Framingham, Massachusetts. Ruth ha 23 anni quando decide di fare il grande salto: lasciare il piccolo sobborgo di Boston, dove è nata e cresciuta, per cercare di realizzare il suo sogno a Los Angeles, quello di diventare autrice di sit-com per la tv.
Parte insieme alla nonna (super trendy) con cui ha un legame fortissimo da quando un tragico incidente d'auto l'ha resa orfana a soli tre anni, deturpandole anche irrimediabilmente il volto.
Il sogno si avvera quando la ABS sceglie, fra decine e decine di altre sceneggiature, di produrre "La prima cosa bella", la sit-com che Ruth ha in mente da sempre.
Ma la gioia deve presto lasciare spazio ai numerosi rospi da ingoiare, perchè in televisione è tutto un compromesso e l'unica cosa che conta sono gli ascolti...
Decimo romanzo di Jennifer Weiner, autrice - secondo me - sottovalutata, a cominciare dall'etichetta di romanzo rosa che viene data ai suoi libri quando, sempre IMHO, potrebbero benissimo rientrare nella narrativa contemporanea.
I suoi precedenti lavori mi erano piaciuti da tanto a tantissimo, ma questo l'ho trovato davvero pessimo. Non per lo stile di scrittura, come sempre scorrevole e riconoscibile, quanto per lo sviluppo della trama.
La storia alla base offriva spunti per riflessioni profonde: una giovane famigliola disintegrata in un attimo, questa piccola bambina che, oltre a non poter crescere con i propri genitori, si ritrova a dover subire decine di interventi al volto (e non solo) rimanendo comunque parzialmente sfigurata e, da qui, la sua immensa solitudine, il bullismo subito e il suo rifugiarsi in quelle commedie televisive che, pur nella finzione, in qualche modo la aiutano a sognare.
Non sto facendo spoiler, tutto ciò viene detto subito, in maniera piuttosto fredda, senza mai approfondire, perchè evidentemente la Weiner non voleva raccontare la storia di Ruth, ma solo quanto sia difficile riuscire a sfondare in televisione, e non solo per chi aspira a stare davanti ai riflettori.
Una scelta che avrei rispettato se lo avesse fatto bene, ad esempio se avesse descritto una vera gavetta, non quella troppo facile che ha inventato per Ruth, assunta come assistente poco dopo essersi trasferita e a cui producono la serie grazie alla "buona parola" dei suoi capi. Oppure se non avesse liquidato in una misera frase la denuncia al settore, che da sempre privilegia i bianchi possibilmente maschi e di ceto medio-alto.
Invece il libro (che, per altro, con con le sue 457 pagine non è neppure breve) si perde in troppi dettagli tecnici su come nasce una sit-com (quelle con le odiosissime risate registrate: riesco a tollerarle, a fatica, giusto per Big Bang Theory!), nel descrivere cosa fanno e cosa si dicono autori, regista e attori durante la fase di registrazione e nel racconto, questa volta dettagliato, di tanti episodi
tutti uguali fra loro (anche nei dialoghi), dove immancabilmente vediamo Ruth decisa a combattere per la sua
idea per poi accettare le
decisioni prese dall'alto, facendosene in fretta una ragione perchè
comunque l'importante è che "La prima cosa bella" venga trasmessa alla
tv, costi quel che costi.
Anche il rapporto fra nonna e nipote avrebbe meritato maggiore introspezione, andando ben oltre alle infinite descrizioni dell'abbigliamento delle due. Queste lungaggini, unite alle pagine di "people watching" in giro per Los Angeles, rendono la lettura ripetitiva e noiosa. Rubo una bellissima espressione della mia amica Viviana: non è un libro che ti chiama dal comodino.
Ultima nota: prima del libro ho letto anche "Con tutto l'amore che ho", il racconto che ha ispirato il romanzo, disponibile
solo in digitale scaricabile gratuitamente su Amazon e sul sito delle edizioni Piemme.
E' breve, non porta via molto tempo, ma quello di cui parla (un accenno all'incidente di Ruth bambina e l'inizio della sua nuova vita a Los Angeles) viene poi di nuovo ripreso nel libro.
Reading Challenge 2018: questo testo risponde al requisito "un libro con la copertina prevalentemente gialla" (numero 15 indizi difficili)