mercoledì 12 aprile 2023

"L'impromissa", Chiara Ferraris

 

Genova, un anno recente non precisato. Sono passati alcuni mesi dalla morte della madre e per Agata è arrivato il momento di tornare nella casa dove è cresciuta, ormai vuota di presenze umane, ma più che mai carica di ricordi. Mentre compie la dolorosa cernita, decidendo cosa vuole conservare, regalare o buttare, spunta fuori un quaderno che non aveva mai visto. In alto, nella prima pagina, un nome: Alice Lantieri.
Era la sua prozia, Alli, che lei ha conosciuto solo attraverso i racconti di sua madre, dei suoi zii, di suo nonno, perché è morta prima che lei nascesse.
E Agata trova altri nove quaderni uguali al primo, pagine e pagine in cui la zia ha raccontato tutta la sua vita. Diari pieni di sorprese per Agata, diari che svelano segreti di famiglia che forse nessuno conosce, a cominciare dal più incredibile: Alice non era una Lantieri.

Impromissa è una parola dialettale che significa promessa sposa e il dialetto in questione è il mio, il genovese, come è genovese l'autrice, di cui questo è il romanzo d'esordio, scritto nel 2019. In rete ho trovato una sua breve intervista di cui riporto questo passaggio:

"Nel romanzo affronto temi a me molto cari, come la famiglia, la Resistenza partigiana, ma soprattutto l’amore. Volevo una storia che facesse battere il cuore."

A me, che romantica non sono, la Ferraris è riuscita a far battere il cuore per il contesto storico in cui si svolge la maggior parte del romanzo: le 392 pagine che lo compongono sono divise in undici lunghi capitoli (più l'epilogo) in cui si alternano le parti (brevi) del presente di Agata a quelle più sostanziose e rilevanti in cui legge i diari di Alice e quindi dove anche noi lettori scopriamo la vita di quella che è la protagonista del libro.

L'avvicendamento di piani temporali diversi mi affascina sempre: in questo caso serve a dare un tocco di originalità (la scoperta dei quaderni, prima, e dei vari segreti che svelano, poi), senza Agata il romanzo sarebbe stato una saga familiare come tante, ma avrebbe funzionato lo stesso.

Particolare l'ambientazione: nonostante la Liguria sia la regione italiana con la maggior percentuale di territorio boschivo (ben il 72%), per me (e non credo di essere un'eccezione) si traduce con mare.

Alcuni personaggi del romanzo nascono a Genova, ci vivono, ci lavorano, ma la maggior parte degli eventi che racconta si svolgono in un imprecisato (che peccato!) paesino dell'entroterra o, ancor più specificamente, in quella che la Ferraris chiama la fattoria dei Lantieri. Avendo sempre pensato alle fattorie come a degli spazi molto estesi e pianeggianti mi ha fatto un po' sorridere l'uso di questo termine associato a un territorio irto e stretto come il nostro, ma i Lantieri coltivano i campi e hanno qualche animale, per cui fattoria sia.

Il libro è principalmente una storia d'amore, tutta da scoprire insieme ad Agata mentre legge i diari della prozia. Ma offre anche uno spaccato dell'Italia del ventennio fascista e della guerra e qui la storia dei Lentieri diventa simile a quella della mia famiglia: io non ho origini contadine, i miei genitori, i miei nonni e tutti gli altri parenti vivevano in città, ma anche la mia era una famiglia partigiana e il loro attivismo si è svolto proprio nella Valpolcevera raccontata dalla Ferraris. Per cui quando descrive Alice intenta ad ascoltare il messaggio radio all'indomani della liberazione della città durante la notte fra il 23 e il 24 aprile 1945 per me non si è trattato di leggere un'opera di fantasia e basta.

Popolo genovese esulta.
L'insurrezione, la tua insurrezione, è vinta.
Per la prima volta nel corso di questa guerra, un corpo d'esercito agguerrito e ancora bene armato si è arreso dinanzi a un popolo.
Genova è libera.
Viva il popolo genovese, viva l'Italia.

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