martedì 31 gennaio 2023

"Guerra e pane", Margherita Oggero


Margherita Oggero nasce a Torino il 22 marzo 1940. La città comincia a essere bombardata meno di tre mesi dopo, nella notte fra l'11 e il 12 giugno. Le bombe continueranno a cadere fino al 5 aprile 1945.
Con un marito impegnato al fronte e una bambina così piccola, la madre dell'autrice si spostò nelle campagne.

In questo breve racconto Margherita Oggero condivide i ricordi della sua infanzia.

La paura provata davanti al padre sconosciuto, tornato dalla guerra con solo quarantasei chili di peso (pulci e pidocchi compresi), senza denti e senza la forza per riuscire a recuperare il legame mai avuto con la propria figlia, legame che, invece, Margherita ricorda di aver avuto con il nonno Pietro.

E altri frammenti: il capretto Giulietto, come abbia imparato a leggere a soli tre anni, il ritorno alla fine della guerra in una Torino alle prese con le sue macerie e - sia prima che dopo - l'assoluta necessità di non sprecare nulla, tipico nelle famiglie che hanno sperimentato sulla propria pelle cosa significhi patire la fame.

Da qui le quattro ricette della cucina povera riportate alla fine del testo: la panada, (minestra di pane raffermo, tanto odiata dalla Oggero bambina), la panissa vercellese (un piatto grasso a base di riso, fagioli, lardo e salame, ben diverso dalla panissa genovese che prevede solo farina di ceci, acqua e sale, buonissima senza bisogno di uccidere nessuno), la minestra di semolino e la minestra di riso al latte con castagne.

Ricette precedute dalla storia del baracchino, che anche la Oggero ha usato ai tempi dell'asilo. A raccontare l'etimologia della parola e l'evolversi dell'oggetto nel corso degli anni non è lei, ma Grazia Novellini.

"Guerra e pane" è un librino molto grazioso pubblicato dalla Slow Food editore nel 2019: un piccolo formato cartonato che misura 12 x 17 cm e di appena 93 pagine dove la parte scritta si restringe ulteriormente a riquadri di 6,5 x 11 cm.
Una furbata editoriale visto il costo assolutamente spropositato di 10€, ma che per fortuna ho trovato su Vinted pagandolo poco meno della metà (1€ più quasi quattro per la spedizione) dopo avergli dato la caccia sul sito del Libraccio dal momento in cui era uscito.

Non avevo grandi aspettative, ma ci tenevo ad averlo perché la Oggero è una degli autori di cui ho letto tutto (mi mancava solo questo) e che continuerò a leggere perché amo la sua penna, nonostante il suo rancore contro quelli che definisce "animalisti talebani".
Ormai molti anni fa, avevo smesso di seguirla su Facebook a causa di un suo post dileggiante verso le persone che amano i proprio animali domestici. Qui va ben oltre e mi dispiace constatare come una persona così intelligente e istruita non lo sia abbastanza da riuscire a provare compassione e rispetto per ogni essere vivente, nutrie e conigli compresi, ma ognuno di noi ha i propri limiti e raramente invecchiando si migliora.

Reading Challenge 2023, traccia di gennaio: libri con la sovraccoperta


domenica 29 gennaio 2023

"Breve storia della vita privata", Bill Bryson


"Volendo riassumerla in una frase, si potrebbe dire che la storia della vita privata è la storia dell’agio conquistato con lentezza"

Fino a poco più di un mese fa l'unico titolo che avevo di Bill Bryson - giornalista e scrittore statunitense classe 1951 - era "Il mondo è un teatro. La vita all'epoca di William Shakespeare". Curioso, visto che sono andata a teatro (concerti esclusi) soltanto due volte in vita mia (e questo mi dispiace) e che non sono minimamente attratta da il Bardo, e quindi si spiega come mai non lo abbia ancora letto.

Ma a dicembre ho scoperto altri saggi dell'autore, ne ho subito comprato alcuni e ho deciso di approcciarmi a lui cominciando con questo tomo che di breve non ha proprio nulla: sono 536 pagine divise in diciannove parti divise a loro volta in due, tre o quattro capitoli, per lo più abbastanza lunghi.
Una lettura interessante, scorrevole e anche divertente grazie a un humor britannico, a tratti anche macabro, che Bryson - sposato con un'inglese e trasferitosi in Inghilterra - ha sapientemente fatto suo.

Nell'introduzione racconta come gli sia venuta l'idea di questo libro: salendo nel solaio della casa, dove si era da poco trasferito con la famiglia - un'ex ex canonica della chiesa anglicana di un tranquillo e anonimo villaggio del Norfolk (dove, ci dice, c'è la più alta concentrazione del mondo di chiese medievali, ben 659) - e da una chiacchierata fatta il giorno prima con un amico archeologo. Questa conversazione e l'osservazione della campagna circostante lo portarono a una serie di ragionamenti che confluirono in un pensiero: "la Storia è proprio questo: masse di persone che fanno cose ordinarie".

E qui di cose ne racconta tantissime, concentrandosi soprattutto sugli eventi degli ultimi centocinquant’anni, seguendo la datazione della sua casa, costruita nel 1851, epoca che coincide con quella in cui nasce "il mondo moderno vero e proprio".

"Nella nostra vita siamo così abituati a godere di un’infinità di agi – a essere puliti, protetti dal freddo e ben nutriti – che dimentichiamo quanto molti di questi siano recenti. In realtà abbiamo impiegato un’eternità a ottenerli, e a quel punto sono arrivati quasi tutti in una volta. Le pagine che seguono raccontano perché ciò è accaduto, quando e come mai c’è voluto tanto tempo per arrivarci."

Bryson è un gran narratore, simpatico e intelligente.

La prima parte del saggio è dedicata al 1851 (e l'ha giustappunto intitolata "L'anno"), cioè quando venne costruita la casa in cui vive (o viveva quando ha scritto il saggio), ma che fu anche l'anno dell'Esposizione Universale di Londra e qui si scoprono varie curiosità, ad esempio che Colt presentò le pistole di sua invenzione o che uno dei funzionari pubblici che si occuparono dell'Esposizione, Henry Cole, è colui che inventò i biglietti d'auguri natalizi per incoraggiare le persone a usare i nuovi francobolli da un penny.

Non sono quel genere di informazioni che ti migliorano la vita, ma è chiaro che se si affronta una lettura di questo genere è perché si ha interesse anche per queste cose.

La precedente destinazione d'uso della sua abitazione gli dà modo di raccontare come in quegli anni la carriera ecclesiastica e quella militare fossero le attività principali per i figli minori dei pari e della piccola nobiltà. Gli ecclesiastici anglicani erano oltre diciassettemila e godevano di molti benefici, anche economici derivanti dall'affitto dei terreni concessi con la carica. E conferma quello che ho sempre pensato di Jane Austen:

"Jane Austen crebbe in quella che lei considerava una canonica assai modesta a Stevenson, nell’Hampshire, ma la casa era dotata di salotto, cucina, soggiorno, studio, biblioteca e sette camere da letto: una sistemazione tutt’altro che misera."

