni ed è una donna decisamente atipica  per l'epoca e per la cultura a cui appartiene. Un matrimonio senza figli alle spalle, un nuovo appagante amore e un lavoro particolare, quello di fotografa.
Voce narrante del romanzo, ci racconta la storia della sua vita. Nata a San Francisco nel 1880, si è ritrovata a fare il percorso inverso della nonna materna: come Eliza Sommer era partita dal Cile inseguendo l'amore della sua gioventù e finendo col costruire la sua vita in California, Aurora ha lasciato il luogo natio per seguire a Santiago l'altra nonna, quella paterna, Paulina del Valle, altro personaggio già noto ai lettori della Allende che attraverso Aurora riprende i fili de "La figlia della fortuna" e partendo dal 1862 ci racconta com'è proseguita la vita dei suoi tanti personaggi.

E io mica lo sapevo che "Ritratto in seppia" fosse il seguito
de "La figlia della fortuna"! Scoprirlo durante la lettura è stata una magnifica sorpresa, i libri della Allende sono quelli che ti dispiace di finire, per cui per me è stato quasi commovente ritrovare Eliza, Tao Chi'en, i Sommers e anche quella Paulina che nel precedente romanzo aveva un ruolo più marginale e non troppo simpatico, mentre in questo è quasi una coprotagonista e - pur mantenendo tutta la sua arroganza - riesce a conquistare grazie all'approfondimento del personaggio che ne rivela i punti deboli mitigandone l'intemperanza.

Diviso (come l'altro) in tre parti, la Allende non si limita (come sempre) a raccontare le storie dei suoi personaggi, ma fa della storia (in questo caso principalmente quella cilena) la reale protagonista, uno dei motivi che mi fanno amare tanto i suoi libri.

Dalla guerra del Pacifico del 1879 alla guerra civile del 1891 (durata pochi mesi, ma dove "morirono più cileni di quanti avessero perso la vita durante i quattro anni della guerra del Pacifico"), la Allende non fa sconti alla sua nazione.

"Noi cileni sembriamo inoffensivi e godiamo della reputazione di timidi, parliamo persino a suon di diminutivi (un piacerino, mi dia un bicchierino d'acquetta) ma alla prima occasione ci trasformiamo in cannibali. Per comprendere la nostra predisposizione alla brutalità, era necessario sapere da chi discendevamo, disse: i nostri avi erano stati i più crudeli e agguerriti conquistatori spagnoli, gli unici che avessero osato arrivare a piedi fino in Cile, con le armature arroventate dal sole del deserto, vincendo i peggiori ostacoli della natura. Si erano mescolati con gli araucani, selvaggi quanto loro, l'unico popolo del continente che non era mai stato soggiogato. Gli indios si mangiavano i prigionieri e i loro capi, i toquis, usavano maschere da cerimonia fatte con la pelle seccata dei loro oppressori, preferibilmente di quelli con barba e baffi, essendo loro imberbi; questo era il loro modo di vendicarsi dei bianchi, che a loro volta li bruciavano vivi, li impalavano, tagliavano loro le braccia e gli strappavano gli occhi"

Racconta il massacro di Iquique del 21 dicembre 1907 (di cui non sapevo nulla) quando, per reprimere lo sciopero dei minatori contro il loro sfruttamento, il Governo ordinò ai militari di uccidere i lavoratori e le loro famiglie e loro eseguirono ammazzando fra le 2.200 e le 3.600 persone.

"Il Cile è un Paese dalla memoria corta..."

Vero: una pronipote di Pinochet, che ha sempre espresso il suo appoggio alla dittatura militare del parente, è oggi Ministro delle pari opportunità!
Ma il Cile è in buona compagnia: speriamo che anche Macarena Santelices si appassioni al ballo abbandonando la scena politica...

"Non c'è niente di più pericoloso del potere che gode di immunità"

Allende intreccia nel romanzo anche dettagli culturali di altro genere, dalla teoria di Darwin alla comparsa dei guanti chirurgici in sala operatoria. C'è anche un accenno a una nave genovese e mi fa sempre piacere trovare un rimando alla mia città...

