lunedì 29 agosto 2022

"Vietato", Karine Tuil

 

Parigi, estate 1991. Saul Weissmann e Simone Dubuisson si prefiggono lo stesso scopo: quello di sposarsi. Lui perché a 70 anni ha paura di invecchiare solo (e una moglie gli costerebbe meno di un'infermiera a domicilio), lei perché a 43 e con una diagnosi di premenopausa in atto sente il rimbombo dell'orologio biologico allo scandire di ogni singolo secondo.
Si erano conosciuti soltanto tre mesi prima durante un'escursione organizzata da un gruppo di incontri per single over 40, rigorosamente ebrei. Erano in venti, di cui soltanto tre uomini e Simone si era piazzata subito al fianco di Saul infischiandosene della grande differenza di età, così come lui si era sentito sicuro di riuscire a sopportare l'incredibile bruttezza della sua futura moglie.
Pur contrario al rito religioso del matrimonio ("Dio non era venuto ad Auschwitz, perché mai avrebbe dovuto assistere al mio matrimonio?"), aveva accettato di sottoporvisi sapendo che per Simone era una condizione imprescindibile.
E così eccoli lì, a colloquio con quel giovane rabbino che esige da parte di entrambi il certificato del matrimonio religioso dei rispettivi genitori. Simone lo ha con sé, ma Saul non lo ha mai avuto. Serve allora la testimonianza scritta di un parente, ma Saul non ha più nessuno. Anche una parte di lui era morta ad Auschwitz cinquant'anni prima. E neppure il numero tatuato sul braccio secondo il rabbino costituisce una prova certa del suo ebraismo: "Senza prove, niente matrimonio!".
Eppure i nazisti non ne avevano avuto bisogno per deportare e uccidere tutta la sua famiglia.

Quello che ho scritto è il sunto di quanto succede nel primo capitolo di questo libro mignon: appena 135 pagine pubblicate nel micro formato 12x16 cm nella collana Libri Piccoli Voland.
Un primo capitolo che aveva confermato le aspettative che avevo dopo averne letto la trama, ma che poi sono rimaste parzialmente deluse proseguendo la lettura.

Karine Tuil, parigina classe 1972, con questo suo secondo romanzo (il primo tradotto in italiano) scritto nel 2001 vinse il Prix Littèraire Wizo l'anno successivo (venne anche selezionato per il più prestigioso Prix Goncourt).

L'idea di partenza è assolutamente geniale, ma la crisi di identità che colpisce il protagonista tocca degli aspetti difficili da comprendere per chi non è ebreo e a questo si aggiunge un tipo di destabilizzazione interiore che - ai miei occhi totalmente atei - assume aspetti fantascientifici.

Al contrario i rimandi alla Shoah, quelli che portano alla diagnosi di delirio di persecuzione, sono macigni, ma la Tuil li mette nero su bianco con un sarcasmo dissacrante a tratti degno di Roth. Una manciata di frasi che da sole valgono l'acquisto.

"Voglio essere libero"
"Lo è! Si ricordi: tutti gli uomini nascono liberi e con eguali diritti"
"Sì, ma lo restano?"
"I tempi sono cambiati, ormai anche gli ebrei sono uomini liberi"
"Mosè ci ha detto la stessa cosa cinquemila anni fa quando ci ha fatto uscire dall'Egitto. Pensi un po' a cosa ci è successo dopo..."

Reading Challenge 2022, traccia di agosto: un libro con la copertina flessibile