Cercando di rispondere a una domanda non banale - perché la gente vive nelle case? - è molto divertente ricordando che "per il primo 99 per cento della nostra storia non abbiamo fatto molto oltre a procreare e sopravvivere, ma che poi le popolazioni del mondo hanno cominciato a scoprire l’agricoltura, l’irrigazione, la scrittura, l’architettura, le forme di governo e tutte le altre migliorie dell’esistenza che insieme vanno a formare quella che con affetto chiamiamo civiltà".

Ogni dettaglio diventa un pretesto per raccontare qualcosa di interessante, ricordandomi a tratti la rivista "Focus domande & risposte", un concentrato di curiosità sui più svariati argomenti.

Evidenziando come, in definitiva, sappiamo poco della vita e delle abitudini dei popoli antichi e come paradossalmente, ad esempio riguardo al modo in cui venivano arredate le case, si abbiano più informazioni risalenti agli antichi greci e romani rispetto agli usi dell'Inghilterra della prima metà del Medioevo, inizia il suo viaggio all'interno della casa: atrio, cucina, salotto, sala da pranzo, cantina, andito, studio, giardino, stanza prugna, scale, camera da letto, stanza da bagno, spogliatoio, camera dei bambini e infine la soffitta.

Mi piacerebbe molto se esistesse un analogo saggio italiano perché tutta la parte legata all'etimologia delle parole sarebbe per noi (e per me specialmente, visto il livello infimo del mio inglese) ben più interessante (un esempio, ma potrei farne decine e decine: "In inglese antico lo schiavo si chiamava thrall, ecco perché quando siamo in balia di un’emozione diciamo che siamo enthralled.").

Abbracciando un periodo così vasto, a maggior ragione facendo spesso riferimenti a epoche storiche precedenti al suo anno di partenza (che ricordo essere il 1851), sono molteplici le occasioni in cui Bryson fa confronti fra le usanze del passato e quelle attuali. Non solo: spesso evidenzia come anche in passato la condizione economica determinasse differenze enormi.

In epoche in cui "le case erano dotate di domestici come al giorno d'oggi lo sono di elettrodomestici" e dove "la servitù costituiva una classe la cui esistenza era fondamentalmente dedita a far sì che un’altra classe avesse tutto ciò che desiderava a portata di mano più o meno nel momento stesso in cui le veniva in mente di desiderarlo", loro - i domestici - oltre alla fatica delle interminabili ore di lavoro dovevano sopportare l'essere invisi dai loro padroni, semplicemente perché giudicati inferiori.

"Nei suoi diari, Virginia Woolf è quasi ossessionata dalla servitù e dal timore di perdere la pazienza con i suoi domestici. Di una di loro scrive: «È una sorta di selvaggia: ignorante; illetterata. Quel che si scorge è una mente umana che si dimena nella sua nudità.»"

"Edna St Vincent Millay, contemporanea della Woolf, è ancora più schietta: «Le uniche persone che odio davvero sono i domestici» scrive. «In realtà non sono neanche esseri umani.»"

E le loro condizioni peggiorarono nell’età vittoriana, quando i ricchi cominciarono a pretendere che fossero il più possibile invisibili. Testimoni raccontano di un podere in cui i giardinieri erano obbligati a fare una deviazione di un chilometro e mezzo per svuotare le loro carriole per non rovinare la vista al padrone, mentre in una casa nel Suffolk i domestici dovevano voltarsi con la faccia al muro ogni volta che passava un membro della famiglia.

Una parte molto interessante è quella intitolata "La scatola dei fusibili" che descrive, appunto, come le scoperte legate all'illuminazione cambiarono per sempre il mondo, anche qui evidenziando come nel mondo pre-illuminato le abitudini potessero essere molto diverse in base al ceto di appartenenza. Ad esempio non è vero che tutti andassero a dormire presto per via del buio nelle case: le persone agiate cenavano tardi, partecipavano a feste, eccetera, mentre la servitù - quando era loro consentito - andava a letto presto per la stanchezza.

"Molti avevano giornate di lavoro lunghissime. Uno statuto elisabettiano del 1563 stabiliva che tutti gli artefici (vale a dire artigiani, artisti e manovali) dovevano «trovarsi al lavoro alle cinque del mattino o prima e proseguire senza allontanarsi fino alle sette o alle otto della sera»: una settimana lavorativa di ottantaquattro ore."

Con l'avvento della rivoluzione industriale e la nascita delle fabbriche aumentarono ulteriormente gli orari di lavoro che potevano arrivare addirittura a diciannove ore al giorno, dalle tre del mattino alle dieci di sera!

"Fino all’introduzione del Factory Act del 1833 dovevano sottoporsi a orari simili perfino i bambini di sette anni. In simili circostanze non è sorprendente che la gente mangiasse e dormisse quando poteva."

A questi dati Bryson contrappone descrizioni riportate da diari o lettere dell'epoca da chi viveva nell'agio e nel lusso. 
Nel 1768 Fanny Burney annota: «Facciamo sempre colazione alle dieci, dopo esserci svegliati all’ora che vogliamo; pranziamo alle due precise, prendiamo il tè intorno alle sei e ceniamo alle nove in punto» mentre attorno al 1780 un'altra giovane esponente di quella classe scrive allo storico Edward Gibbon: «Vi racconterò una giornata e voi potrete immaginare tutte le altre: mi sveglio alle nove e alle dieci faccio colazione. Intorno alle undici suono il clavicembalo o disegno; all’una traduco e alle due esco di nuovo, alle tre di solito leggo, alle quattro pranziamo, dopo pranzo giochiamo a backgammon, alle sette prendiamo il tè, poi lavoro o suono il piano fino alle dieci, quando consumiamo una piccola cena, e alle undici andiamo a letto.»

Una cosa che non cambierà mai nel mondo sono le disuguaglianze sociali!

Bryson s
ottolinea quanto la luce artificiale sia una delle cose di cui godiamo e che diamo per scontate ricordando come nell’autunno del 1939, allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, in Gran Bretagna vennero introdotte regole severe per contrastare gli attacchi tedeschi. Il divieto di usare fonti luminose di ogni genere portò le notti inglesi a un buio medievale causando nei primi quattro mesi 4133 morti, tre quarti dei quali erano pedoni: "Senza sganciare una sola bomba, la Luftwaffe stava già uccidendo seicento persone al mese. l’esperienza servì a rammentare a tutti quanto fossimo ormai abituati a un’illuminazione abbondante. Non ci ricordiamo più quanto fosse buio il mondo prima dell’elettricità."

