domenica 30 settembre 2018

"La signora Harris va a New York", Paul Gallico


E' passato un anno dalla mirabolante settimana parigina e la signora Harris è tornata alla sua quotidianità londinese (con in più un vestito di Dior nell'armadio). Tutto sarebbe tranquillo se non fosse per lo strazio serale che lei e la signora Butterfield devono sopportare: urla, colpi e pianti che arrivano dalla casetta di fianco dove il piccolo Hanry è vittima dei brutali attacchi dei suoi orribili genitori affidatari a cui la sciagurata madre lo ha lasciato per poi sparire nel nulla con il nuovo marito. Ma il bambino ha anche un padre, un americano tornato negli Stati Uniti dopo il divorzio e dopo il congedo dall'aviazione.
Giorno dopo giorno, mentre il tè le va di traverso, la signora Harris sente che - se solo potesse andare in America - per lei sarebbe un gioco da ragazzi rintracciare il padre, che sicuramente ignora la situazione del proprio figlioletto, e ricongiungere i due.
Riuscire ad attraversare la Manica per realizzare il suo sogno sembrava un'impresa impossibile, eppure ce l'ha fatta, ma l'oceano è immensamente più grande... Non può fare altro che accettare di seguire i signori Schreiber, suoi ricchi clienti in procinto di tornare negli Stati Uniti e ben contenti di non dover rinunciare alla preziosa domestica inglese.

Dopo aver tanto amato "La signora Harris", il seguito è stato una mezza delusione. Credo di aver sbagliato a leggerli consecutivamente perchè Gallico, per colmare le lacune di chi si fosse perso la prima storia, ripete le descrizioni dei personaggi e della vicenda, cosa che capisco, ma fino a un certo punto: passi l'accenno, ma se si esagera l'attenzione per il cliente distratto che si è perso un pezzo va a discapito di chi, invece, si è informato ed è stato preciso.

Ma il mio scontento deriva principalmente dal diverso stile narrativo: nel primo libro i dialoghi sono ridotti al minimo e conosciamo la signora Harris, i suoi pensieri, le sue reazioni, i suoi sogni, ecc, attraverso l'autore che ci racconta quasi tutto in terza persona, mettendo in bocca alla protagonista solo frasi brevi, spesso semplici esclamazioni. Non che stavolta le faccia fare grandi monologhi, ma la fa parlare abbastanza da "rovinare" il personaggio, rendendola meno acuta e più grossolana.

Resta comunque una lettura leggera, simpatica e piacevole, ma se io o Gallico ci fossimo fermati al primo libro, adesso conserverei un ricordo migliore di Ada Harris.

Reading Challenge 2017: questo testo risponde al requisito "un libro con una ragazza/donna come protagonista" (numero 21 indizi facili)