venerdì 9 maggio 2025

"La busta gialla", Marco Francalanci

 

Torino, 2015. E' solo per la curiosità del suo fisioterapista se Marco Francalanci scopre, quando ha già 70 anni, di avere delle cicatrici nella zona lombare. Il professionista ipotizza che siano state causate da numerose iniezioni, che Francalanci è certo di non aver mai fatto. Eppure i segni ci sono... Sarà Paola, l'anziana madre, a raccontargli come ha rischiato di morire quando aveva soltanto tre mesi, salvato da un farmaco sperimentale messo a punto dai nemici. Perché era l'autunno del 1944 e c'era la guerra.

Come spiegare il dramma della guerra ai bambini

Libro scovato per caso lo scorso anno sugli scaffali del Libraccio di Savona, pubblicato nel 2017 da Francalanci, giornalista del Secolo XIX e successivamente anche di Repubblica.
Una storia personale che si intreccia (predominando) a quella dell'Europa, dell'Italia e, soprattutto, di Genova.

La busta gialla del titolo è quella che la madre dell'autore dà per scontato che il figlio abbia trovato, perché è lì che sono conservati i documenti relativi al ricovero di Marco neonato al Gaslini, dal novembre 1944 al gennaio 1945. Ricovero che lei e il marito avevano preferito tenergli nascosto.

Questo è quello che succede nel prologo, raccontato da Francalanci in prima persona, mentre è Paola la voce narrante del romanzo. La donna ripercorre la sua vita a partire dai diciassette anni, le prime esperienze lavorative, gli svaghi dell'epoca, il modo in cui ha conosciuto Luigi (futuro padre di Marco), il fidanzamento, il matrimonio, la gravidanza, la nascita di Marco, la disperazione per la malattia e la felicità per la guarigione.
Tutto descritto molto dettagliatamente.
Troppo dettagliatamente.

Mi aspettavo qualcosa di diverso da questo libro: un saggio storico, magari romanzato, ma non certo un memoir. La devastazione della guerra, i bombardamenti, l'occupazione nazista sono scenari di sottofondo. Ci sono solo pallidi accenni alle rappresaglie, al massacro della Benedicta, alle fucilazioni sul Turchino; stessa cosa per le Fosse Ardeatine e l'eccidio di Marzabotto.

Descrizioni estremamente semplificate che non rendono minimamente l'idea degli orrori, del terrore, dei disagi e della rabbia di quegli anni e affermazioni come "I tedeschi sono sempre così gentili. Sorridono sempre quando li incrocio" e "Non si può giudicare nessuno in base all'abito che porta, alla divisa che indossa" mi hanno dato il voltastomaco.

Senza quelle sarebbe forse un buon libro da far leggere in quarta o quinta elementare, per far capire ai bambini cos'è stata la guerra, senza rischiare di spaventarli.
Una visione davvero molto morbida rispetto a quella con cui sono cresciuta io (e senza traumi) con ciò che mi ha tramandato la mia famiglia partigiana, per altro colpita anch'essa dalla meningite, solo che Renato, il fratellino di mia madre, non ce l'ha fatta.

Reading Challenge 2025, traccia annuale Province italiane