Con il salotto si dedica alla nascita dell'architettura residenziale mentre nella parte dedicata alla sala da pranzo, una delle più interessanti, raccontando il valore che avevano un tempo le spezie, affronta il tema dei grandi esploratori. Il mio concittadino non ne esce bene:

"Sarebbe difficile indicare un personaggio storico che si sia conquistato una fama più duratura mostrando meno competenza di Colombo. Trascorse gran parte dei suoi otto anni di viaggio saltabeccando fra i Caraibi e le coste del Sud America convinto di trovarsi nel cuore dell’Oriente, e che Giappone e Cina fossero appena al di là di ogni tramonto. Non capì mai che Cuba è un’isola e non mise mai piede né sospettò lontanamente l’esistenza del continente a nord che tutti pensano abbia scoperto, gli Stati Uniti. Riempì le proprie stive di comunissima pirite di ferro pensando che fosse oro e di quelli che era sicuro fossero cannella e pepe. La prima era in realtà una corteccia priva di alcun valore, e il secondo non era pepe ma peperoncino, eccellente se hai più o meno capito di che si tratta, ma decisamente lacrimevole al primo morso."
Ma va peggio a da Gama:
"Vasco da Gama era un uomo di una cattiveria mozzafiato. Una volta catturò una nave musulmana con a bordo centinaia di uomini, donne e bambini, chiuse ciurma e passeggeri nelle stive, prese tutte le merci di valore e poi diede l’agghiacciante e gratuito ordine di dare fuoco alla nave. Ovunque andasse, da Gama vessava o massacrava tutti coloro che incontrava, e così facendo stabilì un clima di sfiducia e violenza bruta che avrebbe caratterizzato e svilito l’intera età delle esplorazioni."
Mi aspettavo che dedicasse molto più spazio e approfondimento al tè, tanto amato dagli inglesi, ma del resto Bryson non è inglese e non mi ha stupito che passando a parlare dello zucchero abbia sottolineato come "quasi tutto quello consumato in Inghilterra veniva coltivato dagli schiavi nelle piantagioni delle Indie Occidentali. Abbiamo la riduttiva tendenza ad associare la schiavitù esclusivamente alle piantagioni degli Stati Uniti del Sud, ma in realtà molti altri si arricchirono grazie agli schiavi, non ultimi i mercanti che prima dell’abolizione del commercio di esseri umani nel 1807 trasferirono oltreoceano 3,1 milioni di africani." Verissimo, ma questo non mitiga le colpe... Spiega come la cena sia diventata tale a causa dei continui rinvii dell'orario del pranzo, necessari perché all'epoca gli inglesi benestanti perdevano un mucchio di tempo a scambiarsi reciproche (e inutili) visite di cortesia. E' stato l'intervallo sempre più lungo fra colazione e pranzo a portare all'introduzione del loro lunch.
Anche la parte dedicata alla cantina è stata inaspettatamente interessante. Bryson tratta dei diversi materiali usati nelle varie epoche per costruire le case, e non solo. Dal fango al legno, dalla pietra ai mattoni, dal ferro alla ghisa, fino alla scoperta dell'acciaio. E il ferro gli dà lo spunto per iniziare la parte successiva, che tratta l'andito, parlando della torre Eiffel:
"Non esiste nella storia costruzione al tempo stesso più avanzata dal punto di vista tecnologico, obsoleta per quanto riguarda i materiali, e gloriosamente inutile"
Ma questa parte è dedicata alle invenzioni, in particolare a quella del telefono, dando larghissimo spazio a Bell, ma senza mai citare Meucci. Si passa quindi allo studio e qui il tema sono ratti, topi, pipistrelli e insetti in generale.
"Molte creature hanno così poche pretese, e sono spesso così poco studiate, che quando si estinguono ce ne accorgiamo a malapena"
Il giardino della canonica lo porta a parlare dei parchi delle grandi residenze e della nascita nel XVIII secolo dell'architettura del paesaggio. Racconta anche come nacquero in Inghilterra i miei amati cimiteri-giardini.

La parte dedicata alla stanza prugna viene chiamata così per il colore delle pareti di quello che alle origini della canonica era probabilmente un salotto. Bryson sfrutta questa stanza per parlare di Palladio, della Monticello di Thomas Jefferson e della Mount Vernon di George Washington, mentre dell'evolversi delle pitture usate negli interni delle abitazioni e della carta da parati ne parla nella parte successiva, quella dedicata alle scale, "la parte più pericolosa della casa".

Racconta come, una volta scoperti i pigmenti, le persone benestanti utilizzassero colori molto intensi o addirittura sgargianti per le pareti di casa, sia perché erano sinonimo di ricchezza, sia perché senza elettricità le tinte dovevano per forza essere accese per essere viste anche al lume di candela.

"Lo stesso effetto è stato ottenuto anche a Monticello, dove diverse stanze presentano i gialli e i verdi più accesi. Tutt’a un tratto, George Washington e Thomas Jefferson sembrano avere i gusti decorativi di due hippie."
Di Jefferson cita una curiosità che proprio non sapevo:
 "Fu il primo in America a tagliare le patate in senso longitudinale e poi a friggerle. Oltre a essere stato l’autore della Dichiarazione d’Indipendenza, fu quindi anche il padre della patatina fritta americana."
E si arriva alla camera da letto ("uno strano posto. Non esiste altro luogo in tutta la casa in cui passiamo più tempo facendo di meno"), la parte in cui emergono maggiormente le discriminazioni patite da noi donne in passato (e si può parlare di passato solo a certe latitudini...), quando - per esempio - una donna sposata non era una persona giuridica e quando la nostra istruzione doveva essere sufficiente per renderci utili ai mariti, ma nulla di più.

Bryson passa poi alla chirurgia dell'epoca ed è la parte più truculenta del testo. Fra i vari esempi di operazioni fatte prima dell'invenzione degli anestetici c'è la mastectomia subita nel 1806 da Fanny Burney. Un intervento durato oltre diciassette minuti che la romanziera successivamente ha descritto nei suoi diari. Bryson avrebbe anche potuto limitarsi a scrivere "Il racconto della Burney risulta quasi insopportabile" e gli avremmo creduto sulla parola, senza bisogno di leggere gli stralci riportati.
"Forse non vi è nulla che ci separi in modo così netto dal passato quanto la sbalorditiva inefficacia (e spesso la terrificante sgradevolezza) delle cure mediche di un tempo."
Proseguendo torna a essere divertente parlando di... lutti. Nello specifico dell'infinità di regole vigenti in materia durante l'epoca vittoriana.
"Non c’era nemmeno bisogno di conoscere le persone per cui si era in lutto. Se un marito era stato sposato in precedenza ed era rimasto vedovo, situazione abbastanza comune, in caso di decesso di un parente stretto della prima moglie, la seconda doveva osservare un «lutto complementare», una sorta di cordoglio per conto della consorte scomparsa."

