New York, inverno 2011. Dopo otto mesi di disoccupazione Alice, 37 anni, ha finalmente trovato il lavoro dei suoi sogni: direttrice di una nuovissima galleria d'arte a due passi dalla High Line, un ruolo in cui potrà mettere a frutto il suo master in storia dell'arte, ma - soprattutto - un lavoro che si è conquistata da sola, senza l'intervento del suo famoso padre, il regista premio Oscar Frank Humphrey.
A essere onesti andare a una mostra, ritrovarsi a chiacchierare con un uomo affascinante e scoprire che sta cercando una persona qualificata che voglia dirigere la galleria senza il timore dei possibili condizionamenti del ricco proprietario che lui rappresenta, è stato solo un grandissimo colpo di fortuna, ma questo non sminuisce certo le sue capacità.
Invece non c'è stato proprio niente di fortunato nell'inciampare nel cadavere dell'intermediario pochi giorni dopo l'inaugurazione, sporcarsi con il suo sangue e poi rendersi conto che i due detective a cui sta raccontando cosa è successo non la guardano con la compassione che si dovrebbe riservare a una donna provata da una esperienza terribile come quella, bensì come una possibile sospetta.
Tralasciando i tanti romanzi firmati a quattro mani con Mary Higgins Clark (nei quali ho sempre trovato solo quest'ultima non scorgendo un contribuito da parte della Burke, mentre adesso ho capito che sono accomunate da due aspetti: risvolti romantici e protagonisti ricchi e privilegiati con cui si dovrebbe empatizzare), di lei avevo letto solo "La ragazza nel parco", non il romanzo di esordio, ma il primo a essere stato tradotto. Era il 2019 e se sono passati sei anni non è solo perché il libro non mi aveva convinta, ma anche perché volevo vedere se l'editoria italiana avrebbe recuperato i titoli non ancora tradotti.
Perché con Alafair Burke non è stato fatto un buon lavoro: in Italia non è mai arrivata la sua serie di esordio con protagonista Samantha Kincaid, tre libri scritti fra il 2003 e il 2005, ma il disastro lo hanno fatto con la seconda serie, quella che ha per protagonista Ellie Hatcher, dove hanno tradotto solo quattro titoli su sei saltando il primo e il terzo! Inconcepibile! Invece degli otto romanzi autoconclusivi ne hanno tradotto sei, in ordine sparso, ma non essendoci collegamenti il danno è minore.
Questo, titolo originale "Long Gone", è il primo degli autoconclusivi che ha scritto (nel 2011) e l'ho trovato migliore de "La ragazza nel parco" (scritto cinque anni dopo).
In entrambi non emerge il passato dell'autrice (Florida, 1969) che è stata sia Pubblico Ministero sia giudice della Corte d'Appello: le storie non sfiorano neppure il legal thriller ed è un peccato. Questo, come l'altro, strizza l'occhio al poliziesco, mantenendo però al centro della vicenda la protagonista con le sue indagini personali.
Un thriller un po' datato (siamo ancora nell'era degli SMS) in cui dialoghi e trama non spiccano per originalità, ma le dinamiche funzionano e la ricostruzione alla fine risulta convincente, trattando - seppure senza particolari approfondimenti - temi pesanti, pedofilia, bullismo nelle scuole e il MeToo, questo ben prima della nascita del movimento.
Purtroppo mi sono rovinata da sola tutti i colpi di scena, intuendo con molto anticipo i chi, i come e quasi tutti i perché, ma non si tratta né di un mio particolare acume né di pecche della Burke che, anzi, ha costruito anche un buon intreccio con due sottotrame. E' la fiction ad avere i suoi limiti, il colpevole non può spuntare dal nulla alla fine del libro e nella rosa dei personaggi si fa presto a fare due più due, specialmente quando si leggono thriller da tutta la vita e basta un'occhiata alla copertina per riconoscere uno spoiler.
A essere onesti andare a una mostra, ritrovarsi a chiacchierare con un uomo affascinante e scoprire che sta cercando una persona qualificata che voglia dirigere la galleria senza il timore dei possibili condizionamenti del ricco proprietario che lui rappresenta, è stato solo un grandissimo colpo di fortuna, ma questo non sminuisce certo le sue capacità.
Invece non c'è stato proprio niente di fortunato nell'inciampare nel cadavere dell'intermediario pochi giorni dopo l'inaugurazione, sporcarsi con il suo sangue e poi rendersi conto che i due detective a cui sta raccontando cosa è successo non la guardano con la compassione che si dovrebbe riservare a una donna provata da una esperienza terribile come quella, bensì come una possibile sospetta.
Concatenato
Tralasciando i tanti romanzi firmati a quattro mani con Mary Higgins Clark (nei quali ho sempre trovato solo quest'ultima non scorgendo un contribuito da parte della Burke, mentre adesso ho capito che sono accomunate da due aspetti: risvolti romantici e protagonisti ricchi e privilegiati con cui si dovrebbe empatizzare), di lei avevo letto solo "La ragazza nel parco", non il romanzo di esordio, ma il primo a essere stato tradotto. Era il 2019 e se sono passati sei anni non è solo perché il libro non mi aveva convinta, ma anche perché volevo vedere se l'editoria italiana avrebbe recuperato i titoli non ancora tradotti.
Perché con Alafair Burke non è stato fatto un buon lavoro: in Italia non è mai arrivata la sua serie di esordio con protagonista Samantha Kincaid, tre libri scritti fra il 2003 e il 2005, ma il disastro lo hanno fatto con la seconda serie, quella che ha per protagonista Ellie Hatcher, dove hanno tradotto solo quattro titoli su sei saltando il primo e il terzo! Inconcepibile! Invece degli otto romanzi autoconclusivi ne hanno tradotto sei, in ordine sparso, ma non essendoci collegamenti il danno è minore.
Questo, titolo originale "Long Gone", è il primo degli autoconclusivi che ha scritto (nel 2011) e l'ho trovato migliore de "La ragazza nel parco" (scritto cinque anni dopo).
In entrambi non emerge il passato dell'autrice (Florida, 1969) che è stata sia Pubblico Ministero sia giudice della Corte d'Appello: le storie non sfiorano neppure il legal thriller ed è un peccato. Questo, come l'altro, strizza l'occhio al poliziesco, mantenendo però al centro della vicenda la protagonista con le sue indagini personali.
Un thriller un po' datato (siamo ancora nell'era degli SMS) in cui dialoghi e trama non spiccano per originalità, ma le dinamiche funzionano e la ricostruzione alla fine risulta convincente, trattando - seppure senza particolari approfondimenti - temi pesanti, pedofilia, bullismo nelle scuole e il MeToo, questo ben prima della nascita del movimento.
Purtroppo mi sono rovinata da sola tutti i colpi di scena, intuendo con molto anticipo i chi, i come e quasi tutti i perché, ma non si tratta né di un mio particolare acume né di pecche della Burke che, anzi, ha costruito anche un buon intreccio con due sottotrame. E' la fiction ad avere i suoi limiti, il colpevole non può spuntare dal nulla alla fine del libro e nella rosa dei personaggi si fa presto a fare due più due, specialmente quando si leggono thriller da tutta la vita e basta un'occhiata alla copertina per riconoscere uno spoiler.
Reading Challenge 2025, traccia annuale Travestimenti: guanto in copertina
