Dopo aver letto "La terapia", opera prima di Fitzek, mi ero ripromessa di recuperare presto anche gli altri suoi romanzi e, invece, ho fatto passare tre anni prima di avventurarmi sul secondo, cosa che succede spesso quando si ha una wish list di libri da leggere che si allunga quotidianamente o quasi!
Periferia di Berlino, antivigilia di Natale, presente: sui banchi di una tetra aula una giovane coppia si ritrova a leggere una cartella clinica mascherata da romanzo. O viceversa. Hanno risposto a un annuncio dell'università che prometteva un compenso di 200€ a chi avesse accettato di sottoporsi a un test psicologico non meglio precisato. In cattedra un professore, perso nei suoi tristi pensieri.
Sempre periferia di Berlino, vigilia di Natale, ma di un numero imprecisato di anni prima. La città vive nella paura a causa del cosiddetto "ladro di anime": non lo si può definire un serial killer perchè non uccide, ma ha già ridotto tre donne in stato vegetativo. Ed ora il ladro di anime si trova all'interno di una clinica psichiatrica dove c'è anche la donna che vuol far diventare la sua quarta vittima. I telefoni non funzionano, i cellulari non prendono e la villa è isolata dal resto del mondo a causa di una violentissima tempesta di neve. Le poche persone all'interno, fra cui Caspar, paziente della clinica affetto da amnesia, devono "solo" cercare di rimanere vivi fino alle 8 del mattino, quando arriverà il personale del turno di giorno...
Non posso dire che mi sia piaciuto quanto "La terapia". Stile e meccanismi sono gli stessi, quelli del Thriller Psicologico con la T e la P maiuscole: dopo una partenza un po' lenta, il ritmo diventa incalzante (anche grazie ai tanti capitoli brevi), spinge a proseguire la lettura per scoprire chi sia il ladro di anime e, soprattutto, per capire quale collegamento ci sia fra i due livelli temporali.
Però non mi ha fatto provare quella sana frenesia da thriller, bensì un genere di ansia opprimente e, quindi, poco piacevole.
L'accurata ricostruzione finale dà una risposta a tutto, anche con l'aiuto di un paio di fortunate coincidenze, come viene ammesso nel testo stesso, ma Fitzek ci ha messo troppi elementi da thriller di azione con i pochi personaggi (dieci in tutto, nessuno davvero ben costruito) che scappano all'interno della clinica chiudendosi di volta in volta in un locale diverso nel tentativo di sfuggire al ladro di anime.
In tantissimi punti ho avuto l'impressione che sia un libro scritto strizzando l'occhio al cinema: non manca nessuno degli espedienti usati per far fare un salto sulla poltrona allo spettatore (e io in questi frangenti faccio salti olimpionici!): la bufera di neve, la villa inquietante, la persona incosciente che all'improvviso spalanca gli occhi girando la testa di scatto, l'ombra furtiva colta con la coda dell'occhio, il lamento che arriva dall'interfono... C'è anche l'ascensore le cui porte, fuori dal campo visivo della persona braccata, non riescono a chiudersi perchè sbattono contro a un ostacolo!
Scene viste e riviste e che, se sullo schermo funzionano benissimo, sulla carta difficilmente riescono a generare lo stesso grado di spavento.
Resta comunque un libro apprezzabile per gli amanti del genere e che sicuramente non mette fine al mio interesse verso questo autore.
Mi è piaciuto il ritorno di due personaggi già presenti ne "La terapia": le due storie non sono collegate e i due, che nel primo romanzo erano protagonisti, qua vengono solo citati, però se si ha buona memoria ti portano a dire "Toh, eccoli di nuovo qua" (detto in genovese, "te-i chi", rende meglio ^^). Sono quelle piccole cose che a me piacciono tanto.
Come mi sono piaciuti i ringraziamenti finali: di solito li trovo noiosi, utili solo all'autore. Per lo meno Fitzek è stato originale.
Però non mi ha fatto provare quella sana frenesia da thriller, bensì un genere di ansia opprimente e, quindi, poco piacevole.
L'accurata ricostruzione finale dà una risposta a tutto, anche con l'aiuto di un paio di fortunate coincidenze, come viene ammesso nel testo stesso, ma Fitzek ci ha messo troppi elementi da thriller di azione con i pochi personaggi (dieci in tutto, nessuno davvero ben costruito) che scappano all'interno della clinica chiudendosi di volta in volta in un locale diverso nel tentativo di sfuggire al ladro di anime.
In tantissimi punti ho avuto l'impressione che sia un libro scritto strizzando l'occhio al cinema: non manca nessuno degli espedienti usati per far fare un salto sulla poltrona allo spettatore (e io in questi frangenti faccio salti olimpionici!): la bufera di neve, la villa inquietante, la persona incosciente che all'improvviso spalanca gli occhi girando la testa di scatto, l'ombra furtiva colta con la coda dell'occhio, il lamento che arriva dall'interfono... C'è anche l'ascensore le cui porte, fuori dal campo visivo della persona braccata, non riescono a chiudersi perchè sbattono contro a un ostacolo!
Scene viste e riviste e che, se sullo schermo funzionano benissimo, sulla carta difficilmente riescono a generare lo stesso grado di spavento.
Resta comunque un libro apprezzabile per gli amanti del genere e che sicuramente non mette fine al mio interesse verso questo autore.
Mi è piaciuto il ritorno di due personaggi già presenti ne "La terapia": le due storie non sono collegate e i due, che nel primo romanzo erano protagonisti, qua vengono solo citati, però se si ha buona memoria ti portano a dire "Toh, eccoli di nuovo qua" (detto in genovese, "te-i chi", rende meglio ^^). Sono quelle piccole cose che a me piacciono tanto.
Come mi sono piaciuti i ringraziamenti finali: di solito li trovo noiosi, utili solo all'autore. Per lo meno Fitzek è stato originale.
Reading Challenge 2018: questo testo risponde al requisito "un libro di un autore tedesco" (numero 4 indizi difficili)