mercoledì 10 agosto 2022

"Storia del pinguino che tornò a nuotare", Tom Michell


Questa è una storia vera. Il libro (titolo originale: "The Penguin Lessons") è un self publishing  del 2015. Tom Michell ha raccontato il breve, ma intenso legame che lo ha unito a un singolare amico: un pinguino di Magellano.
Era il 1976 e Tom - nato e cresciuto nelle campagne del sud dell'Inghilterra - aveva 23 anni e una gran voglia di esplorare il mondo. Per questo aveva risposto a un annuncio di un collegio di Buenos Aires per un posto come insegnante di inglese. Era in Argentina da sei mesi quando aveva approfittato di un periodo di vacanza per visitare il vicino Uruguay. Nel tardo pomeriggio del giorno precedente al rientro, durante l'ultima passeggiata a Punta de Este, si era imbattuto nelle conseguenze di uno dei tanti disastri ambientali causati dall'uomo: sulla spiaggia c'erano centinaia di pinguini morti, uccisi dal petrolio riversato in mare che aveva coperto occhi, becchi e corpicini uccidendoli dopo una lenta agonia.
Tutti tranne uno: un pinguino era ancora vivo e si dibatteva arrabbiato e terrorizzato.

Michell ripercorre tutta la sua esperienza, dal recupero all'opera di pulizia, e tutto quello che seguì. Per il nome da dare all'uccello si ispirò all'edizione spagnola de "Il gabbiano Jonathan Livingston": Juan Salvador, o meglio, "Juan Salvado per gli amici più intimi, Salvador per le occasioni formali".


Il libro è arricchito da sette illustrazioni opera di Neil Beker, ma l'emozione più grande è quella di poter vedere proprio Juan Salvado mentre nuota nella piscina del collegio in un brevissimo video. Senza aver letto il libro temo che arrivino solo delle immagini verdognole e sgranate, viceversa non si può non commuoversi perché leggendo la sua storia è impossibile non affezionarsi a questo sfortunato pinguino.


Michell non parla solo di Juan Salvado. Descrive l'Argentina degli anni '70 in maniera non approfondita, ma toccando comunque tanti aspetti importanti, evidenziando soprattutto le condizioni dei poveri e il modo in cui erano i descamisados a pagare il prezzo più alto dell'inflazione, ricordando le colpe accumulate da noi europei (anche) in Sudamerica.

"Le parti più desiderabili del continente erano state occupate dagli europei in nome delle loro divinità e dei loro governanti, e ai membri delle popolazioni indigene che erano sopravvissuti alla violenza e alle malattie straniere erano state lasciate le regioni più inospitali, eppure i loro discendenti si tenevano aggrappati con fiero senso d’indipendenza agli usi tradizionali."
Certo non è Isabel Allende, ma è comunque apprezzabile. Come sono belle le considerazioni che fa sul vuoto che le persone e gli animali che abbiamo amato  ci lasciano dentro quando muoiono:
"Il tempo passa e nuove persone e nuovi animali gareggiano per avere un posto nel nostro cuore, ma quello lasciato libero da chi lo occupava in precedenza non si riempie mai."
Il romanzo ha anche una doverosa componente ecologista. La tragedia che colpì i pinguini morti in quella spiaggia uruguayana ha dato a Michell modo di sottolineare come gli animali siano le grandi vittime dell'insensatezza dell'uomo.
"Lo stile di vita odierno è esplicativo della capacità degli esseri umani di operare cambiamenti spettacolari in tempi brevissimi ma, pur sapendo che il nostro modus vivendi è insostenibile, finora il nostro modus operandi si è dimostrato incapace di mettere in pratica le misure necessario anche solo a consentire un equilibrio della vita allo stato naturale, figurarsi una sua ripresa."
Quello che però paradossalmente manca è un'autentica spinta animalista: Tom Michell non è Isabel Allende, ma non è nemmeno Costanza Rizzacasa d'Orsogna. Onore a lui per aver soccorso un pinguino, impresa sicuramente non facile, tanto meno quasi cinquant'anni fa, ma dalla lettura emerge chiaramente (e fastidiosamente) come lui sia solo una delle tante persone per le quali esistono gli animali da compagnia (fra cui si può inserire a sorpresa anche un pinguino) e quelli al servizio dell'uomo e come consideri giusto ed etico sfruttare questi ultimi, usare le parti dei loro corpi per farne oggetti e, ovviamente, mangiarseli. Chi si commuove davanti alle immagini di poveri animali uccisi da una marea nera non faccia l'errore di pensare che quelli finiti nei loro piatti abbiano sofferto di meno.




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