mercoledì 20 giugno 2018

"Francesca", Manuela Raffa


"Spero che questo viaggio vi abbia conquistato": è così che Manuela Raffa conclude le sue note e la mia risposta è un entusiastico sì!

Il viaggio in questione è la storia della bellissima Francesca da Polenta, ben più nota come Francesca da Rimini,  che a 16 anni si vide imporre dal padre il matrimonio con Giovanni Malatesta, detto Gianciotto, o anche Gianne lo Sciancato, di 15 o 20 anni più vecchio di lei. Brutto e rozzo, completamente diverso dai baldi cavalieri protagonisti dei libri che pare lei amasse tanto leggere, cosa eccezionale per una ragazza nel Medioevo.
Invece era Paolo (detto il Bello), fratello minore di Gianciotto, a rispecchiare il suo ideale di uomo ed è di lui che si innamorò perdutamente.

Un amore corrisposto, ma impossibile, in un'epoca in cui l'adulterio da parte dell'uomo era la norma, mentre quello della donna veniva punito severamente, anche con la morte sul rogo. Gianciotto comunque non perse tempo uccidendo all'istante moglie e fratello.

Fu poi Dante (che con ogni probabilità conobbe Paolo in gioventù quando questi ricopriva la carica di Capitano del Popolo a Firenze e in seguito, durante l'esilio a Ravenna, anche il padre di Francesca, Giudo da Polenta) a renderli immortali inserendoli nel V canto dell'Inferno. E' grazie ai suoi versi che tutto il mondo, a distanza di più di 700 anni, conosce Paolo e Francesca.

In realtà le notizie certe sono scarse, soprattutto riguardo a Francesca. Quella della Raffa è una storia molto (ben) romanzata, la storia di un grande amore, raccontanta in modo così intenso che viene quasi da sperare nell'impossibile lieto fine. 

L'autrice riesce a far empatizzare il lettore anche con Gianciotto, l'unico a parlare in prima persona nel primo capitolo di ciascuna delle tredici parti in cui è suddiviso il libro. E' il 1304, anno della sua morte, che lui probabilmente sente vicina e ciò lo porta a ripercorrere gli anni più felici della sua vita, quelli durante i quali Francesca era sua moglie. La moglie che ha ucciso, come "era mio diritto e l'ho esercitato fino in fondo", ma che non ha mai smesso di amare.

Un'immagine molto lontana da quello che erano gli uomini di potere nel Medioevo, ma suppongo che - consapevoli della fine ormai prossima - anche loro potesserero ritrovarsi a fare i conti con rimpianti e rimorsi.

Forse.

Difficile capire cosa abbia nella testa un uomo convinto di avere diritto assoluto su un'altra persona, tanto da vedere nell'omicidio l'unico rimedio a un tradimento, incapace di accettare la fine di un rapporto. E questa è ancora storia di tutti i giorni, lo leggiamo sui giornali.

Il Medioevo non è ancora abbastanza lontano...

Reading Challenge 2018: questo testo risponde al requisito "un libro con un nome proprio nel titolo" (numero 27 indizi facili).