martedì 26 dicembre 2023

"Casa dolce casa", Ana Reyes

 

Pittsfield (Massachusetts), estate di un anno non precisato. Aubrey, 17 anni, muore all'improvviso: una mattina sta parlando con Frank, il ragazzo della sua amica Maya, quando si accascia al suolo priva di vita. Neppure l'autopsia riesce a dare una risposta e Maya - che accusa Frank di aver compiuto un qualche sortilegio su Aubrey - non viene creduta né dalla polizia né da sua madre. La donna la trascina da uno psichiatra che, dopo una diagnosi frettolosa, prescrive alla ragazzina antipsicotici e ansiolitici, senza citare i rischi di assuefazione.
Boston, inverno. Sono trascorsi otto anni, Maya ne ha 25 e - proprio quando per la prima volta sta sperimentando cosa sia una crisi da astinenza - si imbatte in un video su YouTube che mostra le riprese di una tavola calda della sua città natale: un uomo e una donna entrano nel locale e siedono a un separé, lui parla, la donna ascolta, finché improvvisamente sbatte la testa sul tavolo. La donna è morta e l'uomo è Frank, Maya non ha dubbi.
E' sicura che abbia ucciso di nuovo e lei può fare solo una cosa: tornare a Pittsfield per dimostrarlo.

Ecco il libro peggiore del mio 2023! Un paio di rosa mi avevano coinvolta meno di questo, ma in entrambi i casi la causa era la mia scarsa affinità con il genere. Questa volta, invece, è proprio il libro a essere brutto: basti pensare che gli spaghetti al pesto (per giunta fatto con il basilico coltivato in Massachussets) in cui ci si imbatte all'incirca a metà libro non sono la cosa più atroce!

Chiaramente questo è un giudizio soggettivo. "Casa dolce casa" (titolo originale "The house in the pines"), opera prima di Ana Reyes, negli Stati Uniti è stato un caso editoriale rimanendo per più di due mesi ai vertici della classifica dei bestseller del “New York Times”. Non saprò mai perché gli americani lo abbiano promosso, ma sono ansiosa di confrontarmi fra un paio di settimane con gli altri partecipanti al Gruppo di Lettura leggendothriller organizzato dai profili IG theserialthriller e lastanzadisofia.

Non riesco neppure a salvare pienamente un aspetto che di solito apprezzo moltissimo: Maya è per metà guatemalteca, come l'autrice, e questo le ha dato modo di accennare alla storia recente del Paese e al suo sfruttamento economico da parte degli Stati Uniti, ma lo ha fatto nel modo sbagliato. Certo non si pretendono le capacità di Isabel Allende, ma un minimo di incastro nella storia sì, mentre i due capitoli che la Reyes dedica alla questione sono troppo fuori contesto e stonano (anche se mi ha fatto piacere approfondire in rete).

Patetico, invece, il tentativo di introdurre nel libro il realismo magico attraverso il "romanzo incompiuto" (fra virgolette perché si tratta di appena 47 pagine, per giunta mezze scopiazzate) del padre di Maya: altro corpo estraneo, un vero e proprio tormentone che la Reyes tira fuori per ben trentaquattro volte, senza alcuna utilità!

Ma a essere debole è il thriller in generale.
L'alternanza di capitoli fra passato e presente - che di solito rende avvincente la lettura - qui annoia soltanto perché porta a infinite ripetizioni.
Una protagonista che affronta la crisi di astinenza sostituendo i farmaci al gin è un'investigatrice a dir poco azzardata e sicuramente fastidiosa.
La scelta di chiudere la vicenda gialla in anticipo rispetto ai capitoli conclusivi rende la lettura di questi ultimi un siparietto sulle buone intenzioni e sui buoni sentimenti, e non è quello che ci si aspetta se si sceglie di leggere un thriller.
I colpi di scena sono riservati a Maya, nel senso che quando lei finalmente capisce cosa è successo otto anni prima, chi legge lo sa già da un centinaio di pagine e quindi la "scoperta" di Maya lascia piuttosto indifferenti.
Ma a rendere scarso questo thriller è proprio il modo in cui viene sviluppata l'idea alla base della storia, con poca credibilità e coerenza, soprattutto senza nessuna suspense.

Alla faccia del caso editoriale...

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