E con altri aneddoti - che strappano più di un sorriso per il benefico effetto dei tanti anni trascorsi e del suo umorismo ("Come se non avessero già abbastanza preoccupazioni, i vittoriani svilupparono curiose ansie riguardo alla morte. Regnava un terrore diffuso della sepoltura prematura, terrore su cui nel 1844 Edgar Allan Poe fece leva con vividi risultati nel racconto omonimo.") - conclude la parte con un accenno alla cremazione, che diventò legale in Inghilterra solo nel 1902, in ritardo rispetto a moltissime altre nazioni.
La stanza da bagno tratta, naturalmente, dell'igiene personale, a partire dai tempi dell'antica Roma. Un tema che strizza l'occhio all'umorismo e che Bryson sfrutta a dovere.
"Il cristianesimo ha sempre manifestato un curioso disagio nei riguardi della pulizia, sviluppando fin dagli inizi la strana tradizione di identificare la santità con la sporcizia. Quando san Tommaso Becket morì nel 1170, coloro che lo seppellirono notarono con approvazione che i suoi indumenti intimi «pullulavano di pidocchi». Per tutta l’età medievale, un sistema quasi infallibile per guadagnare sempiterno onore era fare voto di non lavarsi."
Chiaramente la mancanza di igiene da sempre è un grande alleato delle malattie: anche quando non le causa, di sicuro non le cura. Dalla peste al vaiolo, Bryson riprende (per forza di cose ben più superficialmente) i temi trattati da Carlo Maria Cipolla in "Miasmi e umori" e negli altri suoi saggi, ma il focus resta sulla poca familiarità che in passato gli esseri umani avevano con l'acqua.
"Per alcuni, tuttavia, la sporcizia divenne una sorta di vanto. L’aristocratica Lady Mary Wortley Montagu, una delle prime grandi viaggiatrici della storia, era così lurida che dopo averle stretto la mano una nuova conoscenza sbottò in un’esclamazione di sorpresa. «Cosa direbbe se vedesse i miei piedi?» rispose allegra Lady Mary."
Bryson si diverte moltissimo a perculare i vittoriani ^^
"Ad avvicinare davvero i vittoriani alle vasche da bagno fu tuttavia la consapevolezza che la cosa poteva essere gloriosamente punitiva. I vittoriani avevano una naturale propensione per l’autoflagellazione, e l’acqua divenne un modo perfetto per dimostrarlo."
Leggere mentre facevo colazione la parte riguardante la nascita del sistema fognario e, soprattutto, i vari passaggi che portarono alla sua esigenza non è stata una mossa intelligente...

"Tali masse di umanità producevano naturalmente enormi quantità di feci, ben più di quante potesse accoglierne qualsiasi sistema di pozzi neri. In un rapporto abbastanza tipico per quei tempi, un ispettore informava di aver visitato due abitazioni di St Giles le cui cantine erano invase da quasi un metro di escrementi umani. Fuori, proseguiva la relazione, il cortile era sommerso da quindici centimetri di feci. Per consentire agli abitanti di attraversarlo era stata posata una passatoia di mattoni."
Situazioni di questo genere si traducevano in colossali epidemie di colera, febbre gialla e altre malattie causate da batteri e microorganismi in epoche in cui non si conosceva la loro esistenza. Siamo attorno alla metà del 1800 e si credeva che fosse la puzza a causare le malattie (e qui si ritorna al "Miasmi e umori" di Cipolla).
Nella parte sullo spogliatoio Bryson ripercorre la storia degli indumenti, partendo da ciò che indossava Ötzi, la mummia rinvenuta nell'estate del 1991 sulle Alpi del Tirolo.

"Per chiunque abbia una mentalità razionale, la moda è spesso quasi impossibile da capire. In molti periodi storici – forse in quasi tutti –pare che lo scopo della moda fosse di sembrare il più possibile ridicoli, e se si riusciva anche a stare il più possibile scomodi, il trionfo era assicurato."
Gorgiere, parrucche, crinoline, corsetti, sopracciglia in pelle di topo e altre "ridicolaggini creative" offrono assist imperdibili per l'umorismo di Bryson.

Fu proprio la necessità di filare e tessere il cotone che gettò le basi per la rivoluzione industriale e qui Bryson perde ogni appiglio per la comicità.
Se negli Stati Uniti prima del cotone la schiavitù vigeva in sei Stati e con l’improvviso bisogno di forza lavoro venne legalizzata in altri nove, negli stessi anni in Inghilterra gli stabilimenti tessili in piena espansione iniziarono a sfruttare intensivamente il lavoro minorile. 

"I bambini erano malleabili, costavano poco ed erano generalmente più rapidi a guizzare fra i macchinari e risolvere intoppi, rotture e inconvenienti simili. Anche gli industriali più illuminati sfruttavano senza riserve il lavoro minorile."
Ma ancora più dolente è la parte dedicata alla camera dei bambini. Oltre ad analizzare il fenomeno dell'alto tasso di mortalità infantile ("Le cifre spesso citate dicono che un terzo dei bambini moriva nel primo anno di vita e che la metà non raggiungeva il quinto compleanno. La morte era una visitatrice regolare perfino nelle case più ricche."), Bryson riprende la questione dello sfruttamento minorile descrivendo scenari ben differenti da quelli dei libri della Austen & co. che (vi) fanno tanto sognare: mentre i privilegiati potevano trastullarsi fra balli e sermoni, la realtà per la maggior parte delle persone portava i figli a lavorare in miniera già a cinque o sei anni. Bryson racconta di un piccolo spazzacamino di appena tre anni e mezzo, descrive in cosa consisteva il suo orribile lavoro. Quel bambino ha sicuramente provato lo stesso terrore che affliggerebbe oggi un suo piccolo coetaneo perché neppure la miseria più cupa abitua alla paura.
La cosa che bisogna avere ben presente è che il mondo moderno non è certo esente da situazioni analoghe: si sono solo allontanate geograficamente da noi, così possiamo fare finta di non saperlo. Anche sul fronte della solidarietà sociale non abbiamo fatto molti passi avanti rispetto al 1798 quando il reverendo Thomas Robert Malthus, considerando i poveri responsabili dei loro stessi stenti, si opponeva all’idea di assistenza sociale, che a suo dire avrebbe solo fatto incrementare l’indolenza delle masse perché, scriveva, "anche quando hanno un’occasione di salvezza la sfruttano di rado, perché tutto ciò che va al di là delle loro immediate necessità finisce generalmente in birreria.". Sul reddito di cittadinanza ho sentito e letto commenti anche più ignoranti di questo.

