domenica 18 settembre 2022

"Rancore", Gianrico Carofiglio



Milano, novembre 2019. Penelope Spada, adesso 45enne, continua a lavorare come investigatrice privata, pur non avendo la licenza necessaria, e continua a ricevere i clienti sul retro del bar dell'amico Diego. I clienti o gli aspiranti tali, come la donna che quel mattino le è seduta di fronte: Marina Leonardi ha impugnato il testamento del padre Vittorio, morto da due anni per un comune infarto, ma lei è convinta che la matrigna sia riuscita in qualche modo a inscenare una morte naturale. Lisa Sereni, ex soubrette di bassa lega, ha due anni in meno di Marina e ne aveva ben trentatré meno del marito. Con la sua morte ha ereditato la stragrande maggioranza del patrimonio. Un enorme patrimonio.
Penelope accetta di occuparsi del caso, pur avvisando la cliente che ben difficilmente riuscirà a trovare prove su un fatto avvenuto due anni prima e che non è mai nemmeno stato un caso da seguire per le forze dell'ordine. E accetta senza informare la Leonardi che il nome di suo padre è in qualche modo legato al motivo per cui cinque anni prima lei si era licenziata dalla procura.

Seconda puntata della serie che ha per protagonista Penelope Spada. Sono trascorsi due anni fra le vicende raccontate nel primo libro, "La disciplina di Penelope", che è stato anche il primo che ho letto quest'anno.

"Rancore" ha confermato i miei dubbi e le mie perplessità. Mi fa sempre tanto piacere leggere Carofiglio, lo considero un autore di alto livello, i suoi romanzi non sono solo intrattenimento, sono istruttivi e anche questo lo è (carenza che invece avevo riscontrato nell'altro) offrendo un'accurata disamina su mafie e crimine organizzato, rendendo onore a Falcone e Borsellino e - grazie a personaggi legati alle logge massoniche - entrando in questo mondo oscuro riuscendo a descrivere con semplicità queste associazioni che di semplice non hanno proprio nulla e sulle quali ho un'opinione identica a quella che ho letto nel libro:

"Provo una diffidenza profonda nei confronti di quel mondo, mi sembra così poco compatibile con la mia idea di democrazia"
Il libro, come sempre, è ricco di belle citazioni e mi ha fatto sorridere vedere che anche Carofiglio, come me, parla ancora di scuola elementare e non primaria. Mi sono trovata d'accordo con molte altre affermazioni ("La maggior parte delle persone non ha opinioni personali, adotta quelle che sente da altri e si convince che siano proprie") fra cui, piacevolissima sorpresa, anche alcune animaliste:

"Noi non siamo lupi o tigri, loro non possono scegliere se mangiare o no la carne. Cosí come non potevano scegliere gli uomini primitivi. Tu e io viviamo in Italia nel 2019, e alimentarci senza carne – e anche senza pesce – non solo non comporta un pericolo per la vita, ma neanche un pericolo per la salute. Perciò noi scegliamo di mangiare gli altri animali. Mangiamo – mangiate – vitello dagli occhi dolci."
Propone addirittura una ricetta (che senz'altro proverò) a base di tofu - scelta molto coraggiosa visto che il tofu è l'emblema del cibo triste per chi ama sfottere i vegani (ma provate a seguire sui social i due ragazzi di Elefante Veg e poi vediamo chi mangia triste) - ed evidenzia la grande incoerenza della gente ("Noi non proviamo commozione o disgusto davanti a un bell’hamburger. Ma se assistiamo allo spettacolo di un vitello che si dibatte mentre lo trascinano, be’ qualche dubbio ci viene."). Avrebbe però potuto trovare un appellativo diverso per prendere le distanze da chi in qualche modo esagera: anche rompicoglioni mi sarebbe andato bene, ma "vegani estremisti" no, semplicemente perché (ed è ovvio, basta pensarci) essere vegani non permette mezze misure, non puoi essere solo un po' vegano. E, no, al vegano non puoi dire "ma vivi e lascia vivere", proprio non puoi. Anche il perché di questo è ovvio. Comunque sia, caro Carofiglio, trova un altro termine: "Estremista è chi sgozza, non chi salva" (cit.). Ma, tornando ai miei dubbi, è la protagonista che continua a non convincermi: la trovo così maschile da farmi continuare a chiedere perché Carofiglio non si sia inventato un altro personaggio uomo. Probabilmente però lui l'ha voluta proprio così perché la capacità di creare profili femminili credibili e accurati non gli manca, lo dimostrano due dei personaggi di questa storia, Lisa (la giovane vedova) ed Elena (la donna di servizio del defunto), ma a me Penelope Spada proprio non piace. E questo non vuol dire che non mi sia piaciuto il libro.

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