mercoledì 13 novembre 2024

"L'incredibile storia di Soia e Tofu", Pallavi Aiyar

 

Pechino, estate 2008. Soia - gattino rosso affetto da manie di protagonismo - e Tofu - micina nera timida e un po' fifona - sono nati in primavera all'interno dell'antica Città Imperiale, a poche settimane e a poche decine di metri di distanza. Lui, (incredibilmente) figlio unico, ha mosso i primi passi nello siheyuan della famiglia Xu, accudito dalla sua mamma. Lei è stata svezzata dentro a un bidone insieme a quattro fratelli.
Un giorno vengono portati via per essere consegnati a Mrs e Mr A, una coppia di stranieri arrivati da poco in città. Fra coccole, pranzetti prelibati e tanti posticini comodi e caldi dove dormire, i due maomi inizieranno subito ad apprezzare la loro nuova vita, senza dimenticare le proprie origini e consolandosi grazie al reciproco affetto. Finché a Soia viene proposto il ruolo di protagonista della pubblicità del nuovo, eccezionale cibo per gatti prodotto in Cina: e "qualcuno" finirà col montarsi la testa.

Pallavi Aiyar, scrittrice e giornalista indiana che ha vissuto per sei anni a Pechino, ha pubblicato "Chinese Whiskers" (unico suo titolo tradotto in italiano) nel 2010.

Un librino di 167 pagine con una copertina adorabile che non può non attrarre ogni amante dei gatti. Apparentemente una favoletta, raccontata da Soia e da Tofu che si alternano di capitolo in capitolo.

Due mici diversi nelle pellicce quanto nel temperamento.

Lui: il tipico gatto star, come lo erano il mio Gippi e il mio Gastone e come lo è la mia MuMù, vere e proprie primedonne, catalizzatori dell'attenzione di chiunque, quella dei loro umani e di ogni persona in visita, senza fare distinzioni fra parenti, amici, idraulici, antennisti e scocciatori vari.

Lei: esattamente l'opposto, capace di nascondersi per ore alla vista di chiunque non sia un suo umano, per poi diventare in assenza di estranei così affettuosa e presente da risultare perfino appiccicosa, esattamente come lo era la mia Fumetta e come è la mia Lunetta.

Ci sono tante cose carine nel libro, come lo stupore di Tofu quando vede per la prima volta un essere umano ("Niente zampe, niente baffi, niente coda") o la saggezza con cui la mamma descrive a Soia i limiti degli uomini ("Ai ren (gli esseri umani) piace parlare del tempo, quando piove esclamano "Piove!", benché sia piuttosto ovvio").

Apprezzabile anche la difesa degli animali:

"Quando le cose si mettono male, di solito i ren danno la colpa agli animali. L'anno scorso c'era un virus che dicevano venisse dai polli: è bastato che morisse un ren e hanno ammazzato quarantamila polli. Quando i ren hanno paura di un virus noi animali siamo nei guai"

Peccato che però l'autrice non si dimostri migliore di quelli che critica tanto:

"Come si fa a essere così crudeli con degli animali innocenti? Mi rifiuto di credere che non vedano la differenza tra uno zibetto che vive nei boschi e un cane o un gatto domestici"

Evidentemente per lei la crudeltà contro gli zibetti è lecita e io la gente che ragiona così non la sopporto.


La Aiyar tira molte stoccate alla Repubblica Popolare Cinese ("Il governo del suo paese non è esattamente noto per dire la verità") - come se l'India, soprattutto adesso, fosse un modello di democrazia - ma il racconto assume uno spessore inaspettato nella sua denuncia contro i divari e le disuguaglianze sociali perché ci sono tante, troppe persone che vivono da randagie, e non per scelta.


Reading Challenge 2024, traccia vagabonda novembre: India