Ma ci sono tante tematiche importanti: l'infinita bravura della Allende nelle descrizioni, che si tratti del piacere dato dal sesso o delle atrocità delle guerre, raggiunge l'apice quando dà voce alle vittime di soprusi, donne, lavoratori o persone con la pelle di un colore diverso dal bianco.

E sul finire torna sulla straziante vicenda delle Sing Song Girl facendomi scoprire il personaggio realmente esistito di Donaldine Cameron e della sua organizzazione, per la quale vale la pena fare una ricerca su web.

Adesso avrei voglia di fare una cosa che non ho mai fatto: una rilettura. Quella de "La casa degli spiriti" che, scritto nel 1982 (e che io lessi pochi anni dopo, il mio primo romanzo dell'autrice), chiude questa trilogia ideale. La storia la ricordo benissimo, anche grazie al film (meraviglioso come il libro), ma non i collegamenti con questi due romanzi scritti successivamente, ma con ambientazione precedente. Credo ne varrebbe la pena.

Reading Challenge 2021: questo testo risponde alla nona traccia annuale, "cinque libri svuota wish list"
 

venerdì 10 dicembre 2021

"Il piccolo principe", Antoine de Saint-Exupéry

B-612 è un piccolo asteroide con due vulcani attivi, uno inattivo, una piccola rosa e un Piccolo Principe. Un giorno questo particolare bambino lascia il suo mondo e si mette in viaggio, incrociando personaggi ancora più strani di lui. Sulla Terra, nel Sahara, incontra un pilota con l'aereo in avaria, la voce narrante che sei anni dopo racconterà questa storia.

Leggere tanto e arrivare a 52 anni senza aver letto il libro non religioso più tradotto nel mondo era una lacuna che non pativo particolarmente, ma che adesso sono contenta di aver colmato.
Non posso dire che mi abbia conquistata, però capisco il perchè piaccia a tanti. Capisco meno come possa essere considerata una lettura adatta ai bambini perchè - se lo è senz'altro per lo stile - dubito che bambini e ragazzini possano davvero cogliere tutte le metafore che racchiude. Di sicuro io non le avrei capite visto che anche adesso ho dovuto fare una ricerca sul web appurando che, come pensavo, certe sfumature mi erano sfuggite.

Penso che ci voglia un animo molto poetico e una mentalità molto positiva per trovarsi a proprio agio in questa favola e io alle favole ci credo sempre meno.

Reading Challenge 2021: questo testo risponde alla nona traccia annuale, "cinque libri svuota wish list"
 

martedì 7 dicembre 2021

"Il mistero di Marie Roget", Edgar Allan Poe

Parigi, 22 giugno 1842. Marie Roget lascia la locanda della madre, dove anche lei lavora, alle 9 del mattino dicendo al fidanzato che avrebbe passato l'intera giornata a casa di una zia. Tre giorni dopo il suo cadavere viene recuperato nella Senna. Ai polsi vi sono evidenti tracce di legature, ha un laccio stretto attorno al collo ed è stata violentata. La polizia offre mille franchi di ricompensa a chiunque possa fornire indicazioni utili alla cattura dell'assassino, una cifra modesta come modeste erano le condizioni della ragazza, ma che poi - sulla spinta dell'indignazione popolare fomentata dalla stampa - cresce a più riprese arrivando a trentamila nell'arco di tre settimane quando il prefetto si vede costretto a richiedere l'aiuto di Auguste Dupin...

Auguste Dupin è il protagonista di tre dei quattro racconti di Poe definiti "del raziocinio". Il primo, "I delitti della Rue Morgue" (del 1841), lo avevo letto tantissimi anni fa, così tanti da conservarne solo un debolissimo ricordo che ho pienamente recuperato grazie al dettagliato riassunto su Wikipedia. Nemmeno lontanamente paragonabile ai suoi racconti del terrore e lo stesso vale per quest'altro.

