lunedì 21 agosto 2023

"Dio di illusioni", Donna Tartt

 

Vermont (Stati Uniti). E' una domenica pomeriggio di aprile di un anno non precisato quando il 24enne Edmund (Bunny) Corcoran muore precipitando da un burrone. Ed è Richard Papen, sei anni dopo, a raccontarci questa storia, dicendoci subito che non si era trattato di un incidente, ma che Bunny era stato spinto intenzionalmente da qualcuno. E che in cima al dirupo c'era anche lui, insieme a Francis, a Henry e ai gemelli, Camilla e Charles.
Quegli stessi ragazzi da cui era rimasto subito affascinato quando l'autunno precedente era arrivato al Hampden Collage, vicino ad Albany, un istituto fondato nel 1895 e specializzato in materie umanistiche.
E, dopo il prologo, Richard inizia il suo racconto da lì, cioè da quando 
Julian Morrow - l'unico docente di greco antico - aveva accettato di fare di lui il suo sesto studente: un privilegio o una condanna?

Secondo mattoncino che ho scelto di leggere in vacanza, alternandolo a "La notte, il sonno, la morte e le stelle".
Opera prima che Donna Tartt (come Zadie Smith con "Denti bianchi") scrisse quando era una studentessa universitaria, proprio nel Vermont. Pubblicato nel 1992, fu un caso letterario degli anni Novanta, ma - se c'è un libro su cui scommetterei circa la possibilità che verrà letto con gusto anche fra duecento anni - è questo.

Dall'omicidio e dai perché e per come di esso deriva la classificazione come thriller (per Amazon) e come giallo (per IBS), due generi troppo limitati per tutto quello che la Tartt ha costruito. La trama è piuttosto semplice, Bunny viene ucciso dai suoi stessi amici/compagni e attraverso Richard scopriamo cosa li ha portati a questo gesto estremo e le eventuali conseguenze. Ma Richard è un narratore inaffidabile e il lettore intuisce, o proprio si accorge, di aspetti che lui non nota o a cui non dà il necessario valore.

Oltre alla scrittura (cupa e lenta in maniera straordinaria),  all'ambientazione (in questo college stile vecchia Inghilterra) e, soprattutto, al modo in cui la Tartt riesce a calamitarci sulle parole di Richard dandoci in ogni pagina l'impressione che stia parlando proprio a noi, come unici ascoltatori, la forza del romanzo è il fascino di ogni personaggio, tutti detestabili, i cinque ragazzi ricchi (solo Richard costituisce un'eccezione) - ognuno alle prese con dipendenze da alcool e/o farmaci a vari livelli e che, potendoselo permettere (il rovescio della medaglia dell'avere tanti soldi, per di più senza averli guadagnati), finiscono per degenerare - e il loro professore, superiore alle regole dell'istituto (quando puoi permetterti di lavorare gratis evidentemente puoi considerarti esente dai vincoli) e venerato dai suoi studenti ("
Non potrei mai riuscire a far comprendere al rettore che c’è una divinità, tra di noi").

E' lui che, direi inconsapevolmente, li porta a un limite estremo instillando in loro la convinzione di essere immortali, aiutato da quell'arroganza che spesso va a braccetto con la gioventù e a cui non tutti hanno la fortuna di sopravvivere riuscendo a superare quella fase arrivando a capire quanto sia fasulla senza aver fatto troppi danni.

Quello che mi è mancato leggendo questo romanzo sono stati gli studi classici. Una volta capito che il dio delle illusioni del titolo è Dionisio ho dovuto approfondire parecchio per capirci qualcosa. E non solo. Io non so nulla sul peso e sulla perdita dell'io, non conosco i fatti legati a Palinuro nell'Eneide, non ho le basi per capire il paragone che viene fatto fra due personaggi del libro e Pluto e Persefone.

E' per questo che al 21 del mese ho letto soltanto due libri. E non c'entra la mole di entrambi. Le 832 pagine della Oates sono tante, ma mi sono scorse davanti agli occhi in maniera appagante e piacevole, mentre sulle 622 della Tartt ho dovuto sudare.

Mi sono stupita ieri mattina scoprendo che una cliente diplomata al classico con il massimo dei voti non conosceva né libro né autrice: sono sicura che se a scuola avessi studiato il greco (possibilmente amandolo) "Dio di illusioni" mi avrebbe fatto venire voglia di riprendere in mano le versioni, come mi è capitato di leggere in una recensione.

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