giovedì 25 aprile 2019

"Era una famiglia tranquilla", Jenny Blackhurst


Era una famiglia tranquilla quella di Susan, Mark e Dylan. Ma lo è stata per poco, per appena tre mesi, cioè finchè il piccolo è stato trovato privo di vita nel salotto di casa, con accanto la madre svenuta.
In seguito un processo ha stabilito che si è trattato di infanticidio, che Susan - sofferente di depressione post partum - ha soffocato il suo bambino, rimuovendo poi l'accaduto dalla sua mente.
Infatti lei non ricorda nulla di quel giorno. Quattro anni dopo ha lasciato l'ospedale psichiatrico dove ha scontato la sua pena (legale), ha cambiato città, ha cambiato nome, ha cambiato vita.
Ma poche settimane dopo trova fra la posta una busta non affrancata indirizzata al suo vecchio nome. All'interno una foto di un bel bambino di 3-4 anni e sul retro un nome e una data: Dylan, gennaio 2013.
Ma davvero suo figlio potrebbe essere ancora vivo?

I thriller sono il mio genere preferito e un thriller per piacermi deve soddisfare principalmente due aspetti: prendermi ed essere coerente.
Il più delle volte i due fattori si verificano entrambi o non si verificano affatto, raramente capita una cosa e non l'altra, come in questo caso.

Opera prima di Jenny Blackurst, la lettura di questo romanzo è partita lentamente, soprattutto a causa della pessima caratterizzazione della protagonista e degli altri personaggi, ma arrivata a metà percorso mi ha indubbiamente preso la voglia di sapere cosa fosse successo, arrivando però al termine con troppi e fastidiosi: "ma daiii".

La storia, pur non essendo innovativa, è comunque intrigante, anche grazie ai salti temporali fra presente (2013), passato recente (2009) e passato remoto (1987-1993). Un metodo narrativo molto utile al genere perchè rende logico avvicinarsi al finale prima di tirare tutti i fili. Peccato che l'autrice durante il percorso ne faccia calare alcuni inutilmente senza poi riprenderli e che arrivi a far quadrare il cerchio con soluzioni che (fortunatamente) nel reale crollerebbero con una semplice indagine poliziesca senza poter approdare a un regolare processo.

A questo aspetto negativo si aggiungono dialoghi e situazioni che in un libro della Kinsella con la storica Becky come protagonista sarebbero divertenti, o comunque nella norma, ma che in un thriller, con una madre infanticida come protagonista, fanno solo sanguinare occhi e cuore!

Un esempio che non "spoilera", ma che rende l'idea del mio fastidio: Susan, nello studio di un avvocato (fighissimo! Ma a cosa servono i fighi nei thriller?), dove anche nell'era digitale c'è sicuramente più carta che nella mia edicola, dovendo dargli il suo numero di cellulare, cosa fa? Prende una biro e glielo scrive sul dorso della mano!!
Se fossi capace di abbandonare le letture, avrei salutato la famiglia tranquilla in quel punto.
 
Reading Challenge 2019: collegamento con la traccia musicale di aprile per la giostra in copertina