Scritto nel 1842 (lo stesso anno de "Il pozzo e il pendolo", meraviglioso), Poe prende spunto da un vero omicidio
avvenuto a New York - quello di Mary Cecilia Rogers - per creare il nuovo caso dove il suo Dupin analizza fatti e testimonianze, prima smontando le ricostruzioni fatte dai giornalisti, poi rielaborando i dati per costruire una nuova teoria, che ovviamente sarà quella corretta.

Mah. La datazione dello stile non mi è risultata pesante come spesso mi succede quando affronto i classici, ma chiaramente tutte le teorie che costituiscono l'indagine potevano andare bene giusto (quasi) due secoli fa e lavorando di fantasia. Una lettura veloce che non si è minimamente avvicinata al piacere che mi avevano dato "Il gatto nero", "Ligeia" e altri. Però intendo recuperare anche il terzo racconto con Dupin, "La lettera rubata" (1845) e magari anche l'altro racconto del raziocinio, "Lo scarabeo d'oro" (1843), dove lui non figura, non fosse altro che per soddisfare il gusto per la precisione.

Reading Challenge 2021: questo testo risponde alla nona traccia annuale, "cinque libri svuota wish list"

 

sabato 4 dicembre 2021

"Le ho mai raccontato del vento del Nord", Daniel Glattauer



Vienna (Austria), 15 gennaio di un anno non precisato. Emmi Rothner scrive all'editore della rivista "Like" per disdire l'abbonamento. Non ottenendo un riscontro ne scrive una seconda diciotto giorni dopo e poi una terza dopo altri trentatré. E' solo a quel punto che riceve una risposta, che non è quella che si sarebbe aspettata. A rispondere non è la casa editrice, bensì un privato, Leo Leike: Emmi inserendo una "i" di troppo nell'indirizzo e-mail ha inviato a lui le tre richieste di disdetta.
L'indirizzo resta in memoria, così nove mesi dopo in prossimità delle feste natalizie Leo si trova a ricevere da parte di Emmi una di quelle impersonali e odiose mail di auguri che si mandano (mandavano: ora si inviano le gif via WhatsApp, peggio ancora) solo per abitudine a tutta la rubrica, e di cui tutti faremmo a meno (specialmente noi atei!).
E tutto (o il niente?) fra loro inizia così.

Altro romanzo di cui ricordo il gran parlare che se ne fece al momento dell'uscita, nel 2010, e di cui - adesso che l'ho letto - fatico a capire il grande successo riscosso all'epoca. "Epoca" è una parola che non uso a caso: come la posta elettronica a suo tempo aveva inferto un duro colpo a quella tradizionale, quello che gli SMS prima e WhatsApp poi hanno inflitto alle mail personali è stato addirittura mortale e questo rende il libro anacronistico, nonostante non sia certo così datato.

Patendo abbastanza la non attualità in ciò che leggo, ogni volta mi dico che dovrei privilegiare le ultime uscite editoriali, ma - amando cercare di seguire la cronologia dei libri scritti dagli autori - ad ogni titolo che scelgo di leggere mi ritroverei al centro di una guerra fra forze opposte, se non fosse che il piacere per l'ordine vince prima ancora di scendere in campo e quando poi qualcosa risulta superato diventa un male minore.

Di questo libro l'unica cosa ad essermi piaciuta è il finale, quello che immagino non sia stato gradito dalla maggior parte dei lettori, come credo che i più saranno stati felici per l'uscita del seguito mentre io sono rimansta delusa da questa scoperta (fatta proprio stamattina, dopo aver finito il libro) perchè se in un finale del genere avevo apprezzato (molto) il coraggio dell'autore, sapere dell'esistenza di un seguito (oltre tutto
pubblicato nello stesso anno) mi ha fatto capire che non era coraggio, quanto una gran furbata editoriale. Ma appena se ne presenterà l'occasione (leggi: traccia adatta della Reading Challenge) recupererò senz'altro anche "La settima onda", perchè - nonostante abbia gradito davvero poco questi due protagonisti (lei maleducata, lui arrogante) - la curiosità di vedere cosa (se) succede qualcosa la ho.

