venerdì 20 agosto 2021

"Nove storie storiche", Cesare De Marchi


"Puoi togliere un genovese da Genova, ma non potrai mai togliere Genova da un genovese": una frase che evidentemente si adatta a Cesare De Marchi, mio concittadino classe 1949, se - dopo aver lasciato la città da ragazzo per laurearsi in filosofia a Milano ed essersi poi trasferito in Germania nel 1995 - nel 2013 ha pubblicato questa raccolta di racconti che sono un omaggio alla nostra Genova e alla sua storia.

Ogni racconto parte in sordina raccontando la semplice quotidianità di personaggi realmente esistiti o immaginati dall'autore, per arrivare al fatto concreto che è diventato una data importante nella storia della città.

"Congiura", com'è facilmente intuibile, racconta la Congiura dei Fieschi avvenuta il 2 gennaio 1547, quando gli scontri fra vecchia e nuova nobiltà delle antiche famiglie della Repubblica di Genova portarono al tentativo di eliminazione di Andrea Doria da parte di Gianluigi Fieschi.

"...vaneggiava anche lui al grido confuso, libertà, come se si potesse immaginarla una libertà più grande di quella che regnava sotto al vecchio Andrea..."

De Marchi ci porta a quella notte attraverso gli occhi del claudicante Giobatta (abbreviazione genovese di Giovan Battista), factotum di un altro Giobatta, il mercante Campodonico, che aspira ad avere una di quelle case nobili, con le facciate a fasce di marmi bianchi e neri, al punto di non voler prestare ascolto a quello che gli sta dicendo il suo omonimo riguardo a sua moglie e al Lavagna...

Con "Bombe" facciamo un balzo in avanti di 137 anni, al bombardamento navale francese subito da Genova fra il 17 e il 29 maggio del 1684. Da anni Re Sole mal digeriva la freddezza che gli riservavano i genovesi, ma non riuscì a piegare il nostro orgoglio neppure lanciando sedicimila bombe sulla città. Genova non accettò le condizioni di resa, lottò e non cadde in mano ai francesi.
E' il savonese Sebastiano Zunino - che, dopo una laurea in medicina ottenuta più per sfinimento che per merito, si inventa i suffimigi rettali per curare quei riccastri malati solo di noia aprendo uno studio a Genova, nella centralissima via Luccoli - ci racconta del pauroso bombardamento a cui assiste al sicuro sulle alture del Righi insieme alla sua amante napoletana.

"Insurrezione", il racconto più breve, appena sei pagine, ci trasporta di altri 62 anni, al 5 dicembre 1746. Dal 5 settembre dello stesso anno la città era caduta in mano austriaca. La sopportazione dei genovesi durò giusto tre mesi, finchè da un caso fortuito partì la rivolta del popolo: un ufficiale austriaco ordinò a un gruppo di uomini di aiutare i suoi soldati a spostare un mortaio che era rimasto intrappolato nel fango di via di Portoria. Ma dal gruppo un ragazzo - poco più che un bambino di cui l'identità non è mai stata accertata, ma che passò alla storia come il Balilla - gridando: "Che l'inse?" ("Comincio io?"), lanciò una pietra contro gli invasori che dovettero scappare per sfuggire ai colpi della fitta sassaiola che ne seguì. Il giorno dopo tornarono e oltre ai sassi trovarono ad attenderli anche i fucili. Dopo tre giorni di rivolta, il popolo insorto riuscì a ottenere dagli austriaci prima una tregua e poi il ritiro.

"Queste sono le chiavi che con tanta franchezza loro signori serenissimi hanno dato ai nostri nemici; procurino in avvenire di meglio conservarle, perchè noi con il nostro sangue le abbiamo recuperate"

Sono le parole con cui il capo-popolo Giovanni Carbone, garzone di osteria, riconsegnò al doge le chiavi della città dopo averle ottenute dagli austriaci.

De Marchi ricorre al camallo Luigi, u barba (lo zio) del Balilla, per raccontare questo episodio che nel secolo successivo diventerà un esempio fondamentale per i moti rivoluzionari italiani ed europei.

