martedì 6 febbraio 2024

"Tre storie extra vaganti", Carlo Maria Cipolla

 

Può un saggio adempiere al suo ruolo divulgativo in maniera divertente? Sì, se a scriverlo è stato Carlo Maria Cipolla.
Rispetto ai tre testi letti in precedenza ("Il pestifero e contagioso morbo", "Allegro, ma non troppo" e "Miasmi e umori"), è in questo librino (appena 91 pagine, scritto nel 2003) che emerge maggiormente la specializzazione in storia economica dell'autore.

In ciascuna delle tre parti, come evidenziato dal titolo, racconta altrettanti episodi curiosi dei secoli passati, tutti legati al commercio. 

Gli "Uomini duri" del primo capitolo sono i mercanti (mercatores). Attraverso la famiglia fiorentina dei Bardi - il cui Banco all'inizio del Trecento arrivò a essere la  compagnia mercantile e finanziaria più ricca e potente d'Europa - Cipolla descrive l'evoluzione di queste figure che passarono dall'essere guardati nell'alto Medioevo con sospetto da chiunque ("un po' come gli zingari oggigiorno") e condannati dalla Chiesa per il loro attaccamento al denaro ad arrivare ai vertici delle società grazie alla "rivoluzione commerciale" che in alcune zone (Italia centrosettentrionale, Catalogna, Paesi Bassi e città della Lega Anseatica)  li portò a diventare padroni.
Seguiamo, quindi, la mirabolante ascesa dei Bardi e il successivo tracollo, da banchieri a falsari.

Falsari che sono i protagonisti del secondo capitolo, "La truffa del secolo" (XVII) perpetrata per circa un ventennio da alcuni nobili liguri ai danni dei turchi, per i quali i luigini (moneta francese) non erano mai abbastanza. A causare la crescita della richiesta fu la smania delle donne turche di trasformare le monetine (un luigino valeva un dodicesimo di scudo francese) in monili di ogni genere - orecchini, bracciali, collane - finché la "massiccia e improvvisa domanda di luigini ne spinse al rialzo il valore di scambio".
E chi arrivò a risolvere la penuria?

"Se c’è un posto al mondo in cui si profili qualche possibilità di guadagno, potete star certi che vi troverete un genovese"

Così scriveva nel 1675  Jacques Savary nel suo trattato commerciale e finanziario intitolato "Le parfait négociant" (e Cipolla aggiunge: "Ho girato mezzo mondo, ho insegnato per tre anni all’Università di Genova e non conosco persona che se la sentirebbe di contraddire minimamente l’affermazione di Savary a proposito dei Genovesi").

In realtà gli ideatori della truffa furono dei mercanti francesi, ma per coniare illegalmente luigini (meno argento e più rame) dovettero rivolgersi ai Grimaldi, agli Spinola, ai Doria e ad altri nobili signori che godevano del diritto di zecca.

Savary, insieme ai figli, torna anche nel terzo e ultimo capitolo, "I Savary e l’Europa".
Cipolla amplia il panorama passando dalla Francia - dove i mercanti vennero elevati al rango di nobili grazie all'ordinanza emanata da Luigi XIII nel 1623 - al regno di Polonia, che fino a
lla metà del XVI secolo era lo Stato più potente del centro Europa, ma che nel 1772 (trattato di Pietroburgo) scompariva.
Russia, Prussia e Austria si spartirono i territori e a pagarne le conseguenze furono gli ebrei, esplusi dalla Russia o costretti a vivere in villaggi-ghetto se si trovavano in zone prussiane o austriache.

Si torna a parlare anche di noi genovesi con Savary che, nel trattato sopra citato, ci riconosce "un'intraprendenza impareggiabile" che ci portava a "brillare per abilità commerciale".

"I Savary - padre e figlio - dimostrano a più riprese nelle loro opere stima per gli italiani, e la cosa è tanto più degna di nota perché in Francia a quel tempo gli Italiani erano malvisti, specialmente a corte dove quel megalomane del Re Sole nutriva un feroce odio contro i Genovesi. Costoro erano già stati oggetto di speciale odio da parte di Filippo II di Spagna quando questi era costretto a prendere continuamente danaro a prestito da loro. Tra il 1550 ed il 1650 i Genovesi avevano dominato le finanze europee e profittando del continuo stato di bancarotta di Filippo II, lo avevano spennato come un pollo. Non stupisce che questi li ripagasse con un rancore profondo che rimase però silente perché l’uomo era maestro di self-control. L’ineffabile Re Sole invece non perdeva occasione per dirne di grosse e il suo ambasciatore riportava che il suo re «non vuole far pace con i Genovesi, ma li vuole tutti per morti et fare a suo potere che non si conosca più dove sia stata quella città."

E Re Sole provò davvero ad annientarci con il bombardamento navale del 1684, senza però ottenere né la resa né la conquista.

Ciao Luigino, avresti fatto meglio a preoccuparti per la tua gotta...

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