Dopo due giorni viene fermato Martin Willett, il giovane assistente (e amante) della madre di Joy. Il giorno della scomparsa era dentro alla sua auto, parcheggiata nei pressi del laghetto: lui sostiene di aver fatto una telefonata e di essere andato via, ma Harper, l'ex migliore amica di Joy, testimonia di averlo visto mentre indossava un passamontagna nero, che poi viene ritrovato in uno dei cassetti della sua cucina. Basta questo - più il fatto che sia l'unica persona di colore della cittadina - a trasformare in arresto lo stato di fermo.
Ecco il secondo e ultimo romanzo dell'autrice a essere stato tradotto in italiano. Se a rallentarmi nella lettura di "Quello che non vuoi sapere" era stata l'impaginazione, questa volta attribuisco la causa a una certa pesantezza dello stile narrativo, già presente nell'altro, ma qui più opprimente.
La morte della figlia adolescente fa dei suoi genitori due personaggi devastati dal dolore e schiacciati dai sensi di colpa, ma tutti - dalle figure più rilevanti a quelle minori - hanno un bagaglio di problematiche e malesseri che nell'insieme non invogliano alla lettura.
La particolarità di raccontare gli eventi dal punto di vista di tutte le persone coinvolte (ma solo Martin è narratore diretto) - un sistema che mi è sempre piaciuto nella ricostruzione dei fatti - viene uccisa dalla lentezza adottata dalla Treadway nello svelare i vari tasselli, aggiungendoci un'introspezione spesso forzata e poco convincente, senza contare che alla fine quei tasselli non hanno incastri propriamente perfetti. In particolare ci sono due questioni che non vengono sviluppate in modo sensato e, purtroppo, sono entrambe fondamentali nell'epilogo della storia.
Questa volta non recrimino sul fatto che non abbiano tradotto altro dell'autrice.
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