venerdì 11 aprile 2025

"Mia madre è un fiume", Donatella Di Pietrantonio

 

"Certi giorni la malattia si mangia anche i sentimenti"

Esperia Viola, detta Esperina, nasce il 25 marzo del 1942, alle pendici del Gran Sasso, fra Colledara e Tossicia. Frutto di un congedo del padre soldato, avrà cinque sorelle e una vita dura, segnata dalla fatica, dalla povertà, dall'ignoranza, dallo svantaggio di essere nata femmina in un'epoca in cui essere sottomesse agli uomini era la normalità. Una vita che la malattia sta cominciando a cancellare dalla sua mente e così la figlia gliela racconta.

Crudele

Della Di Pietrantonio avevo già letto "L'arminuta", "Bella mia" e "Borgo Sud". Questo, scritto nel 2010, è il suo romanzo di esordio (con cui vinse il Premio Tropea nel 2011). Lo stile diretto dell'autrice è già definito e riconoscibile, ma - come "Borgo Sud" - non mi ha pienamente convinta e per lo stesso motivo: il poco spazio dato al tema portante della storia, il terremoto de L'Aquila nel caso di "Borgo Sud" e la malattia degenerativa in "Mia madre è un fiume".

La figlia 47enne è la voce narrante del breve romanzo (128 pagine), cercando di non far perdere alla madre le sue memorie rispolvera con e per lei ricordi comuni e le riporta fatti più o meno importanti del passato, quelli che era stata la madre stessa a raccontarle, ripercorrendo non solo la vita di quest'ultima, ma anche quella di nonni, zii e cugini. Grandi famiglie, quindi tanti nomi, tanti legami di parentela, a tratti si corre il rischio di confondersi.

Al centro di ciò il rapporto non facile né particolarmente bello con questa madre che la figlia definisce inaccessibile. Emerge tanta sofferenza davanti al decadimento e allo smarrimento dell'anziana, ma c'è molto più passato che presente e si finisce col leggere una storia aneddotica.

Ma a rovinarmi la lettura è stata la strage di animali descritta: animali che nei libri della Di Pietrantonio sono sempre e solo bestie, considerati e descritti al pari di oggetti al servizio dell'uomo, ma qui ha esagerato, nella quasi totalità delle pagine c'è almeno un animale che viene sfruttato, maltrattato, ucciso e/o mangiato. Un tale eccesso che l'ambientazione contadina e la datazione della maggior parte degli episodi raccontati non bastano a giustificare.

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