(PS: gli austriaci, per i quali la conquista di Genova era diventata il principale obiettivo militare, ci riprovarono l'anno successivo, finendo con l'essere definitivamente respinti e optando per terreni di conquista più facili)

81 anni dopo il racconto "Patrioti" ci porta in via Lomellini, nella casa natale di Giuseppe Mazzini, che un giorno presenta i fratelli Ruffini a  un amico milanese di passaggio in città, il mercante Carlo Bosetti che - indifferente al magma che ribolle nel Regno di Sardegna e in quello Lombardo-Veneto, ma interessato solo ai dazi che gli austriaci gli impongono prima per comprare la lana e poi per smerciare i tessuti che produce - si spaventa per gli accenni alla Carboneria, senza rendersi neppure conto che in quel salotto gli altri tre stanno facendo l'Italia...

In "Traversata" De Marchi racconta l'opprimente viaggio in terza classe compiuto nel 1869 da un quattordicenne della Valpolcevera costretto, come tanti, ad andare in Argentina a "cercar fortuna": perchè anche noi genovesi, anche noi italiani, siamo emigrati per disperazione.
A Buenos Aires c'è un quartiere genovese, La Boca. "Ma se ghe penso", la canzone genovese per eccellenza, venne scritta nel 1925 e racconta proprio di un genovese emigrato in Sud America che sogna di tornare.


O l'ëa partîo sensa 'na palanca
L'ëa zà trent'anni, forse anche ciû
Ô l'aiva lottòu pe mette i dinæ a-a banca
E poèisene ancon ûn giorno turnâ in zû
E fâse a palassinn-a e o giardinetto
Co-o rampicante, co-a cantinn-a e o vin
A branda attaccâa a-i ærboi, a ûso letto
Pe dâghe 'na schenâa seja e mattin
Ma o figgio ô ghe dixeiva: "No ghe pensâ
A Zena cöse ti ghe vêu tornâ?!"

Ma se ghe penso allôa mi veddo o mâ
Veddo i mæ monti e a ciassa da Nûnsiâ
Riveddo o Righi e me s'astrenze o chêu
Veddo a lanterna, a cava, lazû o mêu
Riveddo a-a seja Zena inlûminâa
Veddo là a Fôxe e sento franze o mâ
E allôa mi penso ancon de ritornâ
A pösâ e össe dove'hò mæ madonnâa

O l'ëa passòu do tempo, forse tróppo
O figgio o l'inscisteiva: "Stemmo ben
Dove ti vêu anâ, papà? Pensiemmo dóppo
O viaggio, o mâ, t'é vëgio, no conven!"
"Oh no! Mi me sento ancon in gamba
Son stûffo e no ne pòsso pròppio ciû
Son stanco de sentî: señor, caramba
Mi vêuggio ritornâmene un po' in zû
Ti t'é nasciûo e t'hæ parlòu spagnòllo
Mi son nasciûo zeneise e no ghe mòllo!"

Ma se ghe penso allôa mi veddo o mâ
Veddo i mæ monti e a ciassa da Nûnsiâ
Riveddo o Righi e me s'astrenze o chêu
Veddo a lanterna, a cava, lazû o mêu
Riveddo a-a seja Zena inlûminâa
Veddo là a Fôxe e sento franze o mâ
E allôa mi penso ancon de ritornâ
A pösâ e osse dove'hò mæ madonnâa

E sensa tante cöse o l'è partïo
e a Zena o gh'à formóu torna o so nïo.
- Lëzi o têsto originale


Era partito senza un soldo,
erano già trent'anni, forse anche più.
Aveva lottato per mettere i denari in banca
e potersene un giorno venire in giù
e farsi la palazzina e il giardinetto,
con il rampicante, con la cantina e il vino,
la branda attaccata agli alberi a uso letto,
per darvi una schienata sera e mattina.
Ma il figlio gli diceva: "Non ci pensare
a Genova, cosa ci vuoi tornare?!"