In questa prima parte Emmi e Leo portano avanti per più di un anno uno scambio di mail insipido, banale, fastidiosamente e falsamente spiritoso attraverso il quale arrivano incredibilmente a dichiarare di provare un sentimento reciproco. Lei peggio di lui, soprattutto all'inizio, quando continua a cercarlo e a rincorrerlo nonostante il dichiarato disinteresse di lui a incontrarla. Nonostante dei due sia quella impegnata, è lei quella sfrontata, quella allusiva, ma sfrontata e allusiva per modo di dire: il libro è composto interamente da questo fitto scambio di brevissime mail (e viene scandito ogni singolo intervallo di tempo fra una e l'altra, un dettaglio che ha messo a dura prova la mia pazienza) dove i due riescono a comunicare senza parlare di nulla, prima una sfilza di convenevoli banali, poi un continuo tira e molla: ci vediamo/non ci vediamo, continuiamo a sentirci così/chiudiamola lì...

Impiegano quattordici mesi per arrivare a una domanda "erotica" ("Ma lei dorme nuda?")! Giuro che sono più sensuali le mail che scrivo per lavoro alla "simpatica" Nadia dell'ufficio rese!!

Libro anacronistico anche e soprattutto in questo, sembra una corrispondenza di altri tempi, impressione rafforzata anche dall'uso del lei (che poi in tedesco è il loro): poco sensato, poco realistico, zero appassionante.
Una bella idea sviluppata male, ma con un finale che quasi obbliga a compare anche il seguito, quindi commercialmente funzionante. Ma non è questo ciò che deve dare un libro.

PS: anche in questo caso condanno la sinossi che spiattella l'età di lei: il romanzo ha poco pathos, ma se un autore rivela il dettaglio dell'età dei protagonisti quasi in fondo al libro lasciando questo alone di mistero, una casa editrice dovrebbe rispettare e tutelare questa scelta.
            
Reading Challenge 2021: questo testo risponde alla nona traccia annuale, "cinque libri svuota wish list"

 

giovedì 2 dicembre 2021

"La lunga vita di Marianna Ucrìa", Dacia Maraini


Bagheria (Palermo), inizio del Settecento. Marianna, figlia del duca di Ucrìa - nonchè conte di Fontanasalsa nonchè barone di Bosco Grande, di Pesceddi, di Lemmola nonchè marchese di Cuticchio e di Dogana Vecchia - viene chiamata "la mutola" a causa del suo doppio handicap: è sorda e muta.
Ma non è nata così: ha perso i due sensi quando aveva cinque anni e la sua mente ha rimosso dalla memoria la causa scatenante.

Otto anni dopo viene obbligata a sposare un uomo che non solo è più vecchio di trenta, ma che è anche suo parente: fratello della madre e cugino del padre. Inammissibile oggi, più che accettabile all'epoca: un mezzo per non disperdere cognomi, titoli e proprietà.

Dacia Maraini in questo romanzo - scritto nel 1990 e vincitore del premio Campiello nello stesso anno - raccontando la vita di questa donna offre un quadro preciso della Sicilia feudale dell'epoca. Non amo questo periodo storico (meno che mai i nobili, squallidi parassiti sociali) ed è il motivo per cui dei sei romanzi dell'autrice che ho letto finora, questo è quello che mi è piaciuto meno, pur essendomi piaciuto moltissimo.

Un romanzo appassionato, scritto magistralmente, molto (davvero molto) descrittivo, capace di trasportare chi legge in quelle terre e in quelle situazioni. Anni miseramente bui per noi donne, anche per quelle blasonate, costrette a sposare l'uomo scelto per loro dal proprio padre per poi sfiancarsi gravidanza dopo gravidanza. Unica alternativa la vita monacale. Certo però c'erano i lussi e gli agi, cosa non da poco, perchè anche le figlie delle famiglie povere non avevano potere decisionale sul loro futuro e in più pativano la fame e i soprusi dei padroni.

