Roma, 22 luglio 2017. Sono le 23.20 quando Alberto Martinelli, 50 anni, professore di economia, esce di casa per andare a prendere la figlia adolescente ospite di un'amica. Sandra, la moglie, ha uno strano presentimento, si gira per dirgli che andrà lei, ma il marito sta già uscendo. Alberto tornerà a casa solo dopo molti mesi e nella condizione peggiore: un pirata della strada lo travolgerà facendo di lui un tetraplegico.
Un altro luglio, ma di cinque anni dopo. L'avvocato Filippo Santini non riceve mai senza appuntamento, ma quel giorno fa un'eccezione. La donna che gli siede di fronte gli racconta la tragedia che ha colpito suo marito condannandolo a una vita che non è più vita e che Alberto non vuole più.
La tematica è forte e Caringella la affronta dal punto di vista giuridico con giusti riferimenti ai tre casi che hanno fatto scuola in Italia in materia di eutanasia, Englaro, Welby e DJ Fabo, evidenziando carenze e ipocrisie della nostra legislazione ("Siamo un Paese bigotto, intriso di ipocrisia, di moralismo, di formule vuote. La vita è un bene sacro, che non appartiene a noi ma a Dio Creatore: nessun consenso e nessuna sofferenza ti autorizzano a uccidere un uomo. Un tabù: prima o poi cadrà, ma per ora è ancora solido."), ma dando spazio anche alle motivazioni dei contrari ("L’eutanasia non esiste nelle società poco sviluppate che, pure, conoscono la morte come e più di noi: è una scoperta degli intellettuali e politici di sinistra delle società occidentali, in cui l’etica religiosa non è stata sostituita da un’etica laica."), alle riflessioni filosofiche ("L’antico dibattito, che risale a Platone, Aristotele e Agostino, avrebbe preso un’altra piega se si fosse incentrato sul bisogno del malato di liberarsi da un corpo dilaniato dal male.") e religiose ("La funzione del giudicare è divina: dovrebbe spettare solo a Dio accertare la verità e regalare la giustizia. Solo l’Essere Supremo può stabilire ciò che è giusto e ciò che è vero, e distinguere il bene dal male.").
Io - che non sono né legislatrice, né fascista, né filosofa, né credente - la faccio semplice: ci vuole rispetto per chi non ce la fa più a vivere e ci vuole tutela per una scelta così estrema.
Purtroppo il libro non sfrutta bene il potenziale della tematica, c'è molta retorica, poca fluidità in certe parti che diventano pesanti e ci sono alcuni dettagli della trama che impoveriscono la storia, ad esempio il modo in cui Sandra sceglie l'avvocato a caso, perché attratta dalla targa mentre passeggia davanti al palazzo dove lui ha lo studio, peggio ancora l'inutile liaison che si crea fra i due.
Un altro luglio, ma di cinque anni dopo. L'avvocato Filippo Santini non riceve mai senza appuntamento, ma quel giorno fa un'eccezione. La donna che gli siede di fronte gli racconta la tragedia che ha colpito suo marito condannandolo a una vita che non è più vita e che Alberto non vuole più.
Diritto di morire
La tematica è forte e Caringella la affronta dal punto di vista giuridico con giusti riferimenti ai tre casi che hanno fatto scuola in Italia in materia di eutanasia, Englaro, Welby e DJ Fabo, evidenziando carenze e ipocrisie della nostra legislazione ("Siamo un Paese bigotto, intriso di ipocrisia, di moralismo, di formule vuote. La vita è un bene sacro, che non appartiene a noi ma a Dio Creatore: nessun consenso e nessuna sofferenza ti autorizzano a uccidere un uomo. Un tabù: prima o poi cadrà, ma per ora è ancora solido."), ma dando spazio anche alle motivazioni dei contrari ("L’eutanasia non esiste nelle società poco sviluppate che, pure, conoscono la morte come e più di noi: è una scoperta degli intellettuali e politici di sinistra delle società occidentali, in cui l’etica religiosa non è stata sostituita da un’etica laica."), alle riflessioni filosofiche ("L’antico dibattito, che risale a Platone, Aristotele e Agostino, avrebbe preso un’altra piega se si fosse incentrato sul bisogno del malato di liberarsi da un corpo dilaniato dal male.") e religiose ("La funzione del giudicare è divina: dovrebbe spettare solo a Dio accertare la verità e regalare la giustizia. Solo l’Essere Supremo può stabilire ciò che è giusto e ciò che è vero, e distinguere il bene dal male.").
Io - che non sono né legislatrice, né fascista, né filosofa, né credente - la faccio semplice: ci vuole rispetto per chi non ce la fa più a vivere e ci vuole tutela per una scelta così estrema.
Purtroppo il libro non sfrutta bene il potenziale della tematica, c'è molta retorica, poca fluidità in certe parti che diventano pesanti e ci sono alcuni dettagli della trama che impoveriscono la storia, ad esempio il modo in cui Sandra sceglie l'avvocato a caso, perché attratta dalla targa mentre passeggia davanti al palazzo dove lui ha lo studio, peggio ancora l'inutile liaison che si crea fra i due.
C'è poi una frase del libro che mi ha colpita molto:
Purtroppo a colpirmi non è stato il suo significato perché quello lo aveva già fatto la prima volta che l'avevo letta, riportandola anche nella recensione ("La migliore bugia")! Evidentemente a Caringella piace plagiare se stesso, il prologo de "L'estate di Garlasco" e il quarto capitolo de "Il colore del vetro" si differenziano solo per dettagli di poco conto. Questa volta si tratta di un'unica frase, ma questo non rende meno grave questa ridicola abitudine che mi ha fatto passare la voglia di continuare a leggere l'autore.
Reading Challenge 2025, traccia dadi di maggio: 54

"In un’aula di giustizia non vince la storia migliore, ma la bugia raccontata meglio"
Purtroppo a colpirmi non è stato il suo significato perché quello lo aveva già fatto la prima volta che l'avevo letta, riportandola anche nella recensione ("La migliore bugia")! Evidentemente a Caringella piace plagiare se stesso, il prologo de "L'estate di Garlasco" e il quarto capitolo de "Il colore del vetro" si differenziano solo per dettagli di poco conto. Questa volta si tratta di un'unica frase, ma questo non rende meno grave questa ridicola abitudine che mi ha fatto passare la voglia di continuare a leggere l'autore.
Reading Challenge 2025, traccia dadi di maggio: 54
