New York, anni Settanta. David Bell ha 28 anni ed è bello: occhi azzurri, capelli biondi, altezza che sfiora il metro e novanta, fisico prestante. Ormai si è abituato a essere scambiato per un attore, con tanto di richiesta di un autografo. Ma lui lavora dietro alle quinte, non del cinema, bensì della televisione. E' autore di un noto programma trasmesso dal network di cui è anche dirigente. Frivolezze e mondanità fanno parte del suo lavoro: tanti soldi, tante donne, tante feste, tanti contatti. Tutto cambia quando, a sorpresa, il suo programma viene silurato: David affitta un camper, compra una cinepresa, raduna tre compagni di avventura e parte per il Midwest. Scopo: produrre un documentario sui Navajo per il cinema indipendente.
Dopo tanti tentennamenti ho trovato il coraggio per affrontare Don DeLillo, che - se possibile - mi intimoriva ancora più di Philip Roth.
Nato nel Bronx nel 1936 (stesso anno di mio padre), da genitori immigrati dalla provincia di Campobasso, ha scritto questo suo primo romanzo nel 1971: non è considerata la sua opera migliore, ma avercene di autori capaci di scrivere così bene fin dall'esordio! E lo dico nonostante non sia stata un'esperienza di lettura da colpo di fulmine, come mi era successo con Roth e con la Oates.
Mi piacciono le digressioni e sapevo che sono un tratto distintivo di DeLillo, però non mi aspettavo che potessero arrivare a essere l'essenza di un romanzo. Più di una volta mi sono persa fra i tantissimi personaggi che spuntano e scompaiono prima di capire che non erano importanti singolarmente, ma nel loro insieme, un mezzo per descrivere la società dell'epoca.
David è la voce narrante delle 420 pagine del romanzo, divise in quattro parti e dodici capitoli, di cui solo tre abbastanza brevi, gli altri tutti lunghi o lunghissimi. In realtà le parti avrebbero potuto essere soltanto due: prima c'è David immerso nella sua sfavillante vita newyorkese, con situazioni, ambientazioni, dialoghi e personaggi che mi hanno dato l'impressione di leggere una lunga sceneggiatura di "Mad Men" (anche se in realtà l'unico che lavora come pubblicitario è suo padre); poi c'è il David on the road, in verità con poca strada e tantissimi incontri.
Lo scopo di David, al di là dei Navajo, è quello di incontrare e raccontare la gente comune, quella lontana dal sogno americano che lui ha vissuto appieno a New York.
Sono convinta che se avessi letto "Americana" un anno fa mi sarebbe piaciuto molto più di quanto non lo abbia apprezzato adesso perché giusto a maggio dell'anno scorso ho letto "Motel Life" e il modo in cui Vlautin racconta i disagi delle persone, soprattutto il genere di persone che sceglie di raccontare, non ha rivali.
Ma questo è solo il mio primo DeLillo.
Digressivo
Dopo tanti tentennamenti ho trovato il coraggio per affrontare Don DeLillo, che - se possibile - mi intimoriva ancora più di Philip Roth.
Nato nel Bronx nel 1936 (stesso anno di mio padre), da genitori immigrati dalla provincia di Campobasso, ha scritto questo suo primo romanzo nel 1971: non è considerata la sua opera migliore, ma avercene di autori capaci di scrivere così bene fin dall'esordio! E lo dico nonostante non sia stata un'esperienza di lettura da colpo di fulmine, come mi era successo con Roth e con la Oates.
Mi piacciono le digressioni e sapevo che sono un tratto distintivo di DeLillo, però non mi aspettavo che potessero arrivare a essere l'essenza di un romanzo. Più di una volta mi sono persa fra i tantissimi personaggi che spuntano e scompaiono prima di capire che non erano importanti singolarmente, ma nel loro insieme, un mezzo per descrivere la società dell'epoca.
David è la voce narrante delle 420 pagine del romanzo, divise in quattro parti e dodici capitoli, di cui solo tre abbastanza brevi, gli altri tutti lunghi o lunghissimi. In realtà le parti avrebbero potuto essere soltanto due: prima c'è David immerso nella sua sfavillante vita newyorkese, con situazioni, ambientazioni, dialoghi e personaggi che mi hanno dato l'impressione di leggere una lunga sceneggiatura di "Mad Men" (anche se in realtà l'unico che lavora come pubblicitario è suo padre); poi c'è il David on the road, in verità con poca strada e tantissimi incontri.
Lo scopo di David, al di là dei Navajo, è quello di incontrare e raccontare la gente comune, quella lontana dal sogno americano che lui ha vissuto appieno a New York.
"Questo è l’unico paese al mondo in cui la violenza fa ridere"
Sono convinta che se avessi letto "Americana" un anno fa mi sarebbe piaciuto molto più di quanto non lo abbia apprezzato adesso perché giusto a maggio dell'anno scorso ho letto "Motel Life" e il modo in cui Vlautin racconta i disagi delle persone, soprattutto il genere di persone che sceglie di raccontare, non ha rivali.
Ma questo è solo il mio primo DeLillo.
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