La Maraini offre uno spaccato completo, la vita dei nobili e quella dei servi, quella degli uomini e quella delle donne di entrambi i ceti. Dominio e sottomissione. Una donna che si ribella alla violenza subita dal marito viene accusata dai parenti di aver gettato discredito sulla famiglia, un'ignoranza ancora viva in molte parti del mondo, piuttosto comune anche in Italia fino a qualche decennio fa e che non possiamo ancora considerare scomparsa del tutto, nemmeno qui (chi segue la pagina del Signor Distruggere rivedrà una pancina nel consiglio che la madre dà alla figlia Marianna per sopportare gli assalti sessuali del marito: "chiudi gli occhi e pensa ad altro").

Forse il quadro storico avrebbe potuto essere più approfondito, ma l'autrice non ha colpa della mia ignoranza, lei accenna al Trattato di Utrecht, a Vittorio Amedeo di Savoia, a Carlo III, a Ferdinando I, ecc, ma ho dovuto cercare maggiori informazioni in rete per rispolverare i miei ricordi scolastici sulle guerre di successione: l'ho detto, non amo questo secolo, forse perchè fu quello del declino per la Repubblica di Genova.

Consiglio di non leggere la sinossi prima del romanzo perchè dice una cosa importante che nel libro viene svelata quasi al termine cogliendo impreparati e lasciando di stucco, un effetto sicuramente voluto dalla Maraini e che per fortuna non mi sono persa leggendo la trama solo dopo aver finito il libro, come faccio spesso, soprattutto con quegli autori che amo e che intendo leggere a prescindere dall'argomento.

Invece è curioso sapere che l'autrice si è ispirata alla storia di una sua antenata dal ramo paterno, la principessa Marianna, obbligata a sposare Pietro, fratello minore del padre. Ma questo la sinossi non lo dice.

Reading Challenge 2021: questo testo risponde alla settima traccia annuale, "sei libri di sei categorie diverse" (libro di un autore già letto)

domenica 28 novembre 2021

"Un lavoro perfetto", Tsumura Kikuko

Giappone, giorni nostri. Della protagonista, voce narrante della storia, ci viene detto ben poco: solo che dopo essersi laureata ha svolto per quattordici anni lo stesso lavoro, un lavoro non precisato  che però le ha causato l'esaurimento nervoso che l'ha portata a licenziarsi. Sappiamo che dopo aver sfruttato al massimo il sussidio di disoccupazione, a 36 anni è dovuta tornare a vivere con i genitori per ridurre al minimo le spese.
Noi la incontriamo quando per lei è arrivato il momento di ributtarsi nel mondo del lavoro e quello che chiede alla signora Masakado dell'agenzia interinale a cui si rivolge non è un lavoro perfetto, ma "un impiego vicino a casa e con mansioni semplici, tipo stare seduta tutto il giorno a controllare l'estrazione del collagene dai cosmetici".
E la signora Masakado riesce ad andarci incredibilmente vicino!

Il titolo originale, "Kono yo ni tayasui Wa nai", che Google mi traduce così: "Questo è un lavoro facile", è molto più veritiero di quello scelto per l'edizione italiana perchè nei cinque macro capitoli del libro seguiamo la protagonista, di cui non ci viene mai detto il nome (uff), impegnata in altrettanti lavori che vanno dall'assurdo al demenziale e che personalmente mi avrebbero portata dritta al suicidio (o all'omicidio), altro che esaurimento...

Oltre a mangiare e bere di continuo (per altro anche cose come del caffè in lattina e una bibita frizzante all'aceto nero...), la vediamo annoiarsi, ma anche appassionarsi, tendendo ad andare oltre a quello che le viene chiesto di fare, ma finendo sempre col mollare e passare ad altro.

Una protagonista che non mi è piaciuta: troppo ansiosa, troppo insicura, troppo pigra. Arriva a sentirsi sotto pressione per nulla e le passa la voglia di lavorare per delle scemenze: il "finale a sorpresa" (è così che viene definito nella sinossi), forse perchè buttato lì senza nessun passo indietro esplicativo, non è bastato a farmi cambiare opinione su di lei. L'ho trovata un insulto per ogni disoccupato.

