Genova Pra', 28 maggio 2017. Sono passati solo pochi mesi da quelli che la stampa ha etichettato come "omicidi danteschi" quando Genova - "una città all'apparenza sonnolenta e immobile" - viene scossa da un altro brutale omicidio. All'interno del suo appartamento nell'estremo ponente cittadino viene trovato il cadavere di Teresa Tiraboschi: 48 anni, vedova da sei e senza figli, la donna si manteneva eseguendo lavori sartoriali per conto di tre negozi di abbigliamento, occupazione che la portava a uscire raramente e a condurre un'esistenza molto solitaria.
L'ispettore Manzi ha ben pochi spunti di indagine, eppure solo un odio profondo e personale può spiegare l'accanimento dell'assassino che ha preso a sassate la donna finendola con un colpo violento alla testa e che ha usato il suo sangue per tracciare un messaggio sul corpo.
Due mesi dopo "Tre cadaveri" sono tornata con piacere a leggere il mio concittadino che questa volta come scena del primo dei due omicidi del titolo ha scelto le mie zone.
L'appartamento della Tiraboschi si trova nella patria del basilico, Pra', il piccolo quartiere confinante con Pegli, dove abito io. Cita anche Sampierdarena, dove sono nata, e tutti i quartieri del litorale di ponente, ma - tolto il mio interesse personale - l'ambientazione del primo delitto è irrilevante ai fini della storia.
Molto più suggestiva quella del secondo, l'abbazia di Santo Stefano, in posizione centralissima, proprio sopra a via XX Settembre, l'arteria cittadina principale e via dello shopping, che chissà quanti turisti hanno attraversato senza guardare in su: ma Genova è una città verticale, qui bisogna per forza salire e scendere in continuazione e se non si guarda in alto si perde molto.
Nel romanzo ritroviamo tutti i personaggi di quello precedente, l'ispettore Manzi e l'intera squadra di polizia, la cronista Orietta Costa e gli altri giornalisti del "Secolo XIX" e, naturalmente, Goffredo "Red" Spada, il protagonista: la trama orizzontale che riguarda ciascuno di loro viene qui ripresa, proseguita e chiaramente lasciata in sospeso per il thriller successivo, "Sei sospetti per un delitto", che conto di leggere appena possibile.
Torna anche quel buffo modo che ha Malavasi di collegare i capitoli fra loro (fine capitolo: "...con la medicina improvvisata. Poi decise.", Inizio capitolo successivo: "Decise di imboccare via XX Settembre dall'inizio...") e il suo stile veloce e avvincente che fa del libro uno di quelli che ti chiamano per proseguire la lettura.
La storia gialla inizia e finisce nelle sue 441 pagine, ovviamente con la risoluzione dei due delitti, ed è intricata come quella del libro precedente, ma - pur prendendomi parecchio - mi ha convinta un po' meno.
Malavasi semina indizi davvero minimi, e questo va benissimo, non avrebbe senso in un thriller indirizzare con troppo anticipo il lettore sulla pista giusta, ma chi ne legge tanti sa bene che nessun particolare viene menzionato a caso. La sfida di questo genere di lettura è proprio quella di riuscire a raccogliere i vari punti che poi portano chi indaga e chi legge alla soluzione.
Ma è sul finale che mi è mancato qualcosa: i piccoli indizi vengono ripresi, tutti, ma non approfonditi. Per alcuni non ce ne sarebbe stato bisogno, ma per altri sì e questo crea un finale frettoloso. La storia ne avrebbe meritato uno più articolato, ma per gli standard Newton Compton temo che il libro fosse già fin troppo corposo così...
Un passaggio che da donna mi ha dato molto fastidio è quello in cui Malavasi fa indossare a Orietta Costa la sua biancheria più sexy e un tailleur provocante con la dichiarata intenzione di sfruttare la propria bellezza per riuscire a ottenere dal caporedattore un favore: brutto, evitabile e penalizzante per l'immagine di questa giornalista d'assalto, punta di diamante del quotidiano genovese.
Da genovese mi hanno fatto sorridere diverse cose, dalla presenza di telecamere di sorveglianza in via Cordanieri (per di più in un negozio di frutta e verdura!) a Manzi (romano de Roma) che si chiede come si faccia a mangiare la focaccia pucciandola nel cappuccino, perplessità che negli anni anch'io ho trovato in molti amici foresti... finchè non gliel'ho fatta assaggiare ^^
Invece la pensiamo allo stesso modo su "la strada sopraelevata, quel sinuoso serpente di cemento che alcuni genovesi, in modo incomprensibile, dichiaravano di amare": di sicuro non io!
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