Bryson torna brevemente a parlare dei bambini per specificare che anche quelli nati in famiglie ricche avevano i loro tormenti, ma gli scarsi esempi che fa - riconducibili a un distacco emotivo imposto dai genitori, all'obbligo dell'assoluta obbedienza e a privazioni materiali derivanti dalla mentalità dell'epoca  («A Natale avevamo le arance. La marmellata non la vedevamo mai») - non sono neanche minimamente paragonabili a ciò che hanno dovuto patire da bambini i poveri.
E la "breve" storia della vita privata si conclude in soffitta. Qui l'autore parla di Charles Darwin e raccontando le sue scoperte cerca di mettere in guardia dal mutamento geologico che stiamo vivendo e che in troppi, soprattutto fra i potenti, fingono di ignorare, sottolineando come negli ultimi vent'anni (che sono diventati trenta da quando ha scritto il saggio) abbiamo consumato senza ritegno le risorse che il pianeta può offrirci e che non sono illimitate.

"L’estremo paradosso sarebbe aver creato, nella nostra eterna ricerca dell’agio e della felicità, un mondo privo di entrambi."

Reading Challenge 2023, traccia annuale di gennaio: libri a scelta, la somma delle pagine deve dare 2023 (questo ne ha 536)

sabato 28 gennaio 2023

"Qualcosa da nascondere", Jessica Treadway



Chilton (Wisconsin), 2009. Joy Enright, 17 anni, scompare nel pomeriggio del 13 novembre. In tanti l'hanno vista litigare con tre compagne di scuola per poi allontanarsi da loro e da tutti slittando sulla superficie del laghetto ghiacciato e proseguendo oltre la curva a gomito che si addentra nel bosco, dove non si è più visibili. Dopo aver trovato la sua sciarpa accanto a una spaccatura nel ghiaccio tutti si sono convinti che sia caduta annegando. Ma tre settimane dopo il suo cadavere viene trovato in mezzo al bosco e l'autopsia rileva che è morta per strangolamento.
Dopo due giorni viene fermato Martin Willett, il giovane assistente (e amante) della madre di Joy. Il giorno della scomparsa era dentro alla sua auto, parcheggiata nei pressi del laghetto: lui sostiene di aver fatto una telefonata e di essere andato via, ma Harper, l'ex migliore amica di Joy, testimonia di averlo visto mentre indossava un passamontagna nero, che poi viene ritrovato in uno dei cassetti della sua cucina. Basta questo - più il fatto che sia l'unica persona di colore della cittadina - a trasformare in arresto lo stato di fermo.

Ecco il secondo e ultimo romanzo dell'autrice a essere stato tradotto in italiano. Se a rallentarmi nella lettura di "Quello che non vuoi sapere" era stata l'impaginazione, questa volta attribuisco la causa a una certa pesantezza dello stile narrativo, già presente nell'altro, ma qui più opprimente.
La morte della figlia adolescente fa dei suoi genitori due personaggi devastati dal dolore e schiacciati dai sensi di colpa, ma tutti - dalle figure più rilevanti a quelle minori - hanno un bagaglio di problematiche e malesseri che nell'insieme non invogliano alla lettura.

La particolarità di raccontare gli eventi dal punto di vista di tutte le persone coinvolte (ma solo Martin è narratore diretto) - un sistema che mi è sempre piaciuto nella ricostruzione dei fatti - viene uccisa dalla lentezza adottata dalla Treadway nello svelare i vari tasselli, aggiungendoci un'introspezione spesso forzata e poco convincente, senza contare che alla fine quei tasselli non hanno incastri propriamente perfetti. In particolare ci sono due questioni che non vengono sviluppate in modo sensato e, purtroppo, sono entrambe fondamentali nell'epilogo della storia.

Questa volta non recrimino sul fatto che non abbiano tradotto altro dell'autrice.

Reading Challenge 2023, traccia di gennaio: libri di un autore a scelta


mercoledì 25 gennaio 2023

"L'avvocato canaglia", John Grisham


Un anno non precisato, in una città che potrebbe essere Alamo (Georgia).
In un'America dove per gli avvocati è normale proporsi al pubblico attraverso aggressivi spot pubblicitari in televisione e cartelloni ammiccanti lungo le strade, Sebastian Rudd deve la fama al suo essere disposto a difendere chiunque e per questo in molti lo vorrebbero morto. Il suo furgone Ford - grosso, nero e con finestrini oscurati anti proiettile - ha la parte posteriore ristrutturata per funzionare come l'ufficio mobile che è. A guidarlo è sempre Partner, che è anche la sua guardia del corpo, il suo assistente, il suo confidente, il suo caddy quando gioca a golf e l'unico amico che ha. Rudd lo aveva difeso facendolo assolvere quando era stato processato per l’omicidio di un agente della Narcotici sotto copertura e da quel giorno sono inseparabili.

Rudd è la voce narrante di questo romanzo dalla struttura particolare. Nelle sei parti che lo compongono, ciascuna divisa in tanti capitoli brevi, l'avvocato canaglia racconta diversi casi seguiti nel corso della carriera, storie più o meno truci, tutte piuttosto rocambolesche, che danno modo a Grisham di evidenziare tutto ciò che nel sistema americano non funziona come dovrebbe.

La prima parte ci porta subito nel vivo del processo per il brutale omicidio di due gemelline di appena 11 anni. Alla sbarra c'è un diciottenne, Gardy Baker, un quoziente d'intelligenza pari a settanta (appena sufficiente per essere processato e condannato a morte) e una descrizione fisica che sembra quella di Marylin Manson, aspetto che ha fatto di lui il colpevole ideale, soprattutto agli occhi degli abitanti di Milo, "cittadina di bifolchi reazionari", piccolo centro a due ore di distanza da quella che in tutto il libro viene chiamata "Città" (mi ha un po' deluso questa mancanza di coraggio di non inserire la storia in un contesto preciso, anche se dal nome di una delle carceri potrebbe essere Alamo), dove nessun avvocato ha voluto assumersi l'incarico di difendere il ragazzo.

Un tema e un personaggio che permettono a Grisham fin dalle prime righe di mettere in discussione uno dei capisaldi della democrazia americana, il diritto a un processo equo per chiunque, quando in realtà quello che vuole la maggior parte della gente è una giustizia frettolosa.

"In fondo è una fortuna che non crediamo nei processi equi perché si può stare maledettamente certi che non li abbiamo. La presunzione di innocenza è ormai presunzione di colpevolezza. L’onere della prova è una farsa perché le prove sono spesso menzogne. “Colpevole oltre ogni ragionevole dubbio” significa che se probabilmente è stato lui, allora togliamolo dalle nostre strade."

Rudd, invece, ritiene che tutti abbiano diritto a un processo equo. E in questo caso, cosa che gli capita raramente, è anche convinto dell'innocenza del suo assistito.