Mi chiedo se in Giappone sia davvero così facile trovare lavoro, il web mi fornisce solo spiegazioni sui passi che deve fare uno straniero per lavorare lì, ma non è quello che mi interessa. Non credo che esistano lavori come quelli descritti nel libro, ma vorrei sapere se le agenzie di collocamento sono veramente così attive, se una persona possa sul serio provare un lavoro e scartarlo dopo un mese per passare a un altro.

Lavori a tempo determinato, perchè sono quelli che cerca la protagonista, ma per molti già sarebbero una manna. E ho molto da ridire sul quello che, stando sempre alla sinossi, sarebbe il messaggio del libro: "In tutto ciò che si fa c'è qualcosa di magico, di unico e di appagante".

Ma ci credono davvero? Ma che provino ad andarlo a raccontare a quelli che fanno lavori usuranti, umilianti, sfinenti, pericolosi. Ma che provino a farli loro e che poi tornino a dirci se pensano ancora "che dobbiamo solo trovare l'energia per riconoscerne la bellezza" e a spiegarci dove si nasconde la bellezza nel frantumare l'asfalto col martello pneumatico o nel pulire i gabinetti di stazioni e autogrill.

Detesto i libri che hanno la pretesa di trasmettere messaggi positivi irreali. E questo è anche noioso.

Reading Challenge 2021: questo testo risponde alla traccia sorpresa di novembre
 

venerdì 26 novembre 2021

"Per amore e per forza. L'autobiografia di Cicciolina", Ilona Staller



Ilona Staller oggi compie 70 anni. E io ieri ne ho fatti 52. Vale a dire che quando era all'apice della sua carriera di pornostar io ero una ragazzina, ovviamente non interessata al personaggio, ma avendo soprattutto amici maschi e tutti più grandi di me di Cicciolina sapevo tutto, o quasi. Ricordo bene i manifesti dei suoi spettacoli fuori dall'Alcione, a suo modo storico cinema/teatro del quartiere di Marassi, davanti a cui passavo per quindici volte all'andata e quindici al ritorno (sedici, quando anche in cugini erano in serie A) durante il campionato per andare allo stadio. Ai tempi avevo un amico, tal Paolino, che nei pomeriggi trascorsi nei locali del mitico Sampdoria Club Lo Squalo dilettava i presenti leggendo sul "Corriere mercantile" i titoli dei film porno: erano esilaranti, a volte geniali (come dimenticare "Ani sudati"?).

Sia il cinema che il quotidiano hanno chiuso i battenti e
Paolino l'ho perso di vista da circa vent'anni, più o meno come Ilona Staller. Non ho sentito la mancanza nè dell'amico (troppo pesante e invadente) nè del personaggio Cicciolina, ma la sua autobiografia (comprata sul sito del Libraccio per pochissimi euro) - oltre a servirmi per arrivare alle spese gratuite - mi ha attratto come da una certa età comincia a fare un po' tutto quello che è legato a ricordi del passato, soprattutto quando si tratta di anni spensierati e felici.

Per quanto il libro fosse economico, avevo comunque letto le recensioni su IBS, come d'abitudine, e ora ho ritrovato quella che mi aveva convinta all'acquisto, scritta il 4 marzo 2014 da un certo Gabriele, che inizia così: "
Uno splendido  libro!! Aiutata sicuramente da un ghost writer (scritto benissimo) aiuta a capire chi è Cicciolina". Avrei dovuto ponderare meglio il seguito dove Gabriele confronta questa autobiografia con quella di Rocco Siffredi e lamenta il fatto che si parli pochissimo di porno: mi sembra chiaro che il suo interesse per Cicciolina sia un po' più profondo del mio ^^

Il libro non è splendido e non è scritto benissimo, lo stile è talmente semplice, ripetitivo nei termini e confuso nella cronologia da avermi ricordato un'altra autobiografia letta una quindicina di anni fa, quella della signora Pescio, una mia cliente all'epoca sessantenne che (inspiegabilmente) aveva raccontato la sua vita in un librino autopubblicato, imponendone poi la lettura penso a chiunque, poveri commercianti del quartiere compresi!

