giovedì 27 luglio 2023

"Anime qualunque", Chiara Ferraris

 

Appennino Ligure, novembre 1833. Il Grand Tour per l'Europa di Lady Catherine e del suo seguito è soltanto all'inizio. Dopo aver attraversato la Francia e aver trascorso alcuni giorni a Torino, la sua carrozza viene coinvolta in un incidente nei pressi del Passo della Bocchetta. La sostituzione della ruota rotta potrebbe causare soltanto un giorno di ritardo nel viaggio verso Genova, ma la giovane aristocratica inglese viene folgorata dalla bellezza del panorama e decide di prolungare la sosta per poterlo dipingere. E anche perché Giovanni, il nuovo servitore che la assiste durante le sessioni di pittura, non è arrogante come le era apparso dopo il loro primo incontro-scontro.
Genova, giorni nostri. Serena è triste e svogliata. Fatica a riprendersi dal lutto per la morte del nipote dodicenne, ucciso ad aprile da un'auto pirata, e la stanchezza del suo matrimonio con Sergio rallenta la sua ripresa emotiva. Una crisi che, però, non basta a farle accettare la proposta di uno sconosciuto che il 6 dicembre la affianca in libreria e che, dopo averle messo una mano suo fianco, le sussurra "Se vuoi, ti aspetto in bagno". La sorpresa la porta a uscire con sdegno dal negozio, ma nei giorni e nelle settimane successive il pensiero per quell'uomo diventa un'ossessione, finché il 18 gennaio nella toilette della libreria ci andrà e non per lavarsi le mani.

Scritto lo scorso anno, "Anime qualunque" è il secondo romanzo di questa autrice genovese di cui ad aprile avevo letto l'opera prima, "L'impromissa".

I due romanzi hanno la stessa struttura alternando il passato e il presente. Anche questa volta la parte passata costituisce buoni tre quarti della storia rendendo quasi superflua quella del presente. E anche i due personaggi femminili del presente - la Agata de "L'impromissa" e la Serena di "Anime qualunque" - sono molto simili, direi due fotocopie: stessa fascia d'età, stesso matrimonio esaurito, stessa condizione sociale, stesso temperamento, stesse abitudini.

Per fortuna la Ferraris ci mette un po' più di fantasia con la protagonista del passato: la Alli del primo libro è l'opposto della Lady Catherine di questo, senza contare che - mentre di Alli veniva ripercorsa l'intera vita - Catherine la seguiamo solo dal novembre 1833 al febbraio dell'anno successivo, cioè durante il suo arrivo a Genova e nei mesi del soggiorno nella mia città.

"Genova è testarda.
Non si fa conquistare facilmente.
Non si fa stravolgere del tutto
."

Genova nel Risorgimento ha avuto la sua bella importanza, sono successe tante cose e la Ferraris trova il modo per raccontarle tutte facendo del romanzo un vero romanzo storico, rendendolo così interessante: senza la Carboneria, Mazzini, Ruffini, ecc, il libro sarebbe solo un romanzetto rosa con una doppia storia, una passata e una presente (infilandoci anche una discutibile applicazione all'amore della teoria dei corsi e ricorsi storici da parte di uno dei personaggi), ma a volte - come con la Barcellona de "La ragazza che guardava fuori" - anche Chiara Ferraris cade nell'effetto guida turistica (con più orgoglio e più passione rispetto a Lorena Franco), usando un quadro, un palazzo storico, l'angolo di una strada per raccontare qualcosa di Genova, senza però riuscire a integrare le descrizioni con i fatti raccontati e dando la sensazione di leggere una nota a parte:

"Proseguii verso via XXV Aprile fino a piazza De Ferrari, ex piazza San Domenico Chiodo, il cuore del centro di Genova. Rimirai la bellezza e la perfezione della fontana zampillante al centro e la targa in marmo bianco con la dicitura della piazza, sfiorai con lo sguardo il palazzo che fu dei De Ferrari e il Carlo Felice, il bellissimo teatro costruito da Carlo Barabino, una delle menti architettoniche più geniali del Risorgimento."

Per contro è brava a imitare i classici alla Austen (questo libro è perfetto per chi ama il genere), nello stile, nelle espressioni, nella caratterizzazione dei personaggi e nelle ambientazioni. 
Ma, a differenza delle eroine di quei classici, la Ferraris a un certo punto smorza l'atteggiamento di superiorità della sua protagonista del passato, le fa aprire gli occhi, la obbliga a guardarsi attorno, le fa capire di essere nata privilegiata, le fa vedere le ingiustizie del divario sociale e la porta a un cambiamento, senza limitarsi all'inutile segno della croce:

"Dove sta la giustizia, dove sta la misericordia, dove sta chi dovrebbe essere dalla parte dei poveri, dei mentecatti senza speranza? Volgevo lo sguardo ai vecchi con la pelle pustolosa, ai bambini che si graffiavano la faccia l’un l’altro per un pezzo di pane, alle donne con troppi figli sulle ginocchia e pochissimo latte in seno, ormai, agli ubriaconi che spendevano ogni moneta per annebbiarsi la mente, alla massa informe di derelitti che animavano la città e anch’io mi domandavo chi li difendesse, chi si occupasse di loro."

E questo è il tormentone del libro, il panorama dal Passo della Bocchetta:


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