sabato 27 gennaio 2024

"Chi è partito e chi è rimasto", Barbara Comyns

 

Warwickshire (Inghilterra), 1° giugno 1911. Il fiume rompe gli argini sommergendo i terreni ed entrando nei cottage. Sono felici le anatre, che si trovano a sguazzare dentro ai salotti delle case, sorprese da questa sferzata di novità. Alle galline, invece, è andata male: le porte dei pollai non si sono spalancate e sono tutte morte affogate. Poi l'acqua si ritira e nella notte si scatena una tempesta.
Ma il peggio per gli abitanti del villaggio deve ancora arrivare. Un virus della follia colpirà molti di loro: muore la moglie del medico condotto, poi il mugnaio, quindi il macellaio. Cinque casi di pazzia, poi undici, poi diciassette. Non tutti muoiono, c'è chi guarisce e c'è chi parte.
Cosa capiterà agli esponenti della stravagante famiglia Willoweed?

Scritto nel 1954, titolo originale "Who Was Changed and Who Was Dead", è un librino di 135 pagine che avevo comprato qualche anno fa dopo aver ascoltato su YouTube la recensione entusiasta di una ragazza che, dopo alcune delusioni, avevo smesso di seguire perché fra noi c'era un'evidente divergenza di gusti.

"Chi è partito e chi è rimasto" è una conferma di questo, è molto lontano da ciò che mi piace (e, soprattutto, che mi interessa) leggere perché troppo surreale, ma è anche divertente e i sorrisi che qua e là mi ha strappato hanno mitigato i momenti in cui mi chiedevo: ma cosa cavolo sto leggendo?!?

Un punto di forza è senz'altro la modernità, non dimostra affatto i suoi settant'anni né palesa di essere stato scritto da una donna del 1907.
Barbara Comyns, nata proprio a Warwickshire, ha scritto undici romanzi, di cui soltanto tre sono stati tradotti in italiano. Insieme a questo avevo comprato anche "La ragazza che levita", altro librino breve pubblicato sempre da Safarà Editore, che prima o poi leggerò, mentre non mi affannerò a cercare di recuperare anche il terzo ("I miei anni a rincorrere il vento", edito Rizzoli) perché la storia letta adesso è davvero tanto, troppo stramba.

Il personaggio più bislacco è nonna Willoweed - 71 anni (che negli anni dell'ambientazione, ma anche in quelli della stesura, erano una gran bella età) e descritta come somigliante a una vespa rigonfia - ospita e mantiene il figlio Ebin, tornato all'ovile con i tre figli dopo la prematura morte (di parto) della moglie. Non un'amabile vecchietta, ma una mezza arpia, sorda come una campana, che tiranneggia non solo la progenie, ma anche le domestiche, il tuttofare, il medico, l'avvocato e un po' tutto il villaggio.

Il mantenimento e la prospettiva della futura eredità diventano nelle sue mani il bastone (spesso) e la carota (raramente) per costringere gli altri ad assecondarla nelle sue stravaganze, in cima alle quali c'è la solenne promessa di non camminare mai su terreni non di sua proprietà, cosa che la obbliga a spostarsi via fiume arrecando solo disagio alle persone attorno a lei.

Ma in mezzo a frasi sconclusionate ("La nonna è convinta che il sacerdote faccia uso di oppio e lo crede perché assomiglia a un cinese") e qualche perla di saggezza degna di noi genovesi ("È una buona idea fumare la pipa, così la gente non si aspetta che tu le offra continuamente sigarette"), la Comyns inserisce accenni a discriminazioni di vario genere. Tematiche che se, insieme ad alcuni gravi lutti, fossero state ampliate e trattate in modo diverso avrebbero reso questo libro molto profondo, invece instilla il pensiero senza dargli modo di maturare. Restano i sorrisi, ma sono un po' poco.

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