giovedì 24 giugno 2021

"L'amante giapponese", Isabel Allende

Berkeley (California), 2010. LarkHouse è una casa di riposo per anziani decisamente atipica, dove la retta non è fissa, ma varia a seconda del reddito di ogni singolo ospite. E' qui che si incrociano le vite di due donne che in comune hanno solo le origini europee e un inizio di vita tutto in salita.
Alma Belasco, polacca del 1931, a poco più di sette anni era stata imbarcata su una nave con destinazione Stati Uniti dai genitori, nel tentativo (riuscito) di mettere al riparo almeno la bambina dal pericolo sempre più reale del nazismo.
Irina Bazili, moldava del 1987, era arrivata  in America a 12 anni, lasciando una vita di stenti per finire in qualcosa di ben più terribile e atroce.
La prima, che grazie alla sua ricchezza avrebbe potuto permettersi centri per anziani di lusso, ha preferito ritirarsi in questo posto modesto, nell'incredulità dei familiari.
La seconda a LarkHouse, in mezzo a quelle persone anziane bisognose di aiuto, ha trovato finalmente un po' di tranquillità.
E Seth, il nipote di Alma, che - per riuscire a vedere spesso la ragazza, più che per un reale interesse - convince la nonna a raccontargli la sua vita e quella dei Belasco, famiglia di cui "si poteva risalire alle origini fin dai tempi della febbre dell'oro"...

Un anno e mezzo dopo il meraviglioso "Oltre l'inverno", torno a godere della bravura della Allende e non saprei proprio dire quale dei due romanzi mi sia piaciuto di più.

Ne "L'amante giapponese", scritto nel 2015, la storia d'amore non è la protagonista assoluta, come mi aspettavo: è una saga familiare e l'autrice attraverso i ricordi fa viaggiare i suoi personaggi (e i suoi lettori) avanti e indietro nel tempo, abbracciando quasi un secolo di storia, con una fluidità di scrittura che appaga totalmente.
E' dannatamente brava nel creare un meccanismo narrativo perfetto, dove ogni figura, principale e non, ha una sua funzione precisa e dove ogni rapporto viene descritto dal punto di vista di ogni soggetto coinvolto senza risultare mai pesante.

Il romanzo tocca temi importanti, pedofilia, omosessualità, AIDS, eutanasia e, naturalmente, la solitudine che caratterizza gli "anni invernali" della vita di ognuno (per chi ha la fortuna di arrivarci).

"Alma sosteneva che tutti possiedono un giardino interiore in cui rifugiarsi"

E non sarebbe un romanzo di Isabel Allende se non ci fossero riferimenti storici: mi sarebbe piaciuto un maggiore approfondimento di quelli riferiti alla situazione europea prima e durante la seconda Guerra Mondiale (considerando anche che i Belasco sono una famiglia ebrea), soprattutto mi ha molto stupito non trovare neppure un accenno alle due bombe atomiche sganciate dagli americani sul Giappone, ma attraverso l'altra famiglia protagonista, quella dei Fukada, la Allende descrive in maniera toccante le vessazioni subite dai giapponesi residenti negli Stati Uniti in seguito all'attacco di Pearl Harbor, persone che vivevano in pace nel Paese da 30 o 40 anni, i cui figli erano nati e cresciuti in America e che vennero prelevate dalle loro case, deportate nei campi di concentramento costruiti per loro e dove furono rinchiuse per anni. Civili, non militari. Al pari degli ebrei raccolti nei ghetti e poi deportati nei lager nazisti.

I campi di concentramento americani non erano campi di sterminio, ma basta cercare le immagini di Topaz per capire che quando una nazione costruisce e allinea delle baracche per rinchiuderci delle persone privandole di ogni diritto qualcosa non funziona come dovrebbe.





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