Ma se ci penso allora io vedo il mare,
vedo i miei monti e piazza della Nunziata,
rivedo Righi e mi si stringe il cuore,
vedo la lanterna, la cava, laggiù il molo...
Rivedo la sera Genova illuminata,
vedo là la Foce e sento frangere il mare
e allora io penso ancora di ritornare
a posare le ossa dove ho mia nonna.

Ed era passato del tempo, forse troppo,
il figlio insisteva: "Stiamo bene,
dove vuoi andare, papà?.. penseremo dopo,
il viaggio, il mare, sei vecchio, non conviene!" -
"Oh no, oh no! mi sento ancora in gamba,
sono stufo e non ne posso proprio più,
sono stanco di sentire señor carramba,
io voglio ritornarmene ancora in giù...
Tu sei nato e hai parlato spagnolo,
io sono nato genovese e... non mi mollo!"

Ma se ci penso allora io vedo il mare,
vedo i miei monti e piazza della Nunziata,
rivedo Righi e mi si stringe il cuore,
vedo la lanterna, la cava, laggiù il molo...
Rivedo la sera Genova illuminata,
vedo là la Foce e sento frangere il mare
e allora io penso ancora di ritornare
a posare le ossa dove ho mia nonna.

E senza tante cose è partito
e a Genova ha formato di nuovo il suo nido.
 
  
Con "Disfatta" arriva il cambio di secolo: un uomo di 36 anni legge su "Il Secolo XIX" le pessime notizie in arrivo dal fronte. E' il 1917 e la disfatta, naturalmente, è quella di Caporetto. Durante il tragitto casa-lavoro, da via Nizza a Piazza De Ferrari, il protagonista all'improvviso cambia idea e, anzichè andare in ufficio, sale in Carignano dove c'è il distretto militare, con l'intenzione di arruolarsi come volontario.

Con "
L'intruso" De Marchi salta a piè pari la seconda guerra mondiale: siamo nell'immediato dopoguerra e il professor Peiré, cardiologo di fama internazionale, si trova a dover fare i conti con un paziente poco gradito, un ex compagno di scuola.
E' il racconto più lungo e quello che mi è piaciuto di meno. Stona con gli altri, di genovese c'è solo l'ambientazione, di storico non c'è nulla.
Ho apprezzato solo una frase:

"C'è sempre una proporzione diretta tra la quantità di quattrini che uno possiede e la quantità del suo pelo sullo stomaco"

Il protagonista di "Speranze" è un diciottenne figlio della borghesia che sul finire del 1968 abbandona gli studi e la famiglia incapace di sopportare quell'ingiustizia sociale che gli fa godere agi di cui altri sono privi senza demerito.
Genova ha dato ben altro al '68 italiano...

E si finisce nel 1992 con "La mazzetta" che avrebbe avuto un'ambientazione più consona a Milano, dove difatti un assessore genovese si reca per incontrare un riconoscibile Bettino Craxi da cui si aspetta le rassicurazioni di cui ha bisogno per continuare a poter pensare che quei taglieggiamenti sono in realtà operazioni così meritorie che, a suo avviso, dovrebbero essere riconosciute legalmente.

C'è molta Genova in questa raccolta (comprese - qua e là - parole, frasi ed espressioni dialettali che, senza note di traduzione a margine, non so quanto possano essere comprensibili per un "foresto"), ma per me non ce n'è  abbastanza: manca un racconto sulla seconda guerra mondiale (dov'è finito l'orgoglio genovese dell'autore, così evidente nel descrivere la storia dei secoli scorsi, ma che non ritorna per fargli raccontare di come Genova sia stata l'unica città europea in cui il Terzo Reich si è arresto ai partigiani?) e manca un racconto sul G8 del 2001.

Due eventi imprescindibili se si vuole raccontare la storia della mia città.

Reading Challenge 2021: questo testo risponde alla traccia normale di agosto (libri collegabili a uno stesso film: ho scelto "Genova", con Colin Firth)