domenica 3 marzo 2024

"Nella tana", Michaela Kastel

 

"Lo chiamiamo Varco del Sole, il buco nero tra le rupi nel quale ci getta papà quando non facciamo i bravi"

Sankt Nikola an der Donau (Alta Austria), autunno di un anno non precisato. La detective Sarah Wiesinger ha finalmente una traccia: un berretto rosso da bambina abbandonato lungo le rotaie che attraversano quel "buco sperduto", poco più di ottocento abitanti, circondato da boschi che sembrano non finire mai. Il test del DNA su un capello rimasto impigliato nella lana conferma che Lola - 12 anni, rapita dieci giorni prima - lo ha indossato. E' soltanto l'ultima bambina scomparsa nella zona, ma adesso è Sarah a occuparsi del caso e vuole trovarla a ogni costo, non sapendo che la piccola ha già sperimentato il Varco del Sole, una fossa profonda cinque metri che finisce in uno spazio freddo e buio. Il castigo che l'uomo usa per piegare i bambini alla sua volontà.
Pochi sono sopravvissuti, fra questi Ronja e Jannik, ma quanto c'è ancora di sano in loro dopo aver vissuto per più di dieci anni con quell'uomo?

Scritto nel 2018, titolo originale "So dunkel der Wald" (La foresta è così buia), "Nella tana" (vincitore del premio Viktor Crime Award nell'anno di pubblicazione) è il terzo romanzo dei dieci scritti da Michaela Kastel, viennese classe 1987, l'unico a essere stato tradotto in italiano.

Il posto che l'autrice definisce "buco sperduto" si trova a sessanta chilometri scarsi da Linz e sorge sulle sponde del Danubio (un fiume che sento un po' mio avendolo incrociato diverse volte negli anni delle mie vacanze tedesche) ed è questo:


Per quanto non baratterei mai il mio mare con i boschi, non mi sembra affatto male, ma di certo la storia che la Kastel vi ha ambientato priva di ogni beltà quelle distese di alberi trasformandole in trappole cupe e insormontabili.

"Sarah detesta i boschi. Sono sempre umidi e bui, e al loro interno spariscono troppi bambini"

Il romanzo, piuttosto breve (235 pagine), trasmette fin dal primo capitolo ansia, angoscia, oppressione.

"Qui la sofferenza altrui è l'unica gioia che ti rimane"

Nella maggior parte dei capitoli è Ronja la voce narrante, mentre quelli che riguardano Sarah sono scritti in terza persona. Una sproporzione che penalizza il libro perché nei boschi succedono cose brutte, ma anche ripetitive. Avrei preferito l'inverso, una maggiore attenzione, e quindi più capitoli, dedicati all'investigazione, ma allora sarebbe stato un altro libro, mentre è chiara la volontà della Kastel di dare voce alle vittime.
Vittime che sono tali da così tanto tempo da non riuscire a concepire un'esistenza diversa da quella cui sono abituati.

"Una libertà infinita in una gigantesca gabbia vuota"

Questa è la parte difficile della storia: riuscire ad accettare comportamenti e scelte che noi non prenderemmo mai in considerazione, fino a rendersi conto che questo è un thriller veramente psicologico, che mette in atto meccanismi della psiche difficili da capire e facili da condannare senza avere competenze specifiche in materia di abusi.

Ci sono poi alcune parti scritte in corsivo tratte dal diario di "qualcuno": di chi si tratta lo si capisce avanzando con la lettura e sono loro a fornire il colpo di scena principale del libro.

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