Però è vero che aiuta a conoscere l'autrice (va bè, è un'autobiografia...): racconta la storia della sua famiglia (o meglio, delle donne della sua famiglia) a partire dalla bisnonna, classe 1890, che ebbe una figlia illegittima che a sua volta ebbe anch'essa una figlia illegittima, la madre di Ilona.

La storia di Ilona bambina stringe il cuore, lei e i suoi fratelli hanno patito la miseria più nera, in parte a causa della situazione ungherese dell'epoca, assoggettata all'Unione Sovietica (il libro è stato pubblicato nel 2007, quindi la Staller non arriva a esprimere il suo parere anche su Orbàn...), ma soprattutto "grazie" al padre che spendeva in donne il poco che guadagnava.

Se cresci vivendo in un buco di 34 metri quadri con altre nove persone, patisci la fame, il freddo e a 11 anni vieni molestata da un amico di tuo padre, per quanto mi riguarda ti sei guadagnata il diritto di non essere giudicata per le scelte che hai fatto dal momento in cui ti si è presentata l'occasione per scappare.

Ilona a 17 anni abbandona gli studi per lavorare come cameriera in un lussuoso hotel di Budapest dove viene assoldata come spia dai serivizi segreti ungheresi: le è facile riuscire a farsi portare nelle stanze degli uomini che le vengono indicati, poi deve solo aspettare il momento propizio per fotografare tutti i documenti che riesce a trovare. Lei ne parla in modo divertito, ma - parafrasado Julia Roberts - non deve essere stato esattamente il sogno che aveva da bambina dato che nel 1970 accetta di sposare un calabrese più vecchio di 25 anni, brutto come la fame (stando alla descrizione), senza un soldo e pure violento.

Ma è il suo lasciapassare per l'Italia e qui la storia di Ilona diventa quella di Cicciolina: ha smesso di stringermi il cuore, non per giudizio su quel che faceva visto che ha sicuramente dato del suo e finchè c'è la maggiore età e non c'è costrizione la pornografia è l'ultimo dei miei pensieri.

"Per molte donne la pornografia era una scelta disperata per guadagnare soldi, mentre per me era un lavoro divertente che mi dava molte soddisfazioni e certo non mi annoiava"

Mi è proprio risultata antipatica: l'idea che dà di sè è quella di una persona estremamente presuntuosa, il libro - zeppo di dettagli banalissimi e irrilevanti (a questo punto lo avrei preferito anch'io più pornografico, come Gabriele) - è un continuo autoincensarsi.

Amica, fidanzata, moglie, madre, figlia, sorella, artista (ora... artista... ricordiamoci che questa durante i suoi spettacoli pisciava sul pubblico, definirli "piuttosto spinti, ma eleganti" è come minimo coraggioso), ecc... Esemplare in ogni ruolo, ma nessuno è così perfetto e se, giusto per fare un esempio, un tribunale arriva ad affidare il figlio (di lui parla molto) di due persone ricche e famose come Ilona Staller e Jeff Koons agli assistenti sociali, qualcosa che non funziona mi sa che c'è, ma lei si attribuisce come unico difetto
quello dell'ingenuità che l'ha portata a pagare colpe di altri.

Bisognerebbe ascoltare anche le altre campane, cosa che non ho interesse a fare, soprattutto quella del marito (anche sulla sua arte avrei qualcosa da ridire...), altra figura umile, arrivato a definirsi secondo solo a Michelangelo!

Naturalmente tutti ricordiamo Ilona Staller in Parlamento: per me la politica è una cosa seria (molto seria), ma (purtroppo) non considero la sua elezione come la più grande vergogna politica del nostro Paese...