Così come è convinto della totale colpevolezza del cliente protagonista della seconda parte, Link Scanlon, che ha collezionato ogni genere di reato, droga, prostituzione, pestaggi, omicidi. Lo conosciamo a poche ore dall'esecuzione capitale a cui è stato condannato sei anni prima come mandante dell'omicidio di un giudice. Non ha speranze di essere graziato, ma ha tanti soldi, può comprarsi tutti gli aiuti possibili dentro e fuori dal carcere e può contare sulla confusione generata dal circo mediatico che tutti - dal governatore al direttore del carcere, passando per ogni altra persona anche solo marginalmente coinvolta nell'esecuzione - ha piacere di sfruttare per mettersi in mostra.

Storia che permette a Grisham una pesante critica alla società e al sistema carcerario americano, discriminante la prima, incapace di correggere e riabilitare il secondo.

"Centinaia di detenuti, tutti in tuta bianca, ammazzano il tempo mentre le guardie li sorvegliano da una torretta.
Sono quasi tutti giovani e di colore. Secondo le statistiche, sono dentro per crimini non violenti legati alla droga. La condanna media è di sette anni. Dopo la rimessa in libertà, il sessanta per cento di loro tornerà dentro nel giro di tre anni.
E perché no? Cosa c’è là fuori che possa impedire il loro ritorno? Ormai sono dei pregiudicati, un marchio che non riusciranno mai a togliersi di dosso. Già erano svantaggiati in partenza, e ora che sono bollati come criminali la vita là fuori dovrebbe essere più semplice? Queste persone sono le vere vittime delle nostre guerre – la guerra contro la droga, la guerra contro il crimine –, le vittime non intenzionali di leggi severe varate da politici inflessibili nel corso degli ultimi quarant’anni. Un milione di giovani neri ammassati in prigioni fatiscenti, che passano le loro giornate nell’ozio a spese dei contribuenti.
Le nostre carceri sono piene di gente, le strade piene di droga. Chi sta vincendo questa guerra?
Abbiamo perso la ragione."

Protagonisti della terza parte sono Kitty e Doug Renfro, una coppia benestante sulla settantina che vive in un quartiere residenziale insieme ai loro due cani. Come molti anziani, usano con parsimonia i due portatili ricevuti in regalo dai figli. Non sanno che il giovane vicino di casa è riuscito a inserirsi nella loro rete wireless da cui gestisce il suo spaccio di ecstasy. Non lo sa neppure la polizia, che però ha scoperto il losco traffico e che - anziché bussare alla porta dei Renfro di giorno per un normale interrogatorio - fa irruzione in piena notte. La situazione degenera, i cani e la donna vengono uccisi dai poliziotti, l'uomo ferito e, nonostante già il giorno dopo gli inquirenti scoprano l'intrusione nella loro rete internet e quindi il vero colpevole, anziché ammettere l'errore cominciano l'operazione di insabbiamento non ritirando le accuse contro Doug Renfro.

Qui Grisham avrebbe anche potuto sprecare qualche parola sull'uso spropositato delle armi negli Stati Uniti, ma non si tira indietro nel denunciare l'ottusità e la prepotenza della polizia.

La quarta, la quinta e la sesta parte intrecciano due casi molto diversi tra loro: Tadeo Zapate - giovane promessa del cage fighting, sponsorizzato proprio da Rudd - perde la testa massacrando di pugni l'arbitro al termine di un incontro perso ai punti. Nello stesso periodo in un banco dei pegni compare la collana che Juliana Kemp indossava al momento del suo rapimento, avvenuto nove mesi prima. La polizia risale a un uomo, Arch Swanger, uno sbandato di trent'anni che indica Rudd come suo legale. E Rudd accetta, perché tutti hanno diritto a una difesa, perché gli inquirenti non hanno nessuna prova del coinvolgimento di Swanger nel rapimento e perché non sa che quello sarà il caso maledetto della sua carriera, quello che lo perseguiterà per sempre.

Ho di nuovo lasciato passare due anni dall'ultimo romanzo letto di Grisham. Ormai è una barzelletta: ne leggo uno, mi rendo conto di quanto mi fosse mancato, mi riprometto di leggerne almeno uno a bimestre (e non sarebbe male considerato che dopo questo del 2015 ne ha scritto ben altri undici, quindi ne ho tanti da recuperare...) e immancabilmente i due mesi diventano due anni.

Credo sia colpa delle trame: il legal thriller, che quando ero giovane era il mio genere preferito, adesso non lo è più, così in questi due anni più di una volta mi sono fatta respingere dalla descrizione di Sebastian Rudd nella sinossi. Invece Grisham ha creato un altro protagonista perfetto nel suo essere imperfetto, un personaggio sopra le righe che gli ha permesso di infliggere innumerevoli stoccate al sistema.

"Quasi ogni mese ho a che fare con procuratori ipocriti che mentono, barano, boicottano, insabbiano, ignorano l’etica e fanno qualsiasi cosa occorra per ottenere una condanna, anche quando sanno la verità e la verità dice che hanno torto."

"Quando i poliziotti non riescono a farti condannare con le prove, usano i media per farti condannare con il sospetto"

"Giudici e procuratori che si preoccupano più della politica, di essere rieletti, che della giustizia."

Un romanzo ricco, ogni vicenda avrebbe potuto costituire un libro a sé: se dovesse leggerlo un autore con il blocco dello scrittore arriverebbe ad appendere definitivamente la penna al chiodo di fronte a un Grisham che può permettersi di "sprecare" in questo modo la sua fantasia.

Reading Challenge 2023, traccia stagionale, inverno: un libro con la parola "cioccolata/o" nel testo

domenica 15 gennaio 2023

"Quello che non vuoi sapere", Jessica Treadway

 

Everton, sobborgo di Albany (Stato di New York). Hanna e Joe Schutt vengono aggrediti nella loro casa al 17 di Wildwood Lane durante la notte del week-end del Ringraziamento da quello che la stampa ribattezza come "il killer della mazza da croquet". Joe muore a causa dei terribili colpi ricevuti, mentre a lei restano per sempre sul volto le cicatrici di quel folle attacco, ma nessun ricordo dei fatti.
Ed è per questo che tre anni dopo il tribunale accoglie l'appello dell'uomo arrestato, processato e condannato per l'omicidio e l'aggressione: Rud Petty ha ottenuto un nuovo processo in virtù del Sesto Emendamento, perché la difesa durante il primo non aveva potuto controinterrogare Hanna a causa della sua amnesia.
Nessuno sa che lei sta cominciando a ricordare qualcosa, ma ha paura di ricordare troppo: perché Rud non era uno sconosciuto, ma il fidanzato di Dawn, la figlia minore della coppia, e in molti ad Everton - procuratore e detective compresi - sono convinti che la ragazza quella notte fosse con lui.

Jessica Treadway, americana classe 1961, è un'insegnante di letteratura con un passato da reporter e su Amazon.com ho visto diversi suoi romanzi, ma in italiano hanno tradotto soltanto questo (titolo originale "Lacy Eye", scritto nel 2015)  e "Qualcosa da nascondere" (scritto l'anno successivo), che inizierò domani.

