domenica 12 agosto 2018

"La cura"


Scritto e ambientato nel 2010. 
New York. Laurie Montgomery, la patologa forense protagonista di tanti romanzi di Cook insieme al marito Jack Stapleton, rientra al lavoro dopo venti mesi di maternità. Il primo caso che le viene assegnato riguarda un giovane asiatico morto mentre aspettava la metropolitana, sembrerebbe per cause naturali. Un John Doe. L'autopsia non rileva nè patologie preesistenti nè una causa di morte certa e Laurie decide di spingersi più in là nelle ricerche, non solo con analisi più specifiche, ma anche visionando i video di sorveglianza posti sul marciapiede del metrò, scoprendo che l'uomo era inseguito da altri due asiatici e intuendo come questi possano averlo ucciso.

Per una buona quindicina di anni i medical thriller e Robin Cook sono stati il mio genere di lettura e il mio scrittore preferiti. Poi ho cominciato ad appassionarmi ad altri tipi di thriller abbandonando via via Slaughter, la Cornwell, la Reichs, ecc, ma non Cook, pur smettendo di dare la precedenza ai sui suoi romanzi appena uscivano (e infatti ho accumulato otto anni di ritardo).

Questo è il peggiore che io ricordi.

Come sempre Cook "usa" il libro per denunciare i difetti della sanità statunitense e/o mondiale. Questa volta evidenzia come gli interessi economici abbiano reso i brevetti più importanti della stessa ricerca e come, arrivando a brevettare addirittura processi vitali (cosa in teoria illegale sia negli Stati Uniti che in Europa) si crei un rallentamento della ricerca perchè è sempre più difficile andare avanti senza violare il brevetto di qualcun altro. Il vero protagonista di questa storia è, quindi, un brevetto di cellule staminali pluripotenti indotte conteso fra USA e Giappone e la parte bella è il dito di Cook puntato contro il binomio medicina-affari.

Le parti brutte, per me, sono purtroppo tante: intanto destreggiarmi con i tanti nomi giapponesi (non solo di persone) è stato veramente faticoso, ho dovuto crearmi uno schema per avere chiari i vari collegamenti.
Poi il personaggio di Laurie che, come al solito, mi ha notevolmente infastidito con tutta la sua permalosità aggravata questa volta dall'insicurezza.
Proseguendo, non mi è piaciuto il ruolo primario che Cook ha dato alla criminalità organizzata: non so quanto di losco ci sia davvero nel ramo biomedico, ma qui abbiamo sia la Yakuza giapponese che la Mafia di Long Island, intrallazzate fra loro. E i mafiosi sembrano delle caricature uscite da un filmetto anni '70, in giacca e pantaloni di velluto con toppe sui gomiti e sulle ginocchia, stupidi come pochi e grandi mangiatori di pastasciutta alle tre del pomeriggio nei loro ristoranti di copertura con le tovaglie a quadrettoni biancorossi! 
Mi domando se abbia stereotipato anche i mafiosi giapponesi, tutti vestiti di nero e camicia bianca, capelli a spazzola e occhiali da sole anche a mezzanotte...

Comunque sia, l'aspetto peggiore è la ripetitività: per buoni tre quarti del libro ogni incontro che avviene fra i vari personaggi viene descritto una prima volta quando si verifica per poi essere ripetuto altre due volte, quando le due parti raccontano ai loro contatti cosa è stato detto e deciso! Un sistema noioso e davvero inspiegabile in un romanzo di Robin Cook che può piacere o meno, ma che di sicuro sa scrivere.

Proprio in questi giorni ho scoperto che gli ultimi suoi quattro romanzi non sono stati tradotti in italiano, per cui ne ho soltanto un altro da leggere ma, dopo "La cura", non mi strappo i capelli come avrei fatto a vent'anni in piena fase di adorazione.

Reading Challenge 2018: questo testo risponde al requisito "un libro che costa più di 17€" (numero 11 indizi difficili)