venerdì 16 febbraio 2024

"L'ombra di quel che eravamo", Luis Sepulveda

 

"La libertà è uno stato di grazia e si è liberi solo mentre si lotta per conquistarla"

Santiago, sera di un 16 luglio all'inizio del nuovo millennio. Piove da giorni sulla capitale cilena. Fa freddo. Non è il tempo migliore per uscire, ma un uomo vestito di nero cammina con tutta la velocità che gli concede l'età per arrivare alla vecchia officina dove ha dato appuntamento a tre compagni di un tempo. Costeggiando un palazzo non può sapere che in un appartamento del quarto piano una donna sta superando il limite di sopportazione nei confronti del marito e che di lì a poco, per manifestargli il suo disprezzo, scaraventerà dalla finestra lo stereo, che diventerà così arma del delitto.
E nell'attesa di qualcuno che non arriverà mai, i tre radunati dentro all'officina hanno tutto il tempo per perdersi nei ricordi.

Da circa un anno nel mio quartiere è stato allestito un grazioso piccolo BookCrossing che funziona con il solito metodo, lascia un libro e prendine uno.


Di scambi sono riuscita a farne pochi, a quanto pare a Pegli la gente legge soprattutto Harmony (oppure è vero che noi genovesi abbiamo il braccino corto, anche quando non c'è da sborsare denaro...), ma il mese scorso ho trovato questa perla.

Scritto nel 2009, è un librino di appena 148 pagine con una trama piuttosto bizzarra (l'atipicità dell'arma del delitto rende bene l'idea), una storia che è soltanto un pretesto per raccontare la Storia. Naturalmente quella del Cile.

I tre che aspettano dentro all'officina - Lucho Arancibia, Lolo Garmendia e Cacho Salinas - negli anni Settanta militavano nelle file di Salvator Allende. L'uomo che aspettano - Pedro Nolasco, detto l'Ombra - è un anarchico, protagonista di tante battaglie, ricordato con onore anche dall'ispettore Crespo, incaricato di indagare sulla sua strana morte.

"Non erano più la giovane guardia. La giovinezza era rimasta sparpagliata in centinaia di posti, strappata a brandelli dalle scosse elettriche negli interrogatori, sepolta in fosse segrete che lentamente venivano alla luce, negli anni di carcere, in stanze estranee di paesi ancora più estranei, in ritorni omerici che non portavano in nessun luogo, e di lei restavano solo canzoni di lotta che nessuno cantava più perché i padroni del presente avevano deciso che in Cile non c'erano mai stati giovani come loro."

Sono tanti i riferimenti a persone realmente esistite, alcuni riconoscibili da chiunque (Pablo Neruda, il Che, eccetera), altri che spingono alla ricerca in rete: ogni nome è stato interessante da approfondire, in particolare Clotario Blest, sindacalista cileno, che nel libro rivive attraverso l'appassionato e commovente ricordo dell'ispettore Crespo.

E sono tanti anche i fatti raccontati attraverso i ricordi dei tre nell'officina, ricordi che costituiscono il passato di Sepulveda - la cui famiglia è stata vittima della repressione di Pinochet (nel nonno di Pedro credo ci sia molto del nonno dell'autore) - e che descrive così l'11 settembre 1973:


"Era arrivato quel mattino piovoso di settembre e da mezzogiorno in poi gli orologi avevano iniziato a segnare ore sconosciute, ore di diffidenza, ore in cui le amicizie svanivano nel nulla e non restava altro che il pianto terrorizzato delle vedove e delle madri."

Con un immancabile pensiero ai sedicenti padroni del mondo:

"Gli statunitensi avevano firmato un assegno in bianco per mandare in rovina il nostro paese"

Un libro che forse può non piacere a tutti perché bisogna credere in certi ideali per riuscire a capirli e ad apprezzarli. Un vero amarcord fatto di malinconia, rimpianti, ma soprattutto di orgoglio. E di tanta, tanta amarezza verso il presente.

"Questo mondo ha perso completamente la sete di uguaglianza sociale"

La paura per il futuro ce la aggiungo io.

Reading Challenge 2024, traccia vagabonda febbraio: Cile