"Quello che non vuoi sapere" è stata per me una lettura visivamente difficile a causa dell'impaginazione compressa, ma piacevole, è uno di quei libri che ti chiama dal comodino (o da dove lo si tiene) e lo fa pur non essendo certo un thriller memorabile.

Più che la storia in sé, a essere particolare è la narrazione in prima persona fatta da Hanna nel suo presente: niente indica di quale anno si tratti, ma ne sono passati quattro dall'aggressione e uno dalla richiesta di un nuovo processo da parte del condannato. Capitolo dopo capitolo (titolati e tutti abbastanza lunghi) racconta non solo i fatti legati a quei due episodi, ma ricostruisce la sua intera vita. Hanna bambina e figlia, Hanna giovane donna senza più i genitori, Hanna moglie e poi anche madre.

Volendolo analizzare, è come se il libro fosse sdoppiato: pur essendo senza ombra di dubbio un thriller psicologico - sicuramente un po' scontato, ma abbastanza ben costruito, senza errori e che non sfrutta le odiose coincidenze come fanno tanti - nei rapporti fra i membri della famiglia Schutt diventa molto introspettivo e forse è per questo che Amazon lo ha classificato (secondo me sbagliando ed esagerando) nella narrativa contemporanea.

Anche se la Treadway non sembra voler sottolineare le disfunzionalità di questa famiglia, io ne ho rilevate davvero tante. Hanna è una donna insicura (già prima dell'aggressione), che allontana immediatamente i pensieri sgradevoli, come se ignorando i problemi quelli potessero risolversi da soli; che si gira costantemente dall'altra parte tutte le volte in cui le capita di notare qualcosa di preoccupante; che non dice mai quello che pensa e che non chiede spiegazioni agli altri per quello che fanno o dicono ferendola.

Una donna che ha sviluppato forti complessi di inferiorità nei confronti del marito e della figlia maggiore, Iris, e che - pur nutrendo una preferenza per quella minore, che sente più simile a lei - a più riprese si stupisce per come Dawn all'apparenza non si renda conto di non avere i mezzi della sorella, perché è Iris quella bella, intelligente, simpatica, socievole e popolare e, soprattutto, non è strabica come Dawn. Inconcepibile.

Reading Challenge 2023, tracce di gennaio: un libro con la sovraccoperta e di un autore a scelta

sabato 7 gennaio 2023

"Guida il tuo carro sulle ossa dei morti", Olga Tokarczuk


Ma che mondo è questo!? Il corpo di qualcuno convertito in scarpe, in polpette, in würstel, in uno scendiletto, in un brodo di ossa da bere… Le scarpe, i divani, la borsa a tracolla fatta con il ventre di qualcuno, riscaldarsi con la pelliccia altrui, mangiare il corpo di qualcuno, tagliarlo a fette e friggerlo nell’olio…
Ma è possibile che avvenga davvero questo orrore, questa ecatombe, crudele, insensibile, meccanica, senza alcun rimorso di coscienza, senza la più piccola riflessione che invece si concede generosamente a raffinate filosofie e teologie?
Che mondo è quello in cui la norma è uccidere e causare dolore?
Forse non siamo del tutto a posto?
A porsi tutte queste domande è la persona sbagliata: dovrebbe farsele chi mangia gli animali e li usa come se fossero oggetti senza fermarsi a pensare (o infischiandosene) che ciò che indossa, ciò su cui si siede, ciò che mette nel piatto era un essere vivente che è stato ucciso per l'agio umano, come se quella vita non contasse nulla rispetto alla nostra.
"Quando passate davanti alle vetrine dei negozi dove stanno appesi pezzi rossi di corpi squartati, che cosa pensate che siano? Non ci riflettete, vero? Oppure quando ordinate uno spiedino o una cotoletta, che cosa vi portano?"
Janina Duszejko, voce narrante del libro, è antispecista (come l'autrice). Ex ingegnere e costruttrice di ponti, è passata all'insegnamento per motivi di salute. La conosciamo quando è già sulla sessantina e vive nella contea di Kłodzko, più precisamente a Lufcug, nella Polonia sud occidentale. Un pugnetto di case, sette per la precisione, isolate in mezzo al bosco. Di queste sette, soltanto tre sono abitate tutto l'anno: oltre a lei solo "Piede Grosso" e "Bietolone" hanno il coraggio di affrontare i rigidi inverni montani polacchi, quando le temperature scendono fino a venti gradi, o più, sotto allo zero.
"Guardavo il paesaggio bianco e nero dell’Altipiano e compresi che “tristezza” è una parola importante per definire il mondo."
Per mia fortuna la Tokarczuk ha dato alla sua eccentrica protagonista l'abitudine di attribuire soprannomi alle persone (ma non lo fanno tutti? Proprio Bietolone era un dei nomignoli che avevo affibbiato a mio padre ^^) perché altrimenti mi sarei persa in quell'accozzaglia di consonanti che sono i nomi e i cognomi polacchi
(per esempio Bietolone si chiama Świerszczyński!!). Ed è lui a svegliarla nel cuore di una gelida notte di gennaio per informarla della morte del loro vicino, Piede Grande. Non sarà l'unico cadavere del libro: ci saranno Cinghiali, Cervi, Lepri, Fagiani, Cani, eccetera, ed alcuni altri uomini. Tutti cacciatori, trait d'union che porterà Janina a sostenere che quelle morti siano vendette degli animali. Il romanzo è stato inserito nella più generica delle categorie, quella della narrativa contemporanea, e ci può stare, anche se a mio avviso si avvicina moltissimo a un noir. Un libro scritto benissimo (il Premio Nobel per la letteratura - per quanto ci sia sempre qualcuno che contesta le scelte - non lo danno certo a chi scrive come me...) che mira a far capire quanto sia sbagliato e ingiusto uccidere gli animali in un'epoca dove esiste un'alternativa per tutto.
"Ma gli uomini non vedono tutto questo? Il loro intelletto è o no in grado di andare al di là dei piccoli piaceri egoistici?"
Se dovessi riportare tutte le parti che mi hanno fatta commuovere, arrabbiare, soffrire o esultare, finirei per ricopiare mezzo libro.
"C’è veramente una differenza così grande tra una Lepre, un Cane e un Maiale?"
Nonostante ciò temo che l'aver scelto una protagonista come Janina - con la sua ossessione per l'astrologia e le sue illogiche convinzioni derivanti da questa passione - possano fare più male che bene alla causa animalista, fornendo a chi non ha il coraggio e/o l'intelligenza per riflettere sulle parti più crude che riguardano le nostre responsabilità verso il pianeta e gli altri esseri viventi che lo popolano, una facile scappatoia, minimizzando i valori animalisti, appunto, come stramberie e fissazioni di un manipolo di esaltati e di sciroccati.
A lei fanno più pena gli animali degli uomini.
Non è vero. Provo la stessa pena per gli uni e per gli altri. Però nessuno spara a degli uomini indifesi
Questo non è vero, sparano anche a degli uomini indifesi. Ma li chiamiamo vittime.