Quei cinque anni le hanno garantito il vitalizio (scandaloso? Sì, per lei come per tutti), da tre anni ridotto a 800€. Ha dichiarato di non avere più soldi e di mantenersi vendendo la sua biancheria usata: evidentemente fra i suoi tanti pregi manca l'oculatezza, se è vero che è stata la pornodiva più pagata al mondo e che il marito l'aveva sposata per interesse, per ottenere popolarità anche in Europa, oltre ai soldi e al successo.

Sarà... Di certo c'è che proprio pochi giorni fa, il 15, una foto dei due ex coniugi è stata battuta a un'asta per la bellezza di 398mila dollari. Ad aggiudicarsela un anonimo collezionista di Pechino.

Quanta iniquità c'è nel mondo...

Reading Challenge 2021: questo testo risponde alla traccia compleanno di novembre (l'autrice  è nata il 26 novembre 1951)
 

martedì 23 novembre 2021

"Il linguaggio segreto dei fiori", Vanessa Diffenbaugh



San Francisco, 1° agosto di un anno imprecisato. Victoria Jones compie 18 anni, ma il nome Victoria non è stato scelto dai genitori, Jones non è il cognome di famiglia e il 1° agosto non è la sua vera data di nascita. Abbandonata in fasce, ha trascorso infanzia e adolescenza cambiando ben 32 famiglie affidatarie e fra tutte quelle persone soltanto una le è rimasta nel cuore: Elizabeth, la donna che l'ha avuta in affido per un anno quando ne aveva nove, che è arrivata a un passo dall'adozione vera e propria, finchè Victoria ha mandato tutto in fumo...
Adesso che è maggiorenne deve lasciare la comunità di alloggio che la ospita e riuscirà a mantenersi proprio grazie a Elizabeth e a tutto quello che durante quell'anno vissuto insieme le ha insegnato sui fiori e sul loro linguaggio.

Romanzo pubblicato dieci anni fa e che all'uscita fu un vero e proprio caso editoriale. Se ne parlò così tanto da far scattare in me una sorta di repulsione, nonostante non sia una lettrice prevenuta nei confronti dei romanzi "di consumo", anzi, tendo a pensare che se un libro è in grado di conquistare quasi tutti qualcosa di buono deve averlo per forza.

Ed è così per "Il linguaggio segreto dei fiori", qualcosa di buono lo ha, ma di certo non ha soddisfatto le aspettative che avevo e che erano piuttosto alte.

Non essendo interessata all'argomento tutto quell'inevitabile gran parlare di fiori mi ha annoiata in fretta e l'autrice non è riuscita a modificare l'opinione che già avevo del linguaggio attribuito ai fiori: una boiata romantica.

Cosa peggiore, non mi ha fatto scattare l'empatia che sarebbe umano (e che avrei voluto) provare verso una protagonista con un trascorso come quello di Victoria. L'origine delle sue paure e delle sue insicurezze, così come la sua ritrosia verso i legami e i contatti fisici, sono ben chiare e comprensibili (per quanto sia possibile capire davvero esperienze non vissute direttamente), ma per quanto avrei voluto provare per lei tenerezza e compassione, il più delle volte l'ho trovata irritante.

Ho sentito la mancanza di un preciso contesto storico, per me sempre importante, ma capisco che per molti possa essere un dettaglio trascurabile.

E credo che avrei dato più valore al narrato se leggendo avessi già saputo che l'autrice e il marito sono genitori affidatari, cosa che ho scoperto solo nella breve intervista in calce al libro. Io patirei ad avere dei gatti in stallo, per cui ammiro e invidio moltissimo il coraggio che hanno queste persone. Però, sapendo questo, mi sono anche ritrovata a pensare che la Diffenbaugh avrebbe dovuto averne anche andando più a fondo della questione facendo del suo romanzo una vera e propria denuncia contro l'inadeguatezza del sistema affidatario americano. Probabilmente non avrebbe avuto lo stesso successo, ma anche il suo peso sarebbe stato diverso.

            
Reading Challenge 2021: questo testo risponde alla settima traccia annuale, "sei libri di sei categorie diverse" (libro di un autore letto da una compagna di casata)