Reading Challenge 2023, traccia stagionale, inverno: un libro che contiene la parola "neve" nel testo


 

giovedì 5 gennaio 2023

"Il cliente non ha sempre ragione", Anna Sam

 

Invece di confermare sempre il vecchio adagio che vede noi genovesi come maestri del mugugno, questa volta ho fatto lo sforzo di cercare qualche aspetto positivo anche in questo libro e due li ho trovati:

1. l'ho finito
2. dopo un inizio del genere il livello delle mie letture per il 2023 non può che migliorare.

Come e perché sia entrato nella mia libreria lo avevo già spiegato lo scorso anno quando avevo letto l'altro libro dell'autrice, "Le tribolazioni di una cassiera". In quella recensione racconto anche chi è Anna Sam e cioè (riassumendo) una francese che per otto anni ha lavorato come cassiera in un supermercato e che a un certo punto ha cominciato a raccontare gli aneddoti legati al suo lavoro in un blog da cui poi è nato quel suo primo libro che, grazie alle eccezionali vendite, le ha permesso di licenziarsi e di dedicarsi ad altro.

Se già avevo apprezzato poco l'opera prima, con la seconda è andata ancora peggio.

A livello stilistico non ho riscontrato nessuna differenza (quindi nessuna evoluzione): capitoli brevissimi dedicati a piccoli argomenti raccontati in un modo che può essere adatto per un blogger umoristico (che comunque non seguirei), ma non per un libro perché in questo caso ogni parola grida: boiata!

Ma l'aspetto peggiore per me è stato trovarmi a leggere qualcosa di completamente diverso da quello che avevo creduto di capire dal titolo dell'edizione italiana.
Se fosse stato fedele a quello originale, "Conseils d'amie à la clientèle", questo libro non sarebbe neppure apparso nella mia ricerca di quello di Pastorino e mi sarei risparmiata soldi e tempo di lettura.

Preciso: la sinossi è chiara, ma io - cretina - non l'ho letta e ho dato per scontato che ne "Il cliente non ha sempre ragione" venissero raccontati episodi a dimostrazione di ciò, vissuti dalla Anna Sam cassiera del supermercato.

Invece no.

Questa volta, scrivendo in seconda persona plurale, si traveste da cliente e - da un 17 gennaio di un anno non precisato al 13 febbraio di quello successivo - a mo' di diario racconta le svariate situazioni che possono capitare quando si va a fare la spesa in un (gigantesco) ipermercato (a patto di essere pigri, mal organizzati e un po' ottusi: questo lo dico io in base a quello che ho letto), dal compilare la lista della spesa al modo in cui se ne fa uso quando si è dentro, dal tocchignare i cibi al cadere nella rete delle promozioni comprando soprattutto cose non previste, dall'imbranataggine con le casse automatiche al muro in cui ci si imbatte quando si deve ricorrere al servizio assistenza del centro commerciale, eccetera, eccetera...

In 144 pagine non mi ha strappato nemmeno l'ombra di un sorriso (ricordo che sarebbe un libro umoristico), facendomi irritare soprattutto nei due capitoli che credo volessero essere i più spiritosi e che sono solo demenziali: in uno immagina come sarebbe fare la spesa in un supermercato dotato di una pista da corsa per carrelli, nell'altro la cliente adulta si comporta come una bambina di dieci anni sedendosi per terra a leggere l'analogo francese di Topolino o impazzendo per l'imbarazzo della scelta davanti ai coloratissimi sacchetti di caramelle.

Ma il peggio arriva alla fine quando decide di cambiare radicalmente il modo di fare la spesa. Come? Facendo la spesa online!

Da piccola commerciante quale sono l'unica cosa che ho da dire è: Anna Sam, ma vaffanculo, va!

Reading Challenge 2023, traccia di gennaio: libri con la sovraccoperta


martedì 3 gennaio 2023

Riassunto letture 2022


Libri letti: 125

Ebook: 98
Cartacei: 27

Comprati da me durante l'anno: 68
Comprati da me, ma che avevo già: 57

Generi:

Romanzi: 97
Storie personali: 10
Saggi: 9
Raccolte di racconti: 4
Per bambini: 3
Graphic Novel: 1
Young Adult: 1


Sottogeneri:

Narrativa contemporanea: 53
Thriller: 19
Gialli: 11
Storia: 7
Romanzi rosa: 6
Classici: 5
Autobiografie: 4
Gialli storici: 2
Horror: 2
Noir: 2
Reportage: 2
Società e politica: 2
Biografie: 1
Classici per bambini: 1
Romanzi storici: 1
Fantascienza: 1
Fantasy: 1
Gotici: 1
Rivisitazioni: 1
Salute e benessere: 1
Ucronici: 1
Umoristici: 1

Scritti da donne: 74

Scritti da uomini: 51


Nazionalità:

Italiani: 34
Statunitensi: 23
Francesi: 21
Inglesi: 18
Tedeschi: 5
Giapponesi: 3
Argentini: 2
Australiani: 2
Russi: 2
Spagnoli: 2
Svizzeri: 2
Canadesi: 1
Cileni: 1
Gallesi: 1
Israeliani: 1
Olandesi: 1
Marocchini: 1
Nigeriani: 1
Portoghesi: 1
Scozzesi: 1

Sudcoreani: 1
Svedesi: 1


Numero delle pagine: 35.189

Media di pagine al giorno: 96.41

Le tre copertine più belle:



I libri più amati:



domenica 1 gennaio 2023

Reading Challenge: le tracce di gennaio



TRACCE DA COLLEGARE

Tracce da collegare:

A - Uno o più libri con la sovraccoperta
B - Uno o più libri di un autore a scelta
C - Uno o più libri narrati in prima persona

A:
  • Il cliente non ha sempre ragione, Anna Sam (1 punto)
  • Guerra e pane, Margherita Oggero (1 punto)
A+B:
  • Quello che non vuoi sapere, Jessica Treadway (3 punti)
B:
  • Qualcosa da nascondere, Jessica Treadway (4 punti + 1 punto foto)

I miei punti di gennaio = 10


    TRACCE STAGIONALI

INVERNO (completata a febbraio)
  • Un libro che contiene la parola neve nel testo
    Guida il tuo carro sulle ossa dei morti, Olga Tokarczuk
  • Un libro che contiene la parola cioccolata/o nel testo
    L'avvocato canaglia, John Grisham
  • Un libro che contiene la parola montagna/e nel testo


TRACCE ANNUALI

01. Libri a scelta, la somma delle pagine deve dare 2023
  • Breve storia della